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Tra ricerca e didattica

Le attività dell'Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea in Valle d'Aosta

Il profano, ma anche qualche operatore culturale, quando sente parlare di Istituto storico della Resistenza fatica a trattenere una reazione di fastidio: “Ancora la Resistenza? Ma non si può parlare di qualcos’altro?”
Chi, come me, lavora in un Istituto della Resistenza e sente, o avverte, la domanda, non può fare finta di niente. Se ha passato metà della sua vita nella scuola, si è fatta un’idea di come ragionino i ragazzi. Siamo onesti: l’evento “25 aprile” risale a sessantadue anni fa. Per uno studente delle secondarie di primo o anche di secondo grado è sprofondato nel passato quanto poteva esserlo per me il “4 novembre” o il “20 settembre” o il “23 marzo”. I sopravvissuti della guerra di Liberazione sono sempre meno. Il racconto delle loro vicende evoca ai ragazzi un tempo che si appiattisce su un passato ormai troppo generico. Le commemorazioni, utili per raccogliere la cittadinanza intorno ad un valore, non hanno il potere di accendere l’interesse dei più giovani. L’immensa fortuna toccata all’Europa, ma non per caso, di godere di tanti decenni di pace ha fatto sì che non si dovessero celebrare altri eroi, piangere altre vittime, aggiungere al calendario altre date.
Non che nel frattempo non sia successo nulla: altrove si è continuato a fare la guerra; si è realizzata l’Unione europea; è “caduto” il comunismo, uno dei grandi vettori della storia del XX secolo; ma eventi discriminanti, che determinano un prima e un dopo, come quelli che si addensano attorno al ’43-’45 non si sono ripetuti in Italia; il 25 aprile dovrebbe quindi evocare, oltre che la fine di una guerra e la Liberazione dal nazismo e dal fascismo, lo sbocciare di una nuova fase storica. Fase tutt’altro che lineare e scontata, durante la quale nascono la Repubblica, la Costituzione e lo Statuto d’Autonomia per la Valle d’Aosta, l’Unione europea, creature nutrite da linfe che scorrono già prima della Resistenza.

Di questa fase, oggi, si analizzano i risvolti nel tormentato dopoguerra e nella storia della Repubblica. Ben si comprende quindi la mutazione significativa avvenuta nella stessa ragione sociale degli Istituti regionali e provinciali di storia della Resistenza: quasi tutti hanno esteso l’ambito delle loro competenze; basta scorrerne l’elenco: una parte ha integrato “della Resistenza” con “e della società contemporanea”; altri con “e dell’età contemporanea”; altri con “e dell’Italia contemporanea”. Gli Istituti delle Province di Cagliari e Sassari scrivono “della Resistenza e dell’Autonomia”. E non l’hanno certo fatto per l’esaurimento del loro compito e dei loro campi di indagine. Al contrario, l’ampliamento della ragione sociale è solo la presa d’atto di fatti pregressi.
Scorriamo ancora un elenco, quello delle ricerche fatte nell’ambito dell’Istituto di Aosta e pubblicate dal 1974 ad oggi, un centinaio di titoli. Ci troviamo una storia della Resistenza in Valle d’Aosta di Roberto Nicco (due edizioni, 1990 e 1995) e altri titoli sui temi resistenziali (anche nell’ambito Progetto Interreg I sentieri della libertà – Les sentiers de la liberté); ma accanto ad essi ce ne sono alcuni sul fascismo, diversi sulla deportazione, mentre tutti gli altri sono sulla popolazione, sull’economia, sull’emigrazione sulle vicende di protagonisti della vita politica e intellettuale, sulla stampa, sulla chiesa aostana, sull’Autonomia, sulle idee di storici e di “maestri” che hanno contribuito alla causa valdostana. Il ’900 valdostano, poi, è stato ricostruito fino agli anni ottanta, nell’opera, pensata anche per la scuola, di Elio Riccarand. L’arco cronologico delle ricerche va quindi dalla Restaurazione ai giorni nostri.
È vero che nessuna delle pubblicazioni dell’Istituto di Aosta è accademica e poche hanno un carattere specialistico, ma una cosa sono i libri destinati a ricercatori o lettori adulti colti e intellettualmente curiosi, altra i sussidi pensati specificamente per mediare tra i saperi esperti e quell’utenza specialissima che è la scuola, sensibile e refrattaria al tempo stesso, accessibile solo con le chiavi e le procedure adeguate. Un insegnante conosce bene la differenza che passa tra ricevere un libro e leggerlo, tra assistere passivamente a una conferenza e parteciparvi con profitto.
Rompere la crosta: questo è il problema; e farlo non ricorrendo alla mozione degli affetti, che non basta da sola a costruire conoscenze, ma intrecciando la nostra proposta nel tessuto della formazione che quel determinato gruppo di studenti sta facendo in quel dato momento dell’anno e della carriera scolastica.
Gli Istituti della Resistenza in Italia hanno progressivamente acquisito consapevolezza di questo. I loro servizi si sono affinati via via. Dopo una prima fase di raccolta di testimonianze e documenti, seguita da una di ricerca specialistica, hanno affiancato a queste attività anche la didattica nei loro obiettivi e aperto delle sezioni specifiche; oggi gli Istituti storici sono riconosciuti dal ministero dell’Istruzione come enti formatori. Quello di Aosta ha già svolto una sua parte, in collaborazione con gli enti locali, le scuole, gli istituti di ricerca didattica e formazione.

Il fatto è che le istanze formative extrascolastiche che insistono sui nostri studenti sono tante… e hanno tutte titoli e ragioni per proporsi. Da qui la questione cruciale: che spazio può ritagliarsi il nostro Istituto nel mercato della formazione?
Io credo che possa aiutare gli insegnanti a costruire degli strumenti per accostare criticamente e senza semplificazioni la storia del XX secolo. In particolare, può cooperare all’impresa di integrare la Storia, i grandi eventi e i fenomeni su larga scala con la storia regionale e transregionale: il risultato sarebbe che la storia locale risulterebbe meno asfittica, liberata dal presupposto della sua unicità e incommensurabilità. Inoltre, la storia dei manuali risulterebbe meno astratta se fosse riscontrata con fatti, figure, condizioni di vita appartenuti al territorio.
E la Resistenza che, in fin dei conti, è il nocciolo attorno cui si è aggregato tutto il resto? Non è un percorso scontato. Se oggi qualcuno si mettesse a concionare davanti ai ragazzi sui valori della Resistenza forse riceverebbe poca attenzione. Il punto non è rievocare la Resistenza, ma darle un senso agli occhi della nostra utenza. Se noi, non dico crediamo, perché non si crede nella Resistenza, ma le riconosciamo un carattere esemplare e fondativo, dobbiamo preoccuparci della sua significatività per le scelte che i suoi diversi protagonisti hanno voluto fare. Occorre, poi, immettere l’evento Resistenza in un continuum: non solo, come già si fa, collegandola con la Costituzione e la democrazia riacquistata, ma facendo osservare che la costellazione di eventi (dittatura, guerra, persecuzione razziale, genocidi), in forza dei quali è sorta allora, si è riprodotta in seguito e continua a riprodursi sotto i nostri occhi; e che per conseguenza la Resistenza è attuale e contemporanea.

Silvana Presa

 

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