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Il
bullismo: dalla teoria alla percezione dei bambini
Il bullismo, un fenomeno che
cattura quotidianamente l’attenzione dei mass-media, ha assunto
una definizione teorica condivisa ed accettata da molti studiosi. In questo
articolo si cerca di esaminare in quale misura la percezione dei bambini
e dei ragazzi risponde alla definizione del fenomeno.
Il fenomeno del bullismo
cattura quotidianamente lattenzione dei mass-media. Frequentemente
i notiziari riportano vicende che colpiscono e turbano lopinione
pubblica, screditando lo stereotipo dellinfanzia come età
di innocenza e purezza.
Tale consapevolezza induce a superare lo sconcerto e la condanna per avvicinarsi
al fenomeno e cercare di comprenderne lentità e le caratteristiche.
Negli ultimi anni molti ricercatori si sono occupati del bullismo, inizialmente
per stimarne la diffusione, poi per approfondirne alcuni aspetti particolari
(Olweus, 1973, 1977, 1993; Perry, Kusel & Perry, 1988; Smith &
Sharp, 1994; Fonzi, 1997, 1999; Menesini, 2000). I primi studi italiani,
condotti nel contesto scolastico, hanno evidenziato una diffusione del
fenomeno molto ampia, decisamente superiore rispetto ad altri paesi stranieri,
soprattutto quelli del Nord Europa. Per spiegare questa differenza sono
state formulate diverse ipotesi. Non si tratterebbe di influenze metodologiche
o procedurali, dal momento che lo strumento utilizzato a livello internazionale
per la rilevazione del fenomeno è il medesimo: esso consiste in
un questionario anonimo, identico per quanto riguarda il contenuto delle
domande e la definizione di bullismo presentata (Olweus, 1991; Whitney
& Smith, 1993; Fonzi, Genta & Menesini, 1993). Potrebbe
trattarsi, invece, di differenze culturali, a partire dal valore semantico
del termine bullying, tradotto in italiano con prepotenze;
il termine utilizzato in Italia potrebbe avere unaccezione più
ampia e riferirsi ad una gamma più estesa di fenomeni. Un altro
fattore da considerare sarebbe luso dellironia nei confronti
di altre persone, modalità legata alla cultura e molto presente
nel nostro Paese come mezzo di autoaffermazione allinterno del gruppo
(Genta, Menesini, Fonzi & Costabile, 1996).
Recentemente, in molte scuole elementari
e medie di diverse province italiane, è stata realizzata unampia
ricerca con lobiettivo di rilevare lentità del bullismo
e le caratteristiche fondamentali con cui si manifesta (Fonzi, 1997).
Oltre al questionario che indagava diversi aspetti del fenomeno (subire
e fare prepotenze, parlare delle prepotenze subite o fatte, ruolo degli
insegnanti e dei compagni, atteggiamenti verso le prepotenze; Fonzi, Genta
& Menesini, 1993), gli alunni di alcune scuole del Piemonte hanno
svolto un tema dal titolo "Racconta un episodio di prepotenza che
hai subito, oppure hai fatto, o a cui hai assistito a scuola" (Begotti,
1996). Lelaborato scritto (svolto dagli studenti dalla terza elementare
alla terza media, a cui è stato garantito lanonimato) si
collocava quindi come uno strumento in più, il cui obiettivo consisteva
principalmente nellaffiancare ad unanalisi quantitativa alcuni
aspetti più qualitativi, al fine di ottenere ulteriori informazioni
ed approfondire lidea che gli studenti hanno di tale fenomeno.
Cerchiamo allora di chiarire, innanzitutto, a cosa fa riferimento la letteratura
scientifica parlando di bullismo e, parallelamente, esaminiamo in quale
misura la percezione dei bambini e dei ragazzi risponde alla definizione
del fenomeno.
La definizione ormai consolidata riferisce che "uno studente è
oggetto di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando
viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive
messe in atto da parte di uno o più compagni" (Olweus, 1991;
Smith & Sharp, 1994; Fonzi, 1997, 1999).
Il termine bullismo, tradotto dallinglese bullying, si riferisce
ad una situazione in cui cè contemporaneamente qualcuno che
prevarica e qualcun altro che è prevaricato (Fonzi, 1997). Non
si tratta perciò di una situazione statica, ma di un processo dinamico
in cui persecutori e vittime sono entrambi coinvolti ed agiscono in un
preciso contesto, ove anche altre persone (adulti e coetanei) giocano
un ruolo significativo.
Il bullismo, quindi, non è semplicemente un "atto aggressivo",
ma presenta alcune caratteristiche distintive. Analizziamole più
nel dettaglio:
1. Intenzionalità:
siamo di fronte ad un atto di bullismo quando qualcuno volontariamente
infligge o tenta di infliggere danno o disagio a qualcun altro.
I bambini colgono molto bene laspetto di intenzionalità,
riportando per la maggior parte episodi in cui un soggetto prevarica un
compagno per il semplice piacere di arrecargli danno. Vediamo qualche
esempio:
"Un giorno ero nellaula della scuola e una bambina, anche se
non so il perché lo abbia fatto, ha iniziato a chiamarmi "Oca
giuliva!". Ma io non le avevo fatto nulla e non ero arrabbiata con
lei. Quel giorno sono stata male perché mi dispiaceva di essere
presa in giro da una compagna" (bambina di III elementare).
"Una volta ho subito un calcio senza nessun motivo da F., un mio
compagno, quando ero nel cortile. Il calcio mi ha fatto male alla gamba,
però io quel giorno ero calma, lho scusato e non lho
detto alla maestra. F. è un tipo proprio difficile da sopportare.
Secondo me il suo difetto è quello di fare dispetti agli altri
e poi ridere e fare cose che nessuno di noi fa. Dice anche le parolacce"
(bambina di IV elementare).
In questi esempi appare in modo evidente la volontà, da parte del
prevaricatore, di arrecare danno alla vittima. Nel primo caso ciò
avviene attraverso le parole, mentre nel secondo viene utilizzata la forza
fisica. Indipendentemente dalla modalità più o meno cruenta,
ciò che conta è lintenzione offensiva del bullo e
la chiara percezione da parte della vittima di essere loggetto di
una sopraffazione (Olweus, 1993).
2. Sistematicità:
il bullismo presenta caratteristiche di continuità e perseveranza
nel tempo. È essenziale sottolineare laspetto della frequenza:
anche se un singolo episodio di grave prevaricazione può essere
catalogato come una forma di bullismo, la letteratura fa generalmente
riferimento ad atti di prepotenza che si ripetono nel tempo e con una
certa frequenza, nei confronti di bersagli pressoché costanti.
Con questa accezione è possibile escludere le offese sporadiche
e non gravi ed evidenziare invece laspetto di continuità
ed intenzionalità, la volontà di ferire e danneggiare colui
che assume il ruolo di bersaglio. Tale aspetto non sempre è colto
con chiarezza dagli studenti, soprattutto da quelli più piccoli.
Molti bambini, infatti, riportano episodi che, seppur gravi, sembrano
limitati ad un momento specifico e non assumono caratteristiche di sistematicità.
Consideriamo alcuni esempi:
"Un giorno, quando stavo venendo a scuola di mattina, sono salito
sulle scale e cera Roberto, un bambino di V, lui tifava per la Juve
e io per il Milan, allora lui aveva iniziato a tirarmi calci, a scoppiarmi
la merenda, a spingermi. Io sono andato tranquillo in classe, ma mi aveva
fatto male" (bambino di III elementare).
"Ho già vissuto una prepotenza da un mio compagno di classe.
Io e questo compagno prendiamo insieme lo scuolabus ed è proprio
qui che lui inizia a farmi i dispetti e a volte anche ad insultarmi, specialmente
dandomi del ciccione. A me dispiace che questo mio compagno di classe
sia prepotente con me, io cerco di essere gentile con lui, ma lui mi tratta
sempre male" (bambino di V elementare).
"Io, come altri, sono una di quelle persone che il maggior numero
delle volte è offesa (presa in giro) in qualsiasi circostanza.
Poi quello che mi fa arrabbiare è che ogni mattina cè
una "presa in giro nuova", e non lo fanno per scherzare, ma
per offendere continuamente una persona" (ragazzo di II media).
Come possiamo notare, lautore del primo brano riporta un episodio
che sembra riconducibile, per lo più, ad un litigio tra compagni
circoscritto nel tempo. Negli altri due casi, invece, emerge con maggiore
evidenza la sistematicità delle prepotenze, che si ripetono nel
tempo e sono rivolte ad un bersaglio costante. In genere i ragazzi più
grandi sono più abili nel riconoscere gli aspetti di continuità.
A questo proposito, è bene tenere presenti le caratteristiche evolutive:
al crescere delletà si sviluppano capacità sociali
più sofisticate, per cui diventa possibile un ricorso inferiore
allaggressività diretta, ma anche un riconoscimento più
accurato e preciso delle diverse situazioni e dei ruoli assunti dai protagonisti
(Björkqvist, 1994).
3. Asimmetria nella relazione:
nella relazione tra bullo e vittima il primo risulta più forte,
mentre la vittima è generalmente più debole ed incapace
di difendersi. La relazione che si instaura è essenzialmente asimmetrica,
e ciò significa che il bambino assunto come bersaglio ha difficoltà
a difendersi e si trova quindi in una posizione di impotenza. Ciò
vale in termini di squilibrio di potere, ma anche di forza fisica vera
e propria: il bullo è generalmente più grande del suo bersaglio
oppure, se coetaneo, risulta più forte rispetto alla media dei
ragazzi della sua età e in particolare rispetto alla vittima. È
importante prestare attenzione a tale squilibrio nella relazione, affinché
non vengano erroneamente considerati come episodi di bullismo i litigi
tra due soggetti pressoché della stessa forza, o i casi di lotta
fisica messi in atto per gioco. A questo proposito, la comprensione da
parte degli studenti non è univoca. Spesso essi riportano episodi
in cui non si evidenzia un chiaro squilibrio di potere, ma piuttosto unalternanza
di ruoli tra i diversi protagonisti. Vediamo ancora qualche esempio:
"Questa ragazza viene presa in giro a causa della sua corporatura
massiccia. Il primo a prenderla in giro è stato un mio compagno,
che, essendo stato bocciato, ha 14 anni ed è più grande.
Poi molti altri lhanno seguito. Anche le sue amiche hanno iniziato
a prenderla in giro e a escluderla dal loro gruppo. Poi quando la vedevano
camminare facevano versi e si alzavano dalle sedie facendo credere che
facesse tremare i pavimenti" (ragazza di II media).
"Un giorno un mio compagno di classe ha portato un gioco elettronico,
eravamo tutti vicino alla finestra in attesa di giocare, poi è
arrivata L. e ci ha picchiati, ma io le ho dato un pugno facendola battere
contro il banco" (bambino di III elementare).
"Stavamo uscendo da scuola e un mio compagno mi ha spinto; io stavo
cadendo dalle scale e così la bidella lo ha sgridato e lo ha fatto
uscire per ultimo. Allora lui per vendicarsi mi tira un calcio fortissimo
e mi minaccia" (ragazzo di II media).
Nel primo esempio emerge con chiarezza lasimmetria nella relazione:
la vittima è incapace di difendersi e subisce le offese perpetrate
nei suoi confronti. La corporatura massiccia, in questo caso, non è
tanto una garanzia di "forza fisica" quanto piuttosto un elemento
di goffaggine che funge da pretesto per i compagni. Negli altri due esempi,
invece, ci troviamo di fronte ad episodi circoscritti, in cui sembrano
essere assenti gli elementi di asimmetria nella relazione, così
come quelli di continuità; lintenzionalità di arrecare
danno allaltro, invece, si alterna tra i diversi protagonisti, ai
quali è difficilmente attribuibile un ruolo definito di "bullo"
o di "vittima".
4. Forme in cui si manifesta:
come abbiamo appena visto, gli atti di prepotenza possono essere perpetrati
attraverso differenti modalità. Nel caso di mezzi fisici come pugni,
botte, calci, percosse di varia natura ed intensità è evidente
il verificarsi di un contatto fisico tra il bullo e la vittima. La stessa
violenza, tuttavia, può essere diretta non esclusivamente alla
persona, ma anche ai suoi oggetti, deturpandoli, rompendoli o appropriandosene.
Oltre ai mezzi fisici il bullo può far uso di mezzi verbali, minacciando,
insultando, ingiuriando, deridendo la vittima. Spesso le parole sono accompagnate
da gesti di scherno o da posture che mettono in ridicolo laltro.
Generalmente le prepotenze perpetrate attraverso mezzi fisici o verbali
vengono definite dirette, trattandosi di attacchi manifesti compiuti
direttamente nei confronti della vittima (Olweus, 1993; Fonzi, 1997).
Gli esempi sopra riportati si riferiscono per lo più a questa modalità
di prevaricazione. Il bullismo indiretto, invece, è caratterizzato
da modalità meno cruente ma non per questo meno lesive: si tratta
essenzialmente di forme di isolamento sociale, allontanamento o esclusione
dal gruppo, diffusione di pettegolezzi o dicerie; in tutti questi casi
viene evitato un contatto diretto con la vittima e sono utilizzate forme
di prepotenza più sottili (Olweus, 1993; Fonzi, 1997). Vediamone
un esempio:
"Ho subito delle intolleranze (e un bel po di volte), anche
alle elementari: un gruppo di compagni mi metteva sempre da parte e non
potevo mai giocare con loro. Mi dicevano: "Vai via, non ti vogliamo"
(ragazzo di I media).
Le modalità di prevaricazione, seppur molto diverse tra loro, si
inscrivono tutte nellambito di un più ampio processo di comunicazione
ed evidenziano come condizioni generali lintenzionalità di
arrecare danno, la sistematicità e un chiaro squilibrio di potere.
Quali considerazioni?
Come abbiamo visto, il fenomeno
appare molto complesso ed articolato. Non sempre
riusciamo a ricondurre con sufficiente certezza lidea che di bullismo
hanno bambini e ragazzi alla definizione scientifica. Possiamo constatare,
ad esempio, che la percezione del fenomeno subisce variazioni legate alletà
ed al genere dei soggetti non soltanto a livello quantitativo (come evidenziano
le risposte ai questionari), ma anche per ciò che riguarda le modalità
di prevaricazione messe in atto.
Tra i bambini delle scuole elementari è piuttosto diffuso luso
della forza fisica. Tuttavia, ciò che emerge con una discreta chiarezza
è il tipo di relazione e contesto in cui laggressione fisica
si inserisce. Sembra che luso di percosse venga considerato espressione
di bullismo in ogni caso, indipendentemente dalla relazione tra i due
protagonisti. Pare, cioè, che nella maggioranza dei casi non si
stabilisca un notevole squilibrio tra lartefice e la vittima: si
tratta piuttosto di due soggetti che si trovano in conflitto per qualche
precisa ragione e utilizzano la forza fisica per cercare di affermarsi
luno sullaltro. Sono scontri a volte anche piuttosto violenti,
durante i quali si usano indifferentemente pugni, calci, schiaffi e spintoni.
Tuttavia, anche se è uno degli studenti a cominciare, con la semplice
motivazione di ferire laltro, di arrecargli danno per il piacere
che ne deriva, è molto difficile che la vittima designata rimanga
in una posizione passiva e subisca le percosse senza difendersi. Questo
aspetto invita a riconsiderare le definizioni di bullo e di vittima,
perlomeno nellambito delle prepotenze fisiche. Rimane indubbia la
difficoltà, per entrambi, di interagire in modo adeguato, ma non
sono altrettanto chiari e confermati i tratti distintivi dei ruoli, in
particolare la passività e la debolezza delle vittime.
La situazione appare leggermente diversa nel caso delle prepotenze verbali,
che risultano comunque le più diffuse. In questo caso, infatti,
lo squilibrio della relazione tra i protagonisti è percepito come
più evidente; sembra che lasimmetria sia una condizione necessaria
perché unoffesa verbale sia classificata dagli studenti come
un atto di bullismo. La maggior parte dei temi riporta casi di offese
e prese in giro rivolte verso un compagno che rimane inerte e non risponde,
spesso con la conseguenza dellisolamento dal gruppo dei pari. Come
pretesto possono essere utilizzate le caratteristiche fisiche del soggetto
(in modo particolare la corporatura) oppure il suo modo di muoversi, di
comportarsi, di parlare. Non sembra trattarsi di vere e proprie cause
scatenanti, quanto piuttosto di caratteristiche che possono scostarsi
lievemente dalla norma ed assumere un ruolo pretestuoso agli occhi dei
prevaricatori. Se lutilizzo della forza fisica avviene prevalentemente
in situazioni legate a conflitti personali, ove i protagonisti sono coinvolti
in modo più equilibrato, lo stesso non vale per le prepotenze verbali:
in questo caso il ritratto della vittima che si può delineare è
quello di un soggetto debole, spesso incapace di difendersi, preso di
mira da uno o da molti compagni, costretto a subire anche senza una piena
consapevolezza del motivo per cui ciò avviene. Il prendersi gioco
di qualcun altro è un modo meno cruento di arrecare danno rispetto
alluso della forza fisica, ma può essere molto spiacevole
per colui che viene offeso, anche perché ciò avviene principalmente
in presenza di altri compagni ed intensifica la sensazione dello studente
bersaglio di sentirsi diverso ed escluso.
Per concludere
Il bullismo è un fenomeno
dai contorni sempre più chiari ed ha assunto una definizione teorica
condivisa ed accettata da molti studiosi dellargomento. Tuttavia,
è importante considerare che la precisione concettuale dei ricercatori
deve sempre e comunque confrontarsi con la percezione che i soggetti coinvolti
hanno dello stesso fenomeno. Le informazioni ricavate dagli elaborati
scritti non hanno, chiaramente, nessuna pretesa di generalizzazione. Tuttavia,
esse non contraddicono i dati tratti dallanalisi quantitativa delle
risposte ai questionari, bensì aggiungono degli spunti interessanti
su cui vale la pena riflettere. In particolare, possono essere utili per
la costruzione di validi strumenti di rilevazione e per la progettazione
di interventi il più possibile mirati ed efficaci. Su questi ultimi
due aspetti in particolare, ci soffermeremo nei prossimi articoli.
Tatiana Begotti
Psicologa, titolare di un assegno di ricerca presso
il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi
di Torino
Elena Cattelino
Psicologa, ricercatore presso la Facoltà di
Scienze della Formazione e Dipartimento
di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino
Riferimenti bibliografici
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