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La storia, tante storie

Dove si vede che mettere a soqquadro la storia giova alla formazione storica.

La storia, se la pensiamo al singolare, evoca tre cose distinte: la storia generale scolastica; la disciplina; l’insieme di tutte le conoscenze riguardanti il passato.
La prima ci vela la mente, ci anestetizza e ci impedisce di vedere la vastità dell’orizzonte della conoscenza storica, la seconda ci impone di vedere la molteplicità delle realizzazioni dell’applicazione del metodo storico; la terza accezione ci porta a considerare un universo conoscitivo in espansione e inesauribile.

La storia generale scolastica
È l’idea di storia da cui dobbiamo emanciparci. L’idea di storia che si forma nella mente dopo un percorso di studi secondari è promossa dalla storia generale manualistica. La struttura tendenzialmente lineare e cronologica e il percorso di studio sequenziale ci inducono a pensare che esista sul passato un sistema di sapere concluso e capace di condensare tutte le conoscenze importanti, che esista un unico corpo di conoscenze essenziali, degne di formare la cultura storica delle persone istruite, e capaci di esaurire il bisogno di conoscenza. Dopo lo studio dei manuali non si riesce a pensare che esista una quantità indefinita di conoscenze storiche. Quello studio genera stereotipi, cioè cristallizzazioni di conoscenze in formule fisse (ad es.: sul Medioevo, S. Gasparri: "Sono, altresì, convinto che questi stereotipi negativi sul Medioevo facciano parte non solo della cultura diffusa ma anche della cultura scolastica. Indubbiamente, la manualistica degli ultimi decenni si è molto rinnovata, […] però certe idee di fondo non sono state radicalmente messe in discussione e talvolta, quindi, riaffiorano con facilità. […] è la formazione stessa dei docenti che dovrebbe essere radicalmente rimessa in discussione, se si volessero veramente cambiare le cose", L’alto Medioevo tra vecchi stereotipi e nuove prospettive di ricerca in De Gerloni B. (a cura di), La storia fra ricerca e didattica, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 191). Esso è il metro di misura di ciò che si sa o non si sa sul passato. Quante volte si legge o si sente dire che questo o quel fatto non sono sui libri di storia da persone che vogliono dire che, semplicemente, non è trattato dalla manualistica. Inoltre fa pensare:
• che ci sia un solo modo di trattare discorsivamente la storia e che la storia non abbia né strumenti, né metodi, né costruttori;
• che ci sia un solco tra la storia generale manualistica e quella degli storici: una sorta di punto culminante a cui le “conoscenze degli storici” portano, ma per essere poi messe in altra sfera. Pensate alla distinzione “storia e storiografia” di certi prodotti editoriali oppure alle antologie di critica storica distinte dai manuali, dove la “storia” evoca la ricostruzione pura e semplice dei fatti leggibile nel testo manualistico e “la storiografia”, invece, rimanda alle contrastanti interpretazioni che di quei fatti hanno costruito gli storici.
Pensata in tali termini la storia fa immaginare che ci sia una coincidenza tra realtà del passato (res gestae, come si diceva) e sua indagine o narrazione o ricostruzione o rappresentazione (historia rerum gestarum). Ma questa è una credenza ingannevole: non può esserci in nessun caso una coincidenza tra la realtà dei fatti e la storia poiché i fatti, subito dopo che sono accaduti o compiuti, sono già elaborati in una rappresentazione: quella della memoria, quella della pubblicistica. Non esistono più in sé, ma soltanto sotto forma di tracce. E le tracce devono essere trasformate in strumenti di informazione affinché una rappresentazione e una conoscenza possano nascere.
Dunque, l’insegnamento tradizionale, quello che dipende dall’idea di storia generale scolastica, limita le proprie ambizioni a trasmetterla e a riprodurla nella mente dei discenti. E non fa arrivare mai gli studenti alla storiografia, se non le minoranze iscritte alle facoltà dove incontrano insegnamenti storici. Ma gli universitari che frequentano corsi di storia e leggono o studiano numerose opere storiografiche sono risucchiati verso la “storia”, cioè la storia generale scolastica, come verso un centro di attrazione fatale. La storia generale scolastica produce una cattiva idea di storia e dannosa.
Se vogliamo liberarcene, dobbiamo metterla a soqquadro. Per compiere tale operazione dobbiamo partire dalla storia come disciplina e attraverso essa arrivare a concepire la molteplicità delle storie.

La disciplina
L’altro referente di storia al singolare è la disciplina: essa ci permette di considerare come appartenenti al medesimo campo tutte le conoscenze sul passato costruite seguendo il metodo che la comunità dei professionisti ha elaborato, qualunque siano gli strumenti usati, gli oggetti rappresentati, le modalità della rappresentazione. Le tante, innumerevoli conoscenze sono accomunate dal metodo.
Come concepire la storia come disciplina? Come processo di costruzione di rappresentazioni di aspetti, di fatti, di processi verificatisi nel passato. Le rappresentazioni costituiscono simultaneamente il referente (ciò che deve essere compreso e spiegato e interpretato) e i risultati dell’attività interpretativa degli storici. Nel processo di costruzione della conoscenza lo storico con la sua personalità cognitiva, affettiva, operativa, con i suoi valori e con la sua cultura, ecc., ha un peso importante nel determinare la qualità e le caratteristiche della rappresentazione. Con il metodo di ricerca, di ricostruzione, di interpretazione gli storici producono tanti modelli di rappresentazione del passato. E sono modelli che entrano in concorrenza: ora è la storia politica e istituzionale che vuol farla da padrona ora è la storia sociale ora è la storia economica ora è la storia della mentalità che pretende al primato esplicativo. Ora è la microstoria contrapposta alla macrostoria, ora è la storia mondiale contrapposta a quella nazionale... Ma tutti i settori di applicazione delle investigazioni storiografiche sono conviventi e conniventi nel costruire l’universo espansivo delle conoscenze storiche.
Inoltre, possono differenziarsi nella versione degli stessi fatti, aspetti, processi. Per questo motivo lo stesso manto metodologico della storia copre tante storie.

Tante storie
Come riconoscere le caratteristiche che le differenziano?
Dunque, tante storie in quanto sono innumerevoli le conoscenze disponibili ad essere comprese, apprese, elaborate in sistemi di conoscenze. Esse possono differenziarsi perché le informazioni sono strutturabili diversamente grazie alla disponibilità di molteplici scelte tematiche, a differenti scelte spaziali, a differenti scelte di scala temporale, all’assunzione di punti di vista difformi.
Tante storie in quanto aspetti (stati di cose), fatti (eventi), processi possono essere trattati a scala temporale e spaziale macro o a scala micro o media. Tante, in quanto le versioni possono essere diverse e concorrenti.
Allora possiamo comprendere la terza accezione che ho proposto di “storia”: un universo di molteplici e innumerevoli conoscenze o rappresentazioni di aspetti, fatti, processi... del passato organizzate nei testi presenti in tutte le biblioteche del mondo. Un universo in cui convivono conoscenze storiche a scala mondiale, a scala macroregionale, a scala nazionale, a scala locale; di lungo e breve periodo; di storie riguardanti diversi settori… di molteplici interpretazioni degli stessi fatti... Un universo che si accresce ogni giorno di altri testi...

E l’insegnamento?
Cosa c’entra tutto questo con l’insegnamento? C’entra, perché lo statuto e lo stato epistemologico della disciplina sono il riferimento primario per inventare la storia scolastica e le caratteristiche della cultura storica degli studenti. Se vogliamo rendere significativo lo studio della storia dobbiamo modificare la storia insegnata proposta agli studenti.
Tale imperativo obbliga anche gli insegnanti a fare i conti con i doveri e i diritti di programmare unità di apprendimento risolvendo le quattro questioni liminari: la questione di tematizzazione; la questione di scala spaziale; la questione di scala temporale; la questione di punto di vista; la questione della molteplicità di versioni.
Il che implica che le programmazioni non siano inette copiature degli indici dei libri scolastici, ma generino una nuova storia scolastica come sistemi o reti di storie secondo le seguenti variabili:
• in verticale: saperi tra loro differenziati, modulabili e integrabili. La mia preferenza va ad un sapere che si compone delle rappresentazioni di quadri di civiltà nella scuola primaria; di processi di grandi trasformazioni; di trattazioni di problemi e spiegazioni;
• in orizzontale: saperi formati da conoscenze storiche a scale differenziate. Le storie a scala mondiale hanno lo stesso diritto di cittadinanza delle storie a scala nazionale ed europea;
• le conoscenze storiche a piccola scala (storie locali) diventano importanti elementi della cultura storica;
• la conoscenza delle diverse versioni di uno stesso fatto storiografico diventa fortemente formativa;
• la conoscenza del metodo di produzione delle conoscenze sul passato diventa un elemento chiave della cultura storica e delle competenze di analisi critica.
Le storie a scala locale: regionale, microareale... possono diventare importanti componenti e generatori di cultura storica e di coscienza democratica.
Solo esse permettono di costruire, rispetto ai territori nei quali si dimora e si dipana la propria esistenza, conoscenze che mettono nella condizione di comprendere la stratificazione attuale delle attività dei gruppi umani che vi hanno agito e di dare significato e valore alle tracce depositate e che formano i paesaggi osservabili.

Tante storie, tanti musei
Le storie a scala locale non si fanno con i manuali (ancor peggio se fossero manuali istituzionali delle amministrazioni regionali o civiche) e non si fanno come se esistesse una sola storia a scala locale. Anche le storie a scala locale sono tante e non è il caso di ridurle ad una: è molto formativo che gli scolari percepiscano che il territorio esistenziale può essere oggetto di molteplici indagini e di molteplici conoscenze storiche. La storia locale può provvedere di modelli concettuali, di schemi cognitivi, di basi di riferimento che agevolano la comprensione delle storie a scala maggiore. È salutare che gli studenti escano da un intero percorso di studi con un patrimonio di cui facciano parte una decina di conoscenze a scala locale elaborate con ricerche storico-didattiche mediante molteplicità di libri e mediante pluralità di fonti. I libri sono nelle biblioteche, le fonti sono negli archivi, sul territorio, nei musei...
In tale prospettiva diventano essenziali i musei e tutto il patrimonio culturale. Nei musei archeologici è possibile trovare i mezzi per ricostruire gli aspetti di civiltà antiche e medievali che si sono sviluppate nei territori regionali, nei musei etnologici è possibile ricostruire aspetti della cultura materiale e le pratiche, nei musei artistici è possibile organizzare l’uso di pitture e di sculture allo scopo di elaborare conoscenze sulla civiltà artistica, i musei del Risorgimento offrono risorse per la comprensione di aspetti della società ottocentesca, ecc. In ciascuno di essi gli scolari possono fare esperienze interessanti e formative rispetto alla trasformazione degli oggetti museali in strumenti di informazione e possono abituarsi all’osservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale. Possono comprendere che esso è disponibile per la ricostruzione di tante storie e rendersi conto che le risorse professionali e finanziarie necessarie per la tutela, lo studio, la messa in mostra sono ben impiegate.
Grazie alle tante storie elaborate si formano cittadini e professionisti consapevoli e capaci di agire o reagire nella vita delle comunità.

Ivo Mattozzi

Note
L’articolo proposto è stato pubblicato per la prima volta nel volume AA.VV. (2004),
Il museo come luogo di incontro. La didattica museale delle identità e delle differenze, Regione del Veneto.

 

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