La Rinotracheite infettiva bovina comunemente conosciuta come IBR è una malattia virale che colpisce i bovini manifestandosi con patologie all'apparato respiratorio o genitale.
La trasmissione può avvenire per via respiratoria (contatto muso-muso) o per via genitale (monta naturale) ed induce lo stato di portatore latente: l'animale è infetto, ma senza sintomi, però è in condizione di diffondere il virus nell'ambiente specialmente in condizioni di stress. E' importante ricordare che questo stato di latenza può essere indotto anche da vaccini vivi tradizionali che impediscono la malattia, ma non l'infezione.
L'organismo colpito produce degli anticorpi che bloccano i sintomi della malattia e riducono l'eliminazione del virus, ma non impediscono la riattivazione di una infezione latente. Un altro aspetto non meno importante, legato al fenomeno della latenza, è rappresentato dal vitello che riceve colostro con anticorpi anti IBR e che può diventare portatore latente senza mostrare sintomi.
La malattia riveste una notevole importanza dal punto di vista commerciale causando perdite consistenti per l’allevamento, dovute a minore produzione di latte, riduzione della fertilità e aborti.
Allo scopo di limitare i danni provocati da questa patologia è attivo dal 2003 in Valle d'Aosta un Piano Regionale di Controllo della Rinotracheite Infettiva Bovina, affidato dall'Assessorato all'Agricoltura, all'Istituto Zooprofilattico e ai Servizi Veterinari.
CAMPAGNA DI MONITORAGGIO IBR 2006
Nel corso dell'ultimo monitoraggio sono stati testati, presso il laboratorio di Sierologia dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta - sezione di Aosta, 27.592 campioni di siero bovino.
I sieri pervenuti sono stati analizzati utilizzando test immunoenzimatici di screening dotati di alta sensibilità e specificità.
Analogamente a quanto avvenuto negli anni precedenti, gli animali sono stati suddivisi in positivi, negativi e dubbi al test per gli anticorpi totali. I negativi sono stati classificati come animali che non erano venuti a contatto con il virus dell'IBR, i dubbi sono stati testati nuovamente con esami più approfonditi (ELISA per la glicoproteina B e sieroneutralizzazione), mentre i positivi sono stati sottoposti ad una prova che ne distinguesse l'origine della positività: se vaccinale (con vaccino deleto) o per contatto con virus di campo (o vaccino tradizionale). Solo una piccola porzione di questi animali è stata classificata come dubbia, quando anche test più approfonditi e ripetuti nel tempo non hanno dato esito definitivo.
AZIENDE
Durante la campagna di monitoraggio autunnale per la Rinotracheite Infettiva del Bovino sono state testate 1.219 aziende.
Le aziende sono state classificate come positive, se in possesso di almeno un capo positivo, negative, se tutto l'effettivo è risultato tale, oppure dubbie, se non si è riusciti ad arrivare ad una classificazione definitiva di alcuni capi.
Confrontando i dati ottenuti quest'anno con quelli dello scorso anno, si osserva una netta diminuzione delle aziende positive, che sono passate dal 46% al 34% (grafico 1).
Grafico 1 - Situazione delle aziende nel 2006 confrontata con la rispettiva situazione nel 2005
Si ritiene che questa situazione sia dovuta al fatto che le aziende con pochi capi positivi abbiano deciso di vendere o macellare, con il risultato che i capi positivi si sono concentrati in quegli allevamenti con un gran numero di positivi e per i quali sarebbe risultato parecchio gravoso procedere alla riforma di tutto l'effettivo. Questo processo è stato affiancato da una progressiva sostituzione dei capi positivi anche in aziende con un gran numero di positività, infatti anche il totale dei capi positivi è diminuito.
E' stata importante la reazione delle aziende con uno o due capi positivi, che, come ci si auspicava, hanno allontanato quegli animali dall'allevamento e si sono trasformate in aziende indenni. Il numero di aziende con pochi capi positivi, infatti, è diminuito, contribuendo all'aumento del numero di aziende nelle quali il virus non circola (grafici 2-3)
E' stata importante la reazione delle aziende con uno o due capi positivi, che, come ci si auspicava, hanno allontanato quegli animali dall'allevamento e si sono trasformate in aziende indenni. Il numero di aziende con pochi capi positivi, infatti, è diminuito, contribuendo all'aumento del numero di aziende nelle quali il virus non circola (Grafici 2-3)
Grafico 2 - Aziende con 1 o 2 capi positivi, confrontati al totale delle aziende testate (2005)
Grafico 3 - Aziende con 1 o 2 capi positivi, confrontati al totale delle aziende testate (2006)
Di contro, però, ci sono 15 aziende, negative nell'anno passato, che quest'anno annoverano tra i loro capi almeno un positivo. La maggioranza di questi, 9 allevamenti, è diventata positiva per l'acquisto di uno o più capi sieropositivi.
CAPI
Durante l'autunno del 2006 sono stati analizzati 27.592 capi. Di questi 13.537 sono risultati negativi, 10.055 vaccinati e 3.908 positivi. Una piccola percentuale ha avuto un esito dubbio ai test di screening (92).
I dati ottenuti mostrano una significativa riduzione dei bovini positivi in favore di un aumento nel numero dei capi vaccinati. Si osserva parallelamente anche una lieve riduzione dei bovini negativi (grafico 4).
Grafico 4 - Esiti degli esami di laboratorio sui capi testati nel 2006, confrontati agli esiti relativi al 2005
Oltre all'allontanamento dei capi positivi dalle aziende, la riduzione numerica di questi capi è dovuta alla scarsa sieroconversione degli animali negativi. E', infatti, un risultato incoraggiante che solo 75 bovini siano diventati positivi in seguito all'incontro con il virus da campo (grafico 5).
Grafico 5 - Esito dei test effettuati nel 2006 sui capi risultati negativi nel 2005
Questo significa che le misure di biosicurezza sono riuscite a tutelare il patrimonio di animali sani, nonostante la non obbligatorietà di questi strumenti di profilassi.
181 capi, invece, da vaccinati sono diventati sieropositivi (grafico 6).
Grafico 6 - Esito dei test effettuati nel 2006 sui capi risultati vaccinati nel 2005
Il fatto che siano stati di più i vaccinati ad essere stati contagiati rispetto ai negativi potrebbe sembrare un controsenso. In realtà, però, il vaccino non protegge dall'infezione, ma solo dalla malattia, e la sua azione sulla diminuzione dell'incidenza è correlata alla sua attività sull'escrezione virale da parte di soggetti infetti, che viene diminuita. Siccome la vaccinazione è stata fatta soprattutto in quelle aziende che avevano al loro interno almeno un capo positivo, il numero dei vaccinati che hanno sieroconvertito è maggiore perché più facilmente un soggetto vaccinato è un soggetto a rischio, in quanto convive con almeno un capo positivo.
Questo è ancora più vero nel caso si utilizzi un vaccino spento che, a differenza del vaccino vivo attenuato, ha una minor capacità di proteggere il singolo capo dall'infezione. Il vaccino gE- vivo è infatti più efficace nel proteggere dalle forme cliniche e induce una risposta immunitaria precoce. Il vaccino gE- spento è invece più efficace nel ridurre l'escrezione virale dopo riattivazione di una infezione latente, in dipendenza del titolo anticorpale al tempo della vaccinazione. Teoricamente quindi la soluzione ideale sarebbe vaccinare i bovini sani con il vaccino vivo attenuato e quelli malati con il vaccino spento, al fine di ridurre l'escrezione virale da parte dei capi positivi e contemporaneamente proteggere i soggetti negativi dal possibile contagio.
D'altra parte i vaccini vivi attenuati comportano attiva replicazione del virus, una vera e propria infezione con conseguente latenza da parte del ceppo vaccinale, che risulta però scarsamente patogeno (la glicoproteina E, insieme alla glicoproteina I, è coinvolta nel passaggio del virus da cellula a cellula). L'utilizzo del vaccino vivo attenuato è quindi consigliato negli animali sieronegativi solo nelle fasi iniziali di un piano di eradicazione, in allevamenti con elevata prevalenza dove sia nota la circolazione di virus wild type (in quei casi cioè in cui l'alta prevalenza non è una conseguenza dell'utilizzo passato di un vaccino intero).
La tabella a fondo pagina mostra le migliori combinazioni di utilizzo dei vari ceppi vaccinali in relazione alle condizioni di infezione.
