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Il tasto magico
Continuare a ricevere una formazione
durante un periodo della propria vita
in cui si è costretti a cure
e degenze ospedaliere, a volte lunghe, consente a tanti giovani di guardare
con più fiducia all’avvenire.
Sono molteplici i luoghi fisici in cui un docente può svolgere la propria funzione: città grandi o modesti centri di provincia, villaggi di campagna o di montagna, piccole isole o reparti ospedalieri.
Il diritto allo studio è un principio fissato nella nostra Costituzione che garantisce pari opportunità a tutti i cittadini prescindendo da peculiarità geografiche, ostacoli economici, di classe o di qualsivoglia altra natura, ivi compresi quelli cognitivi o relativi allo stato di salute.
L’integrazione dei ragazzi portatori di handicap nelle classi comuni, realizzatasi nel 1977, e l’istruzione ospedaliera costituiscono alcuni degli esiti dell’estensione di tale diritto.
Un po’ di storia
Le prime esperienze di scuola in ospedale risalgono agli anni ’50: si trattava, in realtà, di sezioni inglobate nelle scuole speciali finalizzate ad alleviare il disagio del re-inserimento dei ragazzi nelle classi comuni. Soltanto nel 1996, con la C.M. 345, la scuola in ospedale è istituita formalmente e, grazie ad un atto legislativo successivo, la Legge 440/97, si individuano i fondi per finanziarla.
Essa fu pensata come un progetto da inserire nel POF con la duplice valenza di allargare l’offerta formativa e, al contempo, contrastare una potenziale forma di dispersione scolastica.
Si tratta, pertanto, di sezioni staccate di scuole del
territorio, un certo numero delle quali messe in rete, facenti capo ad una scuola-polo. Attualmente, in Italia, esistono 163 sezioni ospedaliere disseminate nei vari reparti, quasi in ogni regione, con un coinvolgimento attivo di 600 docenti.
Dalle prime esperienze, che includevano forme di volontariato, fino ad oggi, il percorso della scuola in ospedale è stato, anno dopo anno, sempre più fluido ed efficace e ha permesso ai ragazzi ospedalizzati di rimanere in contatto con le classi e continuare con successo il proprio iter formativo.
Qualche dato
Svolgo la mia attività presso il Liceo Scientifico Umberto I del Policlinico di Roma che fa capo al Liceo Tullio-Levi Civita, la scuola-polo dalla quale proviene il coordinatore del servizio, il prof. Alessandro Bellia. La nostra è una delle tre scuole secondarie di secondo grado della Regione Lazio ed è operativa dal 1999: si trattava, all’epoca, di una sperimentazione avviata dal provveditore Paolo Norcia nella Clinica Ematologica, un’ipotesi di intervento da sottoporre a monitoraggio e verifica.
Fu istituita formalmente solo nel 2003, divenendo una realtà radicata nel tessuto del Policlinico, estendendo, nel tempo, il servizio scolastico ad altre cliniche, quali Neuropsichiatria, Pediatria Oncologica e Fibrosi Cistica.
La tabella dove sono riportati i dati relativi all’attività svolta, suddivisi per numero di alunni e reparti, a partire dalla sua costituzione, evidenzia che dal 1999 ad oggi sono stati circa 700 gli studenti intercettati, un centinaio i docenti impegnati nell’esperienza, circa 10.000 le ore di lezione erogate, 25 le scuole romane messe in rete le quali hanno, del resto, costituito il bacino di provenienza dei docenti coinvolti.
Gli studenti
Gli studenti che incontriamo nei reparti provengono da istituzioni scolastiche diverse e da varie regioni, con una maggiore incidenza di alunni del primo segmento delle scuole superiori.
Per quanto concerne le tipologie di malattia con cui entriamo in contatto, quelle che impegnano maggiormente la struttura con lunghe degenze sono, nel reparto di Ematologia, le leucemie acute ed i linfomi, in quello di Neuropsichiatria i disturbi alimentari e del comportamento, nei reparti di Pediatria Oncologica e Fibrosi Cistica le patologie tumorali.
I tempi di degenza possono variare da una settimana a sei mesi, con alternanza tra ricoveri e day-hospital in relazione ai diversi protocolli terapeutici.
Rapporti con la scuola di provenienza
Al momento della presa in carico degli alunni lungo-degenti, si stabiliscono contatti con le loro scuole dapprima solo informali e telefonici, successivamente documentali.
Il coordinatore del servizio ospedaliero si fa carico di tali comunicazioni attenendosi ad un protocollo standard che prevede:
• il consenso della famiglia;
• il raccordo con il coordinatore di classe;
• la richiesta della programmazione prevista;
• l’elaborazione di un percorso di apprendimento individualizzato;
• l’invio di una documentazione con informazioni relative ai contenuti disciplinari erogati ed un giudizio sommativo.
I consigli di classe si fanno successivamente carico della valutazione formale accogliendo gli elementi forniti dalla scuola in ospedale.
Funzione docente
Lavorare come docente ospedaliero significa attenersi costantemente ad un criterio fondamentale: la flessibilità; ciò investe tutto il corredo dell’insegnante,
dall’orario di servizio alla programmazione didattica, per
consentire di porre al centro di ogni intervento l’alunno-paziente affinché questi diventi protagonista reale del suo percorso formativo.
Il docente si trova ad operare in un luogo improprio, non in un’aula, ma direttamente nei reparti, in corsia o in strutture attigue, in regime di affiancamento, talvolta di sovrapposizione con il personale medico ed infermieristico. Deve essere consapevole di svolgere un lavoro d’équipe, al fine di poter offrire un servizio globale alla persona in un contesto di particolare complessità.
Il modello pedagogico di riferimento è il Sistema Formativo Integrato, caratterizzato da peculiari contesti di apprendimento dove istituzioni diverse (personale sanitario ed educativo, operatori socio-sanitari, volontari) interagiscono positivamente per conseguire un fine comune, cioè promuovere il benessere dell’alunno, inteso come connubio inscindibile tra diritto all’istruzione e diritto alla salute. L’orario di servizio può prevedere attività in una o più sedi, in relazione ai reparti in cui si lavora e alle esigenze psico-fisiche dei ragazzi.
L’insegnamento in ospedale è una professione di
aiuto che richiede l’esercizio di qualità personali e professionali particolari, con ricadute significative sul
piano relazionale, emozionale, interistituzionale e,
non ultimo, didattico. Il docente è, in primis, un esperto di comunicazione, in quanto deve saper interagire e mediare con enti diversi (scuola, strutture sanitarie, associazioni di volontariato), tutti operanti nella stessa struttura; deve saper accogliere i ragazzi malati
e le loro famiglie facendo spesso ricorso a tecniche
di coaching, al fine di ridurre l’ansia del ricovero e l’apatia che spesso ne conseguono; deve saper valorizzare le qualità positive o residuali dell’alunno e di tutte le figure che agiscono su di lui; deve essere in grado di attivare sul piano emozionale strategie di contenimento di ansia e stress, dal momento che è continuamente esposto a forti impatti emotivi e deve quindi sapersi dare, all’occorrenza, elementi di auto-aiuto per non incorrere nel rischio di burn-out.
In ultimo, per quanto attiene alle competenze più squisitamente professionali, il docente deve saper promuovere, personalizzare e diversificare percorsi formativi relativi a vari indirizzi di studi che devono tener conto dei limiti imposti dalla patologia in atto.
E per finire
Se ci si soffermasse a considerare alcuni aspetti strutturali pur oggettivi dell’istruzione ospedaliera, si potrebbe essere indotti a credere che i docenti che vi operano vivano un’esperienza di deprivazione sotto molti profili.
Le ragioni potrebbero non mancare operando un semplice confronto tra i due modelli.
La risultante di questo ragionamento logico potrebbe restituire un’immagine della scuola in ospedale densa di criticità. E tuttavia, pur senza disconoscere le difficoltà intrinseche che questa struttura crea, è legittimo affermare che essa possiede dei punti di forza, delle peculiarità che ne fanno un modello avanzato ed alto del fare scuola.
Entriamo nel merito. In ospedale, la funzione docente è maggiormente centrata sulla capacità di educare e
formare che sulla trasmissione delle conoscenze: le discipline diventano occasione di occupazione attiva e riattivazione di processi cognitivi, costituendo pertanto una forma di riabilitazione. Ciò non deve indurre a
credere che i contenuti siano sempre sacrificati: le lezioni individuali, ispirate ai criteri della didattica breve,
permettono talvolta di coprire un numero di argomenti superiore a quello fissato per il gruppo-classe.
La scuola in ospedale svolge una spiccata funzione di orientamento: mette in essere canali per il rientro non traumatico degli alunni nelle scuole di appartenenza fornendo, nei casi di gravi patologie, indicazioni riguardo alla continuazione del percorso formativo, anche in regime di istruzione domiciliare.
Un interessante contributo “di ritorno” connesso a questa struttura è costituito dal processo di umanizzazione creato negli ambienti ospedalieri d’accoglienza: le stanze dei ragazzi, i corridoi dei reparti si riempiono di disegni e produzioni personali, spesso a colori, alleviando l’angoscia di luoghi dove è presente un’umanità sofferente.
Infine, i feedback relativi alla propria azione didattica sono a più breve termine: la presa in carico degli alunni, infatti, copre un tempo massimo di sei mesi, al termine del quale si realizza il rientro.
Il docente opera, quindi, come un traghettatore contribuendo significativamente a contrastare una sicura forma di drop-out scolastico.
Le gratificazioni possono pertanto essere più intense se confrontate con quelle dei colleghi della scuola tradizionale: i docenti ospedalieri svolgono un ruolo attivo nella risoluzione dei casi, per esempio in reparti quali Neuropsichiatria, e contribuiscono in una certa misura a promuovere il processo di guarigione degli alunni.
Risulta evidente che la scuola in ospedale possiede delle peculiarità tali da richiedere modalità di intervento, risorse professionali e strumenti didattici non standardizzati.
Dalla sua istituzione ad oggi, i ragazzi ospedalizzati vi hanno potuto trovare, in un momento difficile della loro vita, un’oasi di normalità in cui continuare ad essere e sentirsi studenti.
Essa libera le pareti scolastiche, crea un prezioso ponte con l’esterno ed un’essenziale proiezione verso il futuro.
Assunta Larocca
Docente - Liceo Scientifico Umberto I del Policlinico di Roma
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