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Il tasto magico

Lo sforzo congiunto di docenti, assistenti educatori e alunni favorisce la comunicazione di pensieri, bisogni ed esigenze.

L. è un ragazzo autistico di 20 anni, non verbalizzato. Ho cominciato a lavorare con lui nel 2004 inserendomi nel progetto scolastico ed educativo avviato dall’équipe e dall’educatore precedente. Nel 2004 ho iniziato un percorso di Comunicazione Facilitata, in collaborazione con il Centro Studi sulla Comunicazione Facilitata di Zoagli (Ge), che ha permesso a L. di comunicare bisogni, esigenze, desideri e pensieri.
Lo strumento comunicativo mi ha aiutato a costruire un progetto che permette nuove esperienze, che facilita l’indipendenza di L., che consolida ciò che ha appreso inserendo attività che possono creare nuovi stimoli per il ragazzo e per chi lavora con lui.

Chi è L.?

L’autismo è una sindrome ancora in fase di studio. La teoria più accreditata la definisce come “un’alterazione dello sviluppo dei sistemi metacognitivi e di rappresentazione di specifiche funzioni neuropsicologiche”. In poche parole, un autistico ha una rappresentazione della realtà diversa rispetto a noi e non sempre riesce ad interagire e relazionarsi correttamente. Vivendo in questo mondo molto particolare (difficoltà nell’interpretare la nostra realtà ed impossibilità a comunicare con la parola), diventa terribilmente abitudinario nelle azioni che compie perché queste rappresentano per lui delle sicurezze. Per non creare traumi che possono manifestarsi anche dopo diverso tempo, ogni cambiamento va debitamente spiegato tenendo conto che, in queste persone, anche la rielaborazione del vissuto avviene in maniera autistica, quindi diversa.
L., per certi versi, presenta aspetti vantaggiosi rispetto alla sua patologia: è socievole, ama stare in mezzo agli altri, comprende tutto ciò che gli si dice, anche se talvolta non sembra. Purtroppo, però, non è in grado di dare le risposte che ci aspetteremmo.
L. è molto adesivo. Con questo termine intendo dire che difficilmente prende l’iniziativa, fa capire ciò che vorrebbe, si fida di chi gli sta intorno e lavora con lui. Inoltre, non riuscire a comunicare con le parole gli crea momenti d’ansia. Chi lavora con lui impara, tuttavia, a comunicare con lo sguardo, attraverso i piccoli gesti e, soprattutto, attraverso la comunicazione facilitata.
Le crisi d’ansia si manifestano con l’incapacità di controllarsi a fondo: urla e ha difficoltà a stare fermo, pur risultando sempre inoffensivo e mai violento nei confronti degli altri. Non si tratta di una reazione voluta, ma incontrollabile.

Il Progetto

Attività scolastiche – L. ha frequentato la scuola con un orario particolare che prevedeva l’ingresso poco dopo le otto per evitare il caos dell’entrata. L’orario definitivo è stato redatto nel corso delle prime settimane di scuola in base agli insegnamenti e alle attività programmate. L’obiettivo era quello di far rimanere il ragazzo il maggior tempo possibile in classe soprattutto durante le ore destinate all’area di base (italiano, storia, geografia e storia dell’arte) e all’educazione fisica.
Nelle prime ore della mattinata, ha sempre lavorato sulle discipline continuando, con l’operatore di sostegno, il percorso di comunicazione facilitata, svolgendo sia esercizi di comprensione di testi sia altre esercitazioni consigliate dal Centro studi.
La permanenza in classe ha rappresentato un momento costruttivo. Le attività sono state, in parte, svolte lavorando idividualmente, grazie anche alla creazione e all’utilizzo di ausili didattici che gli permettessero di seguire una parte del programma, e, in parte, ascoltando per ottenere nuove informazioni e trarre spunti per eventuali lavori individuali e discussioni. Sono stati previsti anche momenti di relax per non creare in L. ansia da prestazione o un eccessivo affaticamento. Infatti, pur essendo collaborativo, il ragazzo è ancora parzialmente soggetto a piccoli disagi quando le richieste diventano più complesse e quindi troppo elevate per lui. Al contrario, una volta raggiunto il risultato richiesto, manifesta entusiasmo per il superamento della prova.
Per quanto riguarda le lezioni di educazione fisica, abbiamo continuato il programma di psicomotricità in collaborazione con il docente di classe.
Il programma prevede la sua integrazione nella maggior parte dei giochi ed esercizi effettuati dai compagni che, a turno, lo seguono spiegandogli i movimenti e le azioni da svolgere; lo svolgimento di esercizi di gruppo che aumentino la fiducia in se stesso e negli altri; l’esecuzione di percorsi ad ostacoli di vario tipo e difficoltà; la partecipazione a giochi di squadra dei quali abbiamo fissato, dopo averle rielaborate, le regole; lo svolgimento di particolari esercizi come le capriole, il salto con il tappeto, la corsa all’indietro.

L’atteggiamento dei compagni - I compagni di classe si sono sempre dimostrati attenti ai suoi problemi interagendo con lui e facendolo sentire parte del gruppo classe. A supporto della loro volontà, la professoressa di italiano e storia ha fatto svolgere un lavoro di approfondimento incentrato sulla conoscenza e la comprensione della sindrome autistica.

Attività extrascolastiche – L. partecipa ormai da diversi anni ad un progetto di ippoterapia seguito da un istruttore. Di anno in anno, è stato in grado di seguire percorsi prestabiliti, sta acquisendo sempre più fiducia in se stesso, dimestichezza con il cavallo e partecipa a tutte le fasi di preparazione.
In piscina, luogo che ormai conosce bene e attività verso la quale manifesta un forte interesse, viene seguito anche in vasca dall’operatore di sostegno. Lavora sulla rana, sul dorso e su giochi di diverso genere finalizzati a migliorare alcuni movimenti delle gambe e delle braccia. Indubbiamente, ha un ottimo rapporto con l’acqua che rappresenta per lui un momento di attività sportiva, di scarico delle ansie e di estremo relax. Ha sempre utilizzato le vasche per adulti, lavorando e prestando grande attenzione alla figura adulta di riferimento e, soprattutto, rispettando le regole del luogo in cui si svolge quest’attività: non andare addosso agli altri nuotatori, tenere la destra, farsi la doccia prima di entrare in vasca.

Metodologie e strumenti

L. si mostra sempre interessato ed incuriosito dalle nuove attività. La partecipazione del ragazzo non viene imposta, ma concordata con lui grazie alla Comunicazione Facilitata, attraverso la quale può esprimere preferenze, predilezioni o interessi. Accetta volentieri anche il lavoro di gruppo. Unica attenzione, nella quotidianità, è quella di spiegargli in anticipo i cambiamenti per non acuire la sua ansietà.
Questa metodologia si è dimostrata vincente anche nei momenti in cui i suoi ritmi e la programmazione della sua giornata sono stati completamente sconvolti. Ed è un’accortezza indispensabile per poter lavorare in maniera proficua.

Maurizio Garino
Docente di sostegno - I.P.R.A. Châtillon

“Presumere competenze e offrire opportunità di istruzione e partecipazione sono doveri prioritari di ogni educatore”

(D. Biklen)

La Comunicazione Facilitata (CF) - è una tecnica che consiste in un insieme di strategie finalizzate ad incrementare la possibilità di comunicare in persone il cui linguaggio verbale è assente, limitato o non efficace e la cui capacità di utilizzare il gesto di indicazione a scopo comunicativo non è realizzabile coerentemente. Tale condizione caratterizza in prevalenza le persone autistiche, ma non solo.
WOCE, acronimo inglese che sta per Written Output Communication Enhancement (Scrittura per lo Sviluppo della Comunicazione), è l’evoluzione di un’intuizione avuta da un gruppo che ha sperimentato la CF in Italia. Si tratta di una strategia riabilitativa ed educativa che si colloca nel razionale delle scienze cognitive e che è monitorata, nella sua applicazione ed efficacia, dal Laboratorio di Epidemiologia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
In Italia, si accede alla CF e a WOCE attraverso un esperto, ovvero un supervisore formato, che effettuerà una valutazione sulla possibilità/necessità di usare tale tecnica, ne integrerà l’utilizzo in un progetto individualizzato e supervisionerà costantemente le persone coinvolte, ovvero i facilitatori/operatori WOCE.
Altri gruppi di lavoro sono passati da CF a Comunicazione Facilitata Integrata (CFI) per sottolineare che: la facilitazione della scrittura è solo una tecnica per comunicare da collocarsi all’interno di un progetto strutturato; non esclude l’utilizzo di qualsiasi altra strategia o metodo; non si tratta né di un obiettivo di per sé, né di un’attività slegata dalle altre.
In Italia, la si utilizza dal 1994. Come spesso succede, si è partiti dalla pratica per cercare poi una spiegazione scientifica al successo di questo intervento. È una tecnica delicata e controversa, difficile da validare scientificamente. Variabili caratteristiche, per esempio il fatto che debba esserci una buona relazione tra facilitato e facilitatore o, ancora, che le persone autistiche poco tollerino le situazioni di valutazione o che si lascino condizionare dalla presenza di estranei, non ne consentono la verifica tramite un processo di validazione scientifica.
A volte reticenze, in questo caso sovente da parte dei genitori, derivano dalla convinzione errata che, utilizzando uno strumento alternativo per comunicare, i bambini rinuncino a parlare. Questa idea è smentita dalla ricerca scientifica che ha dimostrato come qualsiasi strumento che evita l’isolamento comunicativo è, in realtà, oltre che fondamentale per la strutturazione del pensiero, fonte di motivazione e sostegno all’uso della comunicazione verbale (I. Rapin, 1996). Tra le conseguenze più evidenti e immediate dell’introduzione di una tecnica per comunicare, spesso vi è la riduzione dei comportamenti problematici e il conseguente incremento di partecipazione alla vita sociale (Howlin e Rutter, 1987 – Durand e Carr, 1991).
Altra obiezione che viene spesso portata è che sia il facilitatore a guidare il facilitato nella scrittura. La stretta supervisione di un esperto nell’utilizzo della tecnica è finalizzata tra l’altro ad impedire che si verifichi un influenzamento, fenomeno che in alcune situazioni si può manifestare. Fondamentale è che non venga negato, ma riconosciuto, corretto e monitorato.
Molto sono emozionato” è il significativo titolo di un articolo che espone le metodiche e i risultati di un lavoro di ricerca condotto dall’Università di Padova. Attraverso un’analisi linguistica e statistica, si è arrivati alla conclusione che il linguaggio scritto delle persone autistiche ha delle peculiarità tali da renderlo distinguibile da quello del facilitatore, indicazione questa di originalità ed autonomia espressiva.
Esiste il rischio di creare una dipendenza? Occorre sempre considerare che obiettivi di un progetto di facilitazione della scrittura sono proprio l’autonomia di pensiero e l’autonomia della prassia stessa della scrittura su tastiera. Questi ragazzi sono comunque dipendenti dagli altri per vivere, non solo per comunicare. In questa situazione, viene offerto loro un supporto finalizzato a garantire la possibilità di comunicare con una modalità più sofisticata rispetto alla comunicazione non verbale, quindi meno interpretabile e più efficace.
Nell’esercizio della mia professione di logopedista non potrei fare a meno di questo strumento di comunicazione; il mio lavoro si costruisce e si modifica con la continua collaborazione dei soggetti coinvolti, parte attiva del progetto che li riguarda.

Karen Faustini
Logopedista - Usl Valle d'Aosta

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