SEX RATIO
Quest'anno i capi sono stati confrontati anche in base al sesso. A tal proposito sono stati testati 27.402 bovini, di cui 26.685 femmine e 717 maschi. I risultati mostrano che la prevalenza di positivi per IBR è significativamente inferiore nei maschi che risultano in maggior percentuale negativi (grafico 7).
Grafico 7 - Differenza di prevalenza in base al sesso
Le possibili spiegazioni a questo fenomeno sono date dalla separazione tra maschi e femmine, con un rischio di infezione per i maschi notevolmente ridotto, e da una più attenta gestione del maschio, spesso usato come toro da monta.
La differenza di prevalenza fra i maschi e le femmine è stata analizzata con il test del “chi quadro” che ha evidenziato una significatività statistica di tale differenza al 99,5% di confidenza. Ciò implica che le diverse prevalenze fra maschi e femmine non sono dovute al caso, ma ad una situazione reale.
PREVALENZA IN BASE ALL'ETA
Analizzando la situazione di prevalenza dell'IBR per classi di età risulta evidente la differenza tra i bovini giovani (età ≤12 mesi ed età compresa tra 13 e 24 mesi) e quelli adulti (età >36mesi). Nei primi due gruppi la prevalenza di capi positivi è significativamente inferiore (grafico 8).
Grafico 8 - Prevalenza in base all'età, espressa in mesi di vita
Anche in questo caso il test del “chi quadro” ha evidenziato una significatività statistica pari al 99,5% di confidenza, confermando che le differenze riscontrate non sono variazioni casuali
CONCLUSIONI
Rispetto all'elaborazione effettuata l'anno scorso, quest'anno si è potuto effettuare un vero confronto con i dati dello screening sierologico precedente in quanto le condizioni erano analoghe. I dati presentati in questa relazione hanno, quindi, una precisione maggiore e sono più indicativi della situazione reale.
Per quanto riguarda gli errori dovuti ad una non completa accuratezza del test diagnostico, si può tranquillamente affermare che essi si sono mantenuti al di sotto di quanto previsto dalle ditte produttrici. Abbiamo considerato come errori del test diagnostico, quei casi in cui un animale classificato come positivo (al virus o al vaccino) nella campagna precedente, venga invece classificato come negativo nell'anno in corso e i casi in cui un capo positivo in passato sia risultato vaccinato nella campagna attuale. Ciò è avvenuto complessivamente nell'1,81 % dei casi.
A questa percentuale, però, occorre sottrarre la parte di animali che hanno realmente avuto un calo anticorpale. Infatti, è vero che un animale che è venuto a contatto con un virus erpetico, come quello dell'IBR, non si sterilizza più, ma può capitare che, dopo 36 mesi in assenza di riattivazione, gli anticorpi scendano sotto il livello diagnostico. Per confermare tale ipotesi, si è verificata l'età degli animali che si sono negativizzati e si è effettivamente riscontrato che ciò avviene con una frequenza significativamente più alta (chi quadro) negli animali più anziani (età superiore a 36 mesi).
L'errore del test, quindi, non è più quantificabile, ma sicuramente minore di 1,81%.
Si può concludere che l'andamento del piano di controllo per IBR in Valle d'Aosta è da giudicarsi positivo, in quanto sono diminuite non solo le aziende positive, ma anche i capi. Molto positivo risulta il dato riguardante le aziende con animali positivi, che hanno subito un calo sensibile. Questa situazione mostra una certa attenzione da parte degli allevatori, che hanno finalmente cominciato a comprendere la filosofia del piano di controllo per l'IBR e ad agire di conseguenza.
Anche il fatto che alcune aziende, che presentavano già un'alta prevalenza di malattia, abbiano concentrato gli animali sieropositivi è una situazione che può presentare dei vantaggi, in quanto come evidenziato nei paragrafi precedenti, la convivenza con un animale positivo è un fattore di rischio, che viene in qualche misura contrastato dalla separazione dei positivi dai negativi. Siccome questa situazione non avviene in una stessa azienda, questa sorta di “quarantena” viene effettuata fra aziende diverse. Il fatto che alcune aziende abbiano accettato di concentrare al loro interno i positivi ha sicuramente favorito quegli allevamenti che volevano liberarsi dei capi positivi e che in questo modo hanno potuto venderli piuttosto che macellarli. Il passo successivo dovrà essere quello diminuire la prevalenza anche all'interno di queste aziende.