La possibilità che le piante possano essere fonte di danni, spesso anche gravi, con coinvolgimento non solo di cose, ma anche di persone, sta diventando un problema di triste attualità. Gli eventi atmosferici sembrano aver intensificato la loro violenza e, sovente, alberi singoli o in gruppo (filari), non riescono a contrastare le forze esterne, soccombendo con parti o con l’intera struttura.
Va però anche puntualizzato che la gestione degli alberi non ha sempre seguito le regole della buona arboricoltura; pertanto anche in assenza di eventi atmosferici intensi le piante cedono all’azione del loro stesso peso, indebolite da una pessima qualità dei tessuti legnosi interni spesso invasi da patogeni (carie).
A tali situazioni hanno spesso contribuito drastiche e mal eseguite potature, siti di vegetazione non idonei, la mancanza di cure elementari e altre pratiche non conformi.
L’accresciuta sensibilità verso la tutela e la salvaguardia del patrimonio arboreo, non solo da parte delle Amministrazioni Pubbliche ma anche di molti proprietari, ha determinato la necessità, da parte di questi soggetti, di conoscere il grado di stabilità delle piante di cui, secondo il Codice Civile, essi sono responsabili.
1 - Carie centrale su abete rosso causata da Heterobasidion annosum – Courmayeur
2 - Ceppaia di Ippocastano invasa da carie fungine che ha subito il ribaltamento a causa del vento - Aosta.
Il settore della diagnostica delle piante è dunque diventato materia di grande interesse e sono ormai diverse le figure professionali specializzate in tale settore che si avvalgono, nelle loro analisi, di alcune metodologie riconosciute anche dalla magistratura di molti Paesi Europei.
Il metodo
V.T.A. (acronimo di
Visual Tree Assessment) è già stato descritto in un articolo dell’Informatore Agricolo (n.2/anno 2001); esiste anche un altro metodo, il
SIA (acronimo di
Static Integrated Method), meno conosciuto ed utilizzato del V.T.A. la cui fortuna è stata determinata dalla grande capacità divulgativa del suo ideatore Klauss Mattheck (1998).
Anche il
S.I.A., come il
V.T.A., nasce dalla mente di un ingegnere, Lothar Wessolly, che fin dagli anni ’80, presso l’Università di Stoccarda, si è occupato di statica degli alberi. Sebbene i parametri presi in considerazione siano molto più famigliari alle scienze ingegneristiche che a quelle naturali e forestali, va precisato che la loro applicazione, misurata da una buona dose di esperienza e conoscenza della fisiologia degli alberi e della tecnologia dei legni, offre valori interessanti sul grado di stabilità delle diverse parti che compongono un albero.
Il dato di partenza del metodo
S.I.A. è quello di paragonare l’albero ad un edificio, il cui grado di stabilità è calcolato sulla base delle connessioni e degli equilibri tra i tre seguenti, fondamentali, parametri:
carico, materiale, geometria.
CARICO
Il carico di un albero è determinato essenzialmente dalla spinta del vento in funzione dell’altezza della pianta, della forma della chioma e del coefficiente di turbolenza aerodinamica con cui un albero, sollecitato dal vento, si deforma.
E’ noto, infatti, che il cosiddetto “effetto vela” è differente soprattutto in base alla forma della superficie velica: la chioma di un
Cupressus sempervirens var. pyramidalis (Cipresso, var. affusolata), offre una resistenza al passaggio del vento decisamente inferiore rispetto alla chioma di un
Acer campestre (Acero campestre) o di un
Tilia plathyphillos (Tiglio nostrano) in piena vegetazione; inoltre, si osserverà una discreta differenza nella deformazione della chioma tra quella rada e leggera di una
Gleditsia triacanthos (Spino di Giuda) e quella densa e compatta di un
Aesculus hippocastanum (Ippocastano), entrambi sollecitati dalla medesima velocità del vento. Anche il noto coefficiente di snellezza dato dal rapporto fra altezza e diametro della pianta assume una grande importanza: più un albero è alto più è esposto al carico del vento.
Fig. n. 1: Forme principali di chiome secondo Wessolly (1- cilindro sottile; 2 - ellissoidale; 3 - sfera; 4 - cuore)
Per il metodo
S.I.A. il carico del vento è, dunque, massimo in una chioma fitta e sana e, tale carico, corrisponde alla forza di un uragano di grado 12 della scala anemometrica di Beaufort (velocità di 32,5 m/s).
Altro parametro fondamentale da considerare è la posizione della pianta rispetto alla principale direzione del carico del vento; Wessolly, sulla base delle indicazioni di Davenport, distingue tre ambienti principali in cui una pianta può essere esposta al vento:
a) aperta campagna - pianta completamente esposta al vento;
b) area periurbana - pianta parzialmente esposta/protetta;
c) città - pianta protetta dal vento.
Tuttavia per il caso c) non vale sempre la completa protezione poiché devono essere considerati anche altri fattori quali, ad esempio, l’effetto “canyon”, che consiste in canalizzazioni del vento determinanti forze e carichi pari a quelli riscontrati su chiome di alberi in aperta campagna (vedi foto 5-6)*. In conformità a prove di trazione, l’autore del metodo ha potuto calcolare che una pianta in aperta campagna necessita, per resistere alla forza del vento, di un diametro del fusto maggiore di circa il 10% rispetto a quello di una pianta protetta.
Dunque l’osservazione e l’esperienza, nella valutazione di stabilità delle piante, giocano un ruolo altrettanto importante rispetto alla pura e semplice applicazione di valori derivanti da prove sperimentali.
MATERIALE
Le leggi della statica stabiliscono che, all’interno di un albero, le maggiori sollecitazioni sono sopportate dagli ultimi anelli di accrescimento (purchè sani e con umidità superiore al 30%): tale spessore è infatti caratterizzato da una notevole capacità elastica.
Si tratta di quello strato che Wessolly chiama “green wood”, legno verde o vivo. Anche in questo caso ritorna in gioco la conoscenza, in particolare, delle peculiarità tecnologiche dei legni: il “green wood” di un
Acer campestre (Acero campestre) ha una capacità di resistenza alla compressione pari a quasi il doppio (2,55 KN/cmq) di quella dell’
Aesculus hippocastanum (Ippocastano) (1,4 KN/cmq).
Tra i legni nostrani quello dell’ippocastano è quello che, secondo le prove di laboratorio, presenta la minor resistenza alla compressione; seguono in ordine crescente:
l’Abies alba (Abete bianco) e il
Cedrus deodara (Cedro dell’Himalaya) con 1,5 KN/cmq; il
Carpinus betulus (Carpino bianco), il
Populus nigra “italica” (Pioppo cipressino), il
Salix alba (Salice bianco) e il
Sorbus aria (Sorbo montano) con 1,6 KN/cmq; il
Larix decidua (Larice europeo), il
Pinus sylvestris (Pino silvestre) e il
Pyrus communis (Pero selvatico) con 1,7 KN/cmq, fino alla
Quercus robur (Farnia) che, con 2,8 KN/cmq, presenta il valore più elevato di resistenza alla compressione.
GEOMETRIA
Questo parametro corrisponde alle forme delle diverse parti che compongono una pianta e cioè, le forme della chioma, del fusto e dell’apparato radicale. Risulta ora evidente come il fusto di un ippocastano, per resistere alle medesime sollecitazioni esterne, debba avere, rispetto al fusto di un acero o di una farnia, un diametro decisamente maggiore.
Descritti sommariamente i parametri che entrano in gioco nella determinazione della sicurezza statica di una pianta e stabilito che tra questi, sulla base di calcoli, è il
CARICO del vento ad avere il peso percentuale più elevato (73%) rispetto a
MATERIALE - legno verde (13,5%) e a
GEOMETRIA – t/r di Matteck (13,5%), si può passare alla descrizione di come Wessolly, trasferisce tali parametri nell’applicazione pratica di valutazione della sicurezza statica di base di una pianta.
Stabilita la specie, il sito di vegetazione (aperta campagna, area periurbana e città) e la forma della chioma, si deve procedere alla determinazione dell’altezza effettiva della pianta e del diametro sotto corteccia. Quest’ultimo valore viene generalmente stimato, tuttavia se la pianta è anche oggetto di indagine strumentale (ad esempio con penetrometro, vedi Fig. n. 2) è possibile ottenere l’informazione esatta dello spessore della corteccia.
Fig 2 - Grafico ottenuto dal sondaggio di un tronco d’albero con Resistograf F400
Determinati i parametri sopra elencati, si individua, all’interno delle tabelle del diagramma A, (Fig. 3) la curva corrispondente alla forma della chioma che più somiglia a quella della nostra pianta e, sulla base dell’altezza effettiva, si verifica, in ascissa, il valore del diametro teorico, cioè quel diametro che la pianta dovrebbe avere per sopportare il carico del vento di cui si è detto in precedenza.
Diagramma A - Fabbisogno del diametro sotto corteccia (in cm)
L’operazione seguente è quella di trovare il rapporto tra il diametro sotto corteccia reale e quello teorico: il dato ottenuto è il valore di entrata del diagramma B che esprime, in ascissa, un dato percentuale corrispondente alla sicurezza statica di base della pianta oggetto di indagine.
Se il dato percentuale ricavato è molto elevato, e comunque superiore a 300%, si può ragionevolmente ritenere che la pianta abbia una buona stabilità; valori intorno o inferiori a 100%, al contrario, non garantiscono condizioni di stabilità sufficienti.
Affinché l’applicazione del metodo risulti corretta, non bisogna fermarsi ai valori ottenuti dal diagramma B (Fig. 4): occorre procedere ad un attento esame visivo (e magari anche strumentale) della pianta individuando tutti quei difetti esterni che possono essere il sintomo di gravi problemi interni quali le cavità determinate dalle carie. Infatti, qualora sia stata identificata (e se possibile quantificata) la cavità interna, si procede con l’applicazione del metodo dividendo per 100 il valore di sicurezza statica ottenuto dal diagramma B: il quoziente permette di individuare, all’interno del diagramma C (Fig. 5),sull’asse delle ordinate, un nuovo coefficiente.
Fig. 4 - Diagramma B - Fattore di sicurezza in % a tronco intatto
Fig. 5 - Diagramma C - Portata residua con fattore di sicurezza del 100%
Moltiplicando questo nuovo valore per il diametro reale sotto corteccia della pianta, si può conoscere il valore minimo dello spessore della parete residua di cui la pianta deve disporre per poter continuare a soddisfare i requisiti di sicurezza statica di base e quindi, per poter continuare a sopportare il carico del vento.
Nelle piante in cui la parete residua è andata completamente distrutta, in alcuni quadranti, è prevista un’ulteriore diminuzione del valore di sicurezza statica di base. Su piante che non hanno mai subito interventi e sulle quali è possibile aumentare una ridotta sicurezza statica di base, il metodo
SIA interviene con un ulteriore diagramma, D (Fig. 6), che consente di calcolare l’intensità della riduzione (di 2 metri in due metri) falciforme della chioma, determinando così un abbassamento controllato della stessa e quindi dell’altezza complessiva della pianta.
Fig. 6 - Diagramma D - Influenza della riduzione falciforme della chioma
Come più volte ribadito, i valori numerici ottenuti dai diversi diagrammi devono essere correttamente interpretati e non applicati “tout-court”: l’osservazione visiva del reale stato di salute della pianta, la presenza di difetti esterni che esprimono carenze di stabilità meccaniche, apparati radicali lesionati o che possono esserlo per la presenza, ad esempio di sottoservizi, sono tutti parametri che devono essere presi in considerazione prima e durante l’applicazione di un qualsiasi metodo di valutazione di stabilità.
La validità di un metodo non è mai assoluta, soprattutto quando le indagini sono realizzate su forme viventi in continuo dinamismo e, pertanto, avere la possibilità di conoscere e applicare più metodologie permette di allargare il campo di valutazione.
*5-6 - Schianto di un maestoso Cedro dell’Atlante, presso la Stazione Forestale di Nus (agosto 2001) in seguito ad un violento acquazzone accompagnato da forte vento proveniente da nord-ovest. L’albero, è stato letteralmente stroncato e ribaltato dalla furia del vento incanalatosi nella stretta apertura creatasi a ponente in seguito alla costruzione di nuovi edifici residenziali pluripiano.
La presente sintetica descrizione del metodo e dei suoi parametri applicativi hanno come obiettivo principale quello divulgativo, vale a dire informare sull’esistenza di altre metodologie di valutazione di stabilità delle piante oltre al noto
V.T.A.
Si precisa infine che la suddetta esposizione non vuole paragonare, confrontare e/o criticare i due metodi
S.I.A. e
V.T.A.: ogni esperto del settore utilizza infatti l’uno e/o l’altro sulla base della propria esperienza/conoscenza, traendone le conclusioni che più ritiene idonee.
Bibliografia:
- V.Lobis, E.Brudi, G.Maresi, P.Ambrosi “
Valutazione della stabilità degli alberi – il SIA (Statics Integrated Assessment)” – Sherwood n.78/2002;
- G.Maresi, P.Ambrosi, V.Lobis
“La stabilità degli alberi – VTA e SIA-SIM a confronto in due casi di studio” – Sherwood n. 92/2002;
- C.Letey, S.Crida “
Indagine sulla stabilità degli alberi monumentali” – L’Informatore Agricolo n.2/2001;
- A.Girotto
“Valutazione fitostatica e fitopatologica delle piante monumentali della Valle d’Aosta con il metodo VTA modificato” – RAVA- Ass. Agric. e Ris. Nat. 2007.