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L'alba della parola
La realizzazione di un progetto
teatrale, esperienza a molteplici
sfaccettature, ha permesso
ad un’alunna disabile di aprirsi
alla comunicazione e alla relazione.
Il primo giorno di scuola era alle porte. Mi avevano parlato molto di M., ma io ancora non la conoscevo, così cercavo di immaginare il suo volto di bambina scorrendo, uno ad uno, i musetti di quella moltitudine di cuccioli ormai cresciuti che ascoltavano, vicino ai loro genitori, le parole di benvenuto della nostra dirigente.
Eravamo tutti eccitati e ansiosi, perché una grande avventura stava per cominciare…
I compagni delle elementari dicevano che M. era muta, poiché nessuno di loro aveva mai sentito quella voce che a scuola spariva, per riapparire lontano, a casa, dove nessuno poteva ascoltarla, neppure gli insegnanti. Gli anni di silenzio scolastico erano diventati ormai otto e avevano costruito addosso a M. una realtà difficile da gestire.
Il primo giorno di scuola - Avrei voluto essere un pittore per disegnare su M. una bambina nuova, con la sua identità restituita. Non volevo che mi dicessero “Lei è muta”, perché mi s’incollava addosso un sentimento di rassegnazione che non intendevo accogliere. Il suo sguardo mi diceva che potevo cercare in lei il potere della sua voce, che avevo il permesso di trovare quel suono e di riportarlo alla luce.
Non avevo molto tempo, la trasformazione doveva essere rapida e volevo che cominciasse dagli altri: dovevo convincere i compagni che ciò che pensavano di M. apparteneva ad un antico passato, che ora lei era nuova, come la scuola media, grande, accogliente come una mamma e tutta da sperimentare. Volevo farcela entro la prima settimana di scuola, sfruttando il progetto accoglienza. Alcuni suoi compagni erano sfiduciati, “Tanto lei non parla”, mi dicevano, ma io insistevo. Così, quasi per gioco, durante il progetto linguistico, recitando quella strana filastrocca del povero Picione Skiaciato, M. ha iniziato a cantare la sua prima rima lasciando tutti di stucco. La farfalla aveva donato la sua prima lieve carezza…
Il passo successivo? Trasformare quel battito leggero nel volo deciso di un’aquila.
Alle elementari, c’era stato un angelo vicino a M., un bambino allegro, un piccolo birbante che, con la sua fame d’attenzione, non aveva mai smesso di stuzzicarla per strapparle dalla bocca un qualunque suono. Ma la brava gattina non aveva mai ceduto.
Pensavo che sarebbe stato bello riportare quel piccolo angelo birichino a fianco di M., così organizzai l’incontro: un momento di studio condiviso. M. era già in biblioteca con i suoi quaderni aperti e qualcosa da leggere, mentre l’angelo birichino era in ritardo come suo solito, ignaro della sorpresa che lo attendeva. Entra, la vede e, con l’aria di chi ormai ha perso la sua battaglia, la saluta ad occhi bassi sapendo che l’unica risposta l’avrebbe data il silenzio. Ma, a quel suo “Ciaaao” rassegnato, la mia gattina risponde con un “Ciao” tanto dolce e lieve quanto improvviso, come una valanga. Lui la guarda, mi guarda, cade e urla:
“Ma lei parla! Allora parla! Non ci posso credere!”
Così è cominciata la nostra avventura. Ora potevamo iniziare a recuperare quella meravigliosa persona che le si nascondeva ancora dentro.
Monica Pioppo
Docente - I.S. Saint-Roch di Aosta
Il progetto di teatro:
Dai borborigmi alle parole… esprimersi per evolvere
Ho incontrato la bambina che non voleva parlare nella primavera del 2003: era ancora un’alunna della scuola elementare, frequentava la classe quinta ed era avvolta in una nuvola di silenzio. Nella sua storia scolastica il silenzio durava dalla scuola materna.
A casa parlava così come con la sua insegnante di sostegno, con cui lavorava quasi sempre individualmente. Con quest’ultima aveva scritto un intero quaderno su cui era tracciata, con parole scritte o dettate, la sua storia, ma soprattutto la sua sofferenza. L’insegnante di sostegno, fiduciosa in uno sblocco possibile, mi contattò per chiedermi se potessi intervenire per trovare delle strategie che facilitassero il passaggio alla scuola media e il nuovo inserimento senza che si creassero ulteriori traumi.
Non sapevo ancora che avrei messo duramente alla prova l’essenza stessa del mio lavoro con i linguaggi non verbali, nella transizione verso la parola.
La bambina che non voleva parlare accettava la mia presenza, la richiedeva, ma non avrebbe mai parlato in mia presenza. Insieme, durante una decina di incontri, abbiamo messo in scena i suoi racconti scritti nel famoso quaderno dei Mormorii interiori. La bambina era la regista, allestiva lo spazio, decideva il racconto del giorno e definiva le scene; quindi ci guidava, a gesti. L’insegnante di sostegno ed io ubbidivamo alle regole drammatiche scelte da lei. Si è instaurata, così, una relazione triangolare in cui le due figure adulte giocavano ruoli propri alla vita ed ai pensieri della bambina, dando corpo e concretezza a tanti sentimenti inesprimibili e dandole modo di distanziarsi dai suoi pensieri ossessivi diventandone spettatrice e regista. Questo è il modo scelto da una bambina rinchiusa nel suo silenzio e nel suo ruminare interiore per accettare una figura estranea e trovare altre strategie di comunicazione che le permettessero di aprire nuovi orizzonti, di accettare nuovi sbocchi per la sua sofferenza.
Nel frattempo, lavorava intensamente con la psicologa all’ingresso nella scuola secondaria di primo grado e preparava l’esame di quinta con le sue insegnanti. L’insegnante di sostegno riferiva che la bambina era entusiasta del cambiamento, diceva di essere pronta a studiare. Nella riunione finale con il gruppo di appoggio e i genitori, facemmo un bilancio positivo dell’esperienza e decidemmo di riproporla all’ordine di scuola successivo poichè sarebbe potuta servire da ponte tra i due ordini di scuola e tra i due mondi: quello della scolara pronta a studiare e quello della bambina ripiegata sulla sua sofferenza.
Il progetto
All’ingresso nella scuola media, tuttavia, la bambina che non voleva parlare comincia a parlare con i suoi compagni e a partecipare alle attività della classe, si dimostra interessata all’attività scolastica e si dice disposta a studiare per colmare le numerose lacune accumulate.
Sicché, insegnanti ed educatori s’interrogano sul ruolo di ciascuno e cercano soluzioni educative e di socializzazione: è necessario, quindi, che essi ripensino il progetto di intervento in base agli elementi di novità riscontrati.
Di conseguenza, quando la scuola media riprende i contatti con me per la definizione di nuove linee programmatiche, decidiamo insieme di riprogettare l’intervento facendo in modo che sia più rispondente alla nuova situazione. Non è più necessario focalizzare tutto il lavoro sulla necessità pressante di penetrare nel silenzio e di permettere un’espressione adeguata nelle relazioni. Ci possiamo allora concentrare su altri aspetti:
• verificare la natura delle relazioni con i pari;
• permettere l’espressione di emozioni e di stati d’animo in un ambiente privilegiato;
• permettere la circolazione di informazioni ed impressioni tra luoghi e persone completamente differenti, in modo da non creare blocchi rigidi o comunicazioni a compartimenti stagni;
• verificare la capacità dell’alunna di elaborare i cambiamenti;
• verificare la capacità di collegamento tra situazioni differenti.
Si decide, nella ristrutturazione del progetto, di privilegiare un aspetto che ci sembrava fondamentale, viste le variazioni di comportamento della bambina: darle la possibilità di sperimentare dei registri diversi di comunicazione e farne una sintesi di elaborazione con lei, al fine di permetterle di integrarli nel suo bagaglio ed adattarli alle sue capacità.
Si pensa allora alla realizzazione di un laboratorio ludico e teatrale avente come tema la drammatizzazione di alcune poesie studiate in classe con l’intero gruppo degli alunni della classe prima, con gli insegnanti di sostegno, di musica, di italiano e con l’educatrice. Questo lavoro sarebbe stato presentato in una giornata di scambi e di festa prima della chiusura della scuola per le vacanze natalizie.
Si lavora per piccoli gruppi per poi tornare al grande gruppo, si presentano le proposte di drammatizzazione delle poesie e si fissano alcune linee scelte collettivamente. Ognuno ha un ruolo, sia individualmente che coralmente.
Gli obiettivi sono quelli di imparare mediante il gioco a:
• prendere coscienza di se stessi, del proprio spazio vitale, delle proprie dinamiche, delle proprie risorse;
• scoprire l’esistenza dell’altro, del suo spazio, delle sue difficoltà;
• dialogare con lui;
• rispettarlo.
Le riunioni periodiche con l’insegnante di sostegno, l’educatrice e la famiglia hanno permesso una condivisione dell’esperienza ed un confronto tra i materiali prodotti durante il percorso ed il comportamento della bambina nella vita di tutti i giorni.
La riunione finale con la psicologa, la logopedista e la famiglia è servita da punto di partenza per una discussione sulle manifestazioni espressive della ragazza in vari momenti e situazioni della sua vita.
I risultati dell’esperienza
In due anni di intervento congiunto con la scuola, l’équipe psico-pedagogica e la famiglia, i progressi della bambina che non parlava sono notevolissimi e dimostrano il carattere evolutivo delle sue difficoltà.
L’esperienza è interessante perché mette in luce un’opera di coordinamento tra le varie persone che sono a contatto diretto con la ragazzina e crea, attraverso la sua esteriorità, il punto di coesione tra diversi orizzonti.
La bambina che non parlava ha dimostrato di avere enormi potenzialità bloccate da una storia personale complessa e da un’estrema sensibilità che le permette, per altro, di trovare delle risorse creative estremamente finalizzate ed elaborate.
Ha saputo sfruttare appieno la varietà dell’esperienza per costruire nuove possibilità di relazione. Dal teatrino interiore dei mormorii siamo passati a delle vere e proprie rappresentazioni con e per i compagni su temi oggettivi, avulsi da qualsiasi storia personale, per ritornare, in seguito, ad una storia più intima nello spazio individuale, ma molto più centrata sulle preoccupazioni quotidiane: come vivere la presenza di un fratello, come gestire la rabbia, come affrontare la solitudine, come trasferire le capacità ed i sentimenti senza distruggere le relazioni né paralizzarle.
La passione per la regia drammatica ha portato la bambina che non parlava ad inventare spesso scenari dove lei si trovava nelle vesti della marionettista o della coreografa, ma l’ultimo racconto inventato parlava di una mamma (interpretata da lei) che cucinava cibi gustosi per i suoi figli e per i parenti più cari nel giorno di Natale. Il tutto culminava con uno spettacolo dei bambini per gli adulti. “Finalmente una giornata felice” è stato il suo commento! Quasi a convincersi che è davvero possibile!
Miranda Fanny-Fey
Arte-terapeuta
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