Scheda Esposizione

 Scheda dell'esposizione  Catalogo  Sede espositiva

Marino Marini
L'origine della forma. Sculture e dipinti

Museo Archeologico Regionale - Aosta
21 Giugno 2003 - 26 Ottobre 2003
MOSTRA CHIUSA

CAVALIERE

CAVALIERE

CAVALLO

CAVALLO

GIOCOLIERE

GIOCOLIERE

PICCOLA GIUDITTA

PICCOLA GIUDITTA

RITRATTO DI GERMAINE RICHIER

RITRATTO DI GERMAINE RICHIER

 
La rassegna, organizzata in collaborazione con la Fondazione Marino Marini di Pistoia, curata da Erich Steingräber, uno dei più noti conoscitori internazionali dell’opera di Marini, e da Alberto Fiz, si inserisce nell’ambito del Progetto Valle d’AostArte e comprende oltre 100 opere tra sculture e dipinti, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private italiane e straniere, tra cui la Hamburger Kunsthalle di Amburgo, la Kunsthaus di Zurigo, oltre alla Fondazione Marino Marini di Pistoia, il Museo Civico di Pistoia, il Museo Marino Marini di Firenze, la Collezione Barilla d’Arte Moderna di Parma.
La mostra, dal taglio inedito, intende analizzare i differenti aspetti dell’indagine di Marini (Pistoia, 1901-Viareggio, 1980) analizzando l’intero corpus della sua opera, dalle prime realizzazioni degli anni Venti sino alle testimonianze degli anni Settanta. “La mostra vuole affrontare l’opera di Marini in tutte le sue sfaccettature rivelando anche quegli aspetti nascosti che non coincidono necessariamente con i suoi celebri Cavalli e Cavalieri”, spiega Alberto Fiz.
Accanto alle opere scultoree, la mostra approfondisce l’esperienza pittorica di Marini presentando alcuni capolavori come Il Teatro delle maschere del 1956, considerato forse il suo dipinto più importante.
Un’attenzione particolare viene data ai ritratti, “i più vivi e pungenti apparsi in scultura dopo la ritrattistica egizia e romana e dopo i capolavori rinascimentali e barocchi”, come ha sottolineato Giovanni Carandente. In questo ambito, vengono esposte le opere di Marini dedicate agli amici artisti, intellettuali e personaggi della cultura come Carlo Carrà, Marc Chagall, Fausto Melotti, Germaine Richier e Curt Valentin. Sono capolavori di introspezione psicologica ed esistenziale nei quali Marini riesce a “distillare” lo spirito del modello attraverso un profondo scavo nei tratti fisici. Anche la moglie, Marina, è spesso elemento d’ispirazione e in mostra sono messe a confronto due opere dedicata a Marina, entrambe del 1940.
Dal Museo Civico di Pistoia giunge il primo ritratto eseguito dall’artista poco più che ventenne, Testa di uomo da cui emerge la straordinaria capacità plastica dell’artista che dimostra l’intendimento di andare oltre l’immagine esteriore per coglierne gli aspetti più intimi. Dalla Fondazione Marino Marini di Pistoia, giungono, poi, i piccoli ritratti L’ammalata, 1927-28, e La monaca, 1928, che rivelano l’influenza di Medardo Rosso; mentre lo studio della figura umana intera dà luogo ad esiti di “arcadica naturalezza” nelle opere giovanili come Giovinetto, 1927-28, e Piccolo nudo, 1929, nate da una lunga meditazione dei modelli classici e rinascimentali. L’osservazione dell’uomo espressa nella forma realistica e classica risulta essere per Marini la fonte primaria d’ispirazione e assume una declinazione di solenne arcaicità in Ersilia, proveniente dalla Kunsthaus di Zurigo, monumentale legno policromo iniziato nel 1930 e portato a termine soltanto nel 1949, considerato tra i capolavori della scultura del XX secolo. Qui il modello originario muta, dopo una lunga elaborazione, nella versione finale di un idolo silente, immoto, carico di mistero, come talune sculture dell’antico Egitto ed etrusche.
La mostra prosegue con le tante figure femminili come Giovinetta, 1943, Piccola Pomona, 1943, Piccola Giuditta, 1944, e Piccola danzatrice, 1944, dove sono chiari i riferimenti alla classicità greca. “La figura femminile sta nella nostra natura”, ha scritto Marini. “E’ come uno che cerca il sole, è la stessa cosa”.
Un altro tema di fondamentale importanza è quello dei Giocolieri di cui compare in mostra Giocoliere del 1944 che comunica l’idea di un moto incipiente, di un corpo che si accinge a variare di posizione ed è trattenuto da un evento imponderabile.
Ma è soprattutto al tema equestre che Marini affida la sua riflessione sulla condizione umana. Il mito del cavaliere che prende forza e slancio dall’animale diventa simbolo dell’uomo che procede verso un orizzonte ignoto, carico di un destino minacciato da catastrofi cui finisce per soccombere. I due Cavalli del 1942 e del 1945, entrambi provenienti dalla Fondazione Marino Marini di Pistoia, sono ancora figure serene e calibrate, salde nella loro postura e affidate ad una precisa scansione spaziale e prospettica. Per quanto riguarda, invece, i capolavori del dopoguerra come Cavallo del 1950 proveniente dalla Hamburger Kunsthalle e Cavaliere del 1951 messo a disposizione dalla Collezione Barilla i volumi, pur mantenendo una spazialità verticale, cominciano a scompaginarsi.
“Le mie statue equestri, scrive Marini, esprimono il tormento causato dagli avvenimenti di questo secolo. L’inquietudine del mio cavallo aumenta a ogni nuova opera, il cavaliere è sempre più stremato, ha perduto il dominio sulla bestia”. E ancora: “Io aspiro a rendere visibile l’ultimo stadio della dissoluzione di un mito, del mito dell’individualismo eroico e vittorioso, dell’uomo di virtù degli umanisti. La mia opera degli ultimi anni non vuole essere eroica, ma tragica”. Questo processo si compie in modo definitivo con i Miracoli di cui in mostra compare Piccolo Miracolo del 1951 e Miracolo del 1956. I Miracoli rappresentano cavalieri rovesciati dove “l’idea parte fino a distruggersi”, come scrive Marini. Che aggiunge: “questa idea infuocata, la poesia di questo cavaliere che ad un certo punto si rompe, vuole andare in cielo, vuol bucare la crosta terrena”. Tragica interpretazione figurativa della realtà storica, scandita da un’evoluzione stilistica che muove verso esiti di potente drammaticità e da un linguaggio sempre più improntato all’astrazione.
Ad arricchire l’esposizione vanno segnalate, inoltre, le sculture di piccola dimensione degli anni Cinquanta che raffigurano giocolieri, acrobati, danzatrici, veri capolavori per l’acutezza della visione e per la frenesia dinamica che li anima, oltre ad alcuni bassorilievi degli anni Trenta e Quaranta di argomento sacro e mitologico come Bacco del 1935, proveniente dalla Kunsthaus Zurigo, Crocifissione, 1939, e Le tre Grazie, 1943, provenienti dalla Fondazione Marino Marini.
Accanto alle sculture, un’attenzione particolare viene riservata ai dipinti, da cui emerge la straordinaria capacità di sintesi compositiva propria di Marini in opere per nulla subalterne all’indagine plastica. “Ho sempre avuto bisogno di dipingere. Non comincio mai una scultura prima di indagarne pittoricamente l’essenza”, ha dichiarato l’artista. “Creo un colore vicino ad un altro e poi ci disegno sopra, ci ritorno sopra fino a che non si creano delle incrostazioni le une sulle altre che poi danno la materia da sé”. La pittura e lo studio del colore rappresentano, dunque, per Marini un luogo privilegiato di riflessione e ricerca, un’altra straordinaria avventura cui affidare il suo imponente repertorio di figure e personaggi. Da Pomone, Giocolieri, Cavalli, agli affollati gruppi di figure come La parata I, 1950, e lo straordinario Teatro delle maschere, 1956, considerato il suo capolavoro, sino a Mobilità del colore, 1958, una composizione astratta tutta giocata sui rossi, sono molti i soggetti e i temi presentati in mostra nell’ambito di un percorso che rivela il misterioso legame tra scultura e pittura.



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