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Fra oralità e scrittura

Ma sopra tutte le invenzioni stupende, quale eminenza di mente fu quella di colui che si immaginò di trovare modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e tempo, con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta?

Galileo Galilei,
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 1632

Il contributo di Gianmario Raimondi problematizza l’interpretazione delle specificità del testo scritto in rapporto a diverse dimensioni, fra cui quella della persistenza, nel tempo e nello spazio, dell’aderenza a convenzioni condivise in ambiti più o meno specifici e dell’autosufficienza e compiutezza semantica in rapporto ai compiti comunicativi prefissati. All’interno di questi ondivaghi confini, si inscrivono a pieno titolo molte e varie forme differenti di testo, fra le quali quelle che, benché portatrici di tratti indubitabilmente tipici della lingua parlata, si servono, piuttosto che dei suoni della lingua, delle potenzialità offerte dai “vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta” che tanto incantarono Galileo.
Gli studi descrittivi delle caratteristiche delle varietà linguistiche dell’uso fanno, in effetti, spesso riferimento a documenti che, ponendosi al margine tra scritto e parlato, possono essere considerati come vere e proprie fonti orali. Si tratta di diari personali, semplici appunti, annunci, scritture murali, discorsi riportati che, per la pragmaticità degli scopi comunicativi che perseguono e/o per la scarsa alfabetizzazione degli autori, si sottraggono all’azione di filtraggio propria dei processi di trasposizione dall’orale allo scritto. Fonti documentarie di questo tipo hanno permesso, ad esempio, di ricostruire le forme del latino volgare, escluso dalla tradizione scritta eppure alla base di tutti gli idiomi romanzi, e di documentare la storia delle lingue nelle loro progressive tappe evolutive.
Anche per l’italiano, gli studi dedicati al rapporto bipolare fra lingua scritta e lingua parlata si sono orientati tanto sul periodo delle origini quanto sul divenire diacronico delle forme successivamente assunte e più di un linguista è giunto al punto di congetturare per l’italiano contemporaneo l’esistenza di distinte grammatiche per le due categorie della scrittura e dell’oralità.
Partendo, pur senza assumerla per intero, da questa tesi, proponiamo allora qualche ipotesi di lavoro a proposito di quelle forme di scrittura che, mimando il parlato o comunque ad esso ispirandosi, lasciano trapelare attraverso i caratteri scritti tracce più o meno robuste di oralità, configurandosi così in qualche modo come ibride di scritto e parlato. Analizzeremo in particolare le situazioni in cui un atto comunicativo che dovrebbe avvenire oralmente, in presenza di emittente e ricevente (conversare, discorrere, dibattere, ecc. nell’ambito di conversazioni faccia-a-faccia o telefoniche) per ragioni diverse si realizzi invece in differita, attraverso la scrittura. L’esempio più emblematico della tradizione è evidentemente quello della lettera: in assenza del destinatario, l’emittente scrive ciò che vorrebbe dire, simulando attraverso diversi accorgimenti la presenza dell’interlocutore. Non ci occuperemo qui della lettera virtuale, rivolta a destinatari fittizi, che ancora oggi la scuola adotta (troppo) spesso a scopo di esercitazione alla scrittura, in lingua italiana o straniera, e il cui modello, appartenente al genere della finzione letteraria, può essere ascritto alla tipologia testuale narrativa piuttosto che considerato come appartenente al dominio comunicativo. Ci riferiremo, piuttosto, alla lettera privata e personale, amicale o familiare, tradizionalmente impiegata come forma di comunicazione a distanza. Ad essa, infatti, sono in qualche modo imparentate, pur con significative distinzioni, le differenti forme di parlato trasmesso che oggi imperversano nella comunicazione giovanile e che si realizzano attraverso forme che sempre meno si affidano a strumenti tradizionali come carta e penna, privilegiando piuttosto le nuove tecnologie (computer e telefoni cellulari) o eventualmente anche supporti insoliti o inappropriati come muri, banchi o panchine, tanto per citare soltanto alcuni dei maggiori testimoni dei graffiti moderni. Le tipologie di messaggio cui facciamo riferimento (lettere personali, sms, e-mail, interventi su blog e chat, graffiti, ecc.), benché molto differenziate sotto il profilo funzionale e secondo gli scopi comunicativi, possono tuttavia essere accomunate per la condivisione di alcuni tratti, come l’effimerità e la dialogicità (con sfasature temporali tra emissione e ricezione molto variabili, ma comunque sempre in rapporto a un interlocutore dato), e per differenza rispetto a gran parte delle altre forme di scrittura, non soltanto scolastica, alle cui convenzioni si sottraggono in tutto o in parte. Ciò che ci proponiamo, allora, di verificare nelle prossime righe è di delineare quanto e come le scritture giovanili mimetiche del parlato si allontanino dagli schemi delle scritture convenzionali e se e come queste violazioni possano eventualmente essere impiegate dagli insegnanti per rendere gli allievi maggiormente consapevoli delle differenze esistenti tra scritto e parlato, in modo tale che le eventuali commistioni fra le due categorie siano controllate e intenzionali piuttosto che, come sembra frequentemente accada, determinate da ignoranza delle diverse modalità di funzionamento dei due sistemi.

Scrivere il parlato

Le tipologie di testo cui stiamo facendo riferimento sono soggette a margini di oscillazione piuttosto ampi, in rapporto alla conoscenza delle convenzioni generali di scrittura di chi scrive, della tipologia dei rapporti che intrattiene con il destinatario, del tempo a disposizione per la pianificazione, eventuale riformulazione e revisione del messaggio, ecc. Tutte, però, presentano almeno alcune caratteristiche speciali, che le differenziano dalle scritture convenzionali.1 Partendo, ad esempio, dal raffronto generale fra una qualsiasi raccolta di lettere e quelli che potremmo definire “i messaggi effimeri della contemporaneità”, ciò che emerge con maggiore immediatezza è la presenza in questi ultimi di un apparato di accorgimenti grafici introdotti con lo scopo di rendere il più efficacemente possibile la fonicità del parlato e la sua espressività, essendo assenti tutti i correlati mimici, gestuali e prossemici che supportano invece normalmente le interazioni in presenza. Rientrano a pieno titolo in questa categoria le cosiddette emoticon, rafforzatori iconici che consentono di esprimere attraverso un’immagine (tipicamente una faccina stilizzata) sentimenti e stati d’animo che richiederebbero altrimenti una descrizione verbale. Assai meno riconoscibili per l’occhio in qualche modo assuefatto delle giovani generazioni, e quindi più insidiosi sotto il profilo degli usi consapevoli, sono invece altri stratagemmi iperbolici ritualizzati, come l’accumulo di alcuni segni interpuntivi (soprattutto puntini di sospensione, punti esclamativi e interrogativi), cui corrisponde l’estinzione di altri (principalmente il punto e virgola), e l’introduzione di espedienti grafici come il maiuscolo, il grassetto o il sottolineato per la realizzazione di grafie espressive (CIAOOOO!!! GRAAZIE!!!!!!).
Anche le pseudo-trascrizioni fonetiche (4ever, kokkole, ecc.) e le frequenti interiezioni (ad esempio ma dai!?!, con senso di sorpresa, piuttosto che di incitamento) e onomatopee (ad es. ua ua ua per simulare la risata) vengono impiegate come rese di informazione fonica utile alla ricostruzione dei correlati prosodici e alla corretta attribuzione degli stili di lettura in testi che, pur non essendo concepiti per essere letti ad alta voce, tuttavia ambiscono a riprodurre l’intensità del parlato. Più implicitamente, tale intento si manifesta attraverso varie forme di simulazione del parlato faccia-a-faccia, ovvero di accorgimenti intenzionalmente introdotti per marcare la tipologia dello scritto dialogico e partecipato, che ricalca le orme della conversazione in presenza. Si tratta, in questo caso, di accorgimenti rinvenibili anche nella lettera tradizionale in cui spesso chi scrive formula una domanda come se l’interlocutore potesse immediatamente rispondere, e eventualmente ipotizza anche la risposta o, ancora, richiama l’attenzione del destinatario con richieste di conferma (vero?), formule allocutive e vocative nel corpo del testo (e quindi, mio caro, …), ecc. Nella lettera tradizionale, come osserva Claudia Dinale2, questi inserti svolgono la funzione di imprimere al testo l’andamento tipico di una conversazione, dando allo scrivente “l’illusione (o meglio, la consapevole simulazione) di conversare con l’interlocutore come se questi fosse realmente presente al momento della produzione del testo”. Diverso è il caso di alcune tipologie di messaggio elettronico, che si svolgono in tempo pressoché reale e prevedono effettivamente un grado di interazione3 e un avvicendamento dei turni di parola del tutto assimilabili a quelli del parlato: in circostanze di questo tipo, possono allora essere presenti anche inserti con funzioni di controllo, sia sul mantenimento della relazione (sei ancora lì?) sia sul funzionamento del mezzo (okkio che mi si sta scaricando il telefono).
Il desiderio di mimesi espressiva si insinua comunque anche a livelli linguistici più profondi, indirizzando verso alcune scelte lessicali, morfologiche e sintattiche più o meno consapevolmente ricavate dal parlato.
Sotto il profilo lessicale, i tratti maggiormente caratteristici sono quelli propri delle varietà
tipicamente giovanili, molto differenziate in rapporto alle diverse aree geografiche (città/campagna; nord/centro/sud) e al gruppo di appartenenza, ma comunque sempre inclini ad accogliere componenti variegate, come forestierismi e dialettismi, alla coniazione di espressioni innovanti e alla mutuazione di tormentoni dal linguaggio comico, televisivo e pubblicitario.4 Benché in generale le varietà del giovanilese siano costituite da parole destinate a vita breve, può essere qui il caso di segnalare che alcune di esse riescono a penetrare nel lessico comune e a installarvisi stabilmente, tanto da essere poi percepite, almeno dai meno esperti, come ammissibili a tutti i livelli della lingua. Si tratta dei lessemi meno marcati o maggiormente diffusi, soprattutto se ricavati dal reimpiego particolare di una parola effettivamente esistente nella lingua standard. Così sta accadendo, ad esempio, all’aggettivo troppo, utilizzato per molto a formare i superlativi (troppo bello per bellissimo) o al tipo non esiste per è impossibile. Gli esempi sarebbero moltissimi5: ricordiamo soltanto che è proprio questa la tipologia maggiormente soggetta a trasferirsi dal parlato informale a quello formale e, nelle situazioni di minor sorvegliatezza o di scarsa consapevolezza, a penetrare anche nello scritto.
Per ciò che concerne la morfologia, fra i moltissimi fenomeni che sarebbe possibile citare scegliamo, a titolo di esempio, il caso delle forme concorrenti, in ordine decrescente di ossequio alla grammatica dello scritto, di ciò / questo /’sto (‘sto film); che cosa / cosa / che (che stai facendo?), dei pronomi personali in funzione di soggetto (egli/lui; ella/lei; essi/loro), peraltro ormai tollerati anche dai grammatici più rigorosi, o di complemento (soprattutto gli per loro e per le).
Dal punto di vista sintattico, le scritture parlate si caratterizzano per uno stile brachilogico, breve e poco elaborato, che privilegia la paratassi e si basa su connettivi generici e polifunzionali poco variati (allora, con valore consecutivo e conclusivo; che, perché, se, come, ecc.)6. Fra i costrutti più caratteristici vanno citati, almeno, quelli realizzati attraverso meccanismi sintattici di focalizzazione.7 Rientrano in questa categoria le cosiddette dislocazioni, a destra (me lo porti il libro di mate?) e a sinistra (la soddisfazione non gliela do), e le costruzioni con il c’è presentativo (c’è un tipo che mi fissa), stilemi che nella percezione dei giovani risultano privi dell’enfasi della tematizzazione e sono, per questo, spesso presenti anche negli scritti formali.
Per ciò che concerne, infine, grafia e ortografia, occorre notare che, in generale, tutte le scritture modellate sul parlato presentano tratti di trascuratezza (omissione delle maiuscole, scarsa attenzione alla segmentazione delle parole, uso occasionale di accenti e apostrofi, impiego discontinuo della punteggiatura, ecc.) molto maggiori del consueto e del consentito. Le principali innovazioni introdotte dalla scrittura elettronica riguardano probabilmente il fenomeno della scrittura abbreviata, che prevede l’impiego di sigle (tvb “ti voglio bene”) e la soppressione di gran parte delle vocali (snz d te nn poxo vvre “senza di te non posso vivere”): fra le motivazioni sottostanti l’uso di questa sorta di neocodice si potrebbero celare, oltre a evidenti esigenze di brevità e di accelerazione dei tempi di scrittura, anche intenti criptolalici, determinati dal desiderio di non essere compresi dagli adulti.

Proposte conclusive

La nostra rassegna è partita ipotizzando una sorta di genesi di quelle che abbiamo definito le scritture effimere della contemporaneità, a partire dai modelli epistolografici della tradizione, e dalla proposta di mettere a confronto i tratti grafici e linguistici delle une e delle altre per metterne a fuoco i tratti condivisi o esclusivi. Un ulteriore esercizio comparativo potrebbe riguardare gli aspetti più propriamente testuali ed essere rivolto all’individuazione di testimonianze di persistenza dei topoi della scrittura epistolare tradizionale nelle diverse forme di scrittura elettronica della contemporaneità. Si tratterebbe, in altre parole, di verificare quanto la messaggistica giovanile conservi dell’architettura della tipologia della lettera, nelle sue componenti linguistiche, paralinguistiche e testuali. Un approccio di questo tipo consentirebbe di mettere a fuoco, se non altro per differenza, strutture e convenzioni che caratterizzano il genere epistolare privato, a partire dalle formule di intestazione (caro; mio caro * vs ciao), eventualmente espresse attraverso espressioni alloglotte o scherzose (salut, cerea, ecc.), con o senza richiamo al nome del destinatario (caro *; salve *), talvolta introdotto attraverso soluzioni allocutive (mio caro amico; ciao amore). Si potrebbe verificare la persistenza di frasi rituali di apertura (Com’è? Io tutto ok) corrispondenti alle convenzioni prescritte nei manuali ottocenteschi di epistolografia, che suggerivano di rassicurare anzitutto il destinatario sulle proprie condizioni di salute e di chiedergli contestualmente notizie di sé8; di espressioni di scuse per un silenzio protratto (scusa se non ti ho risposto prima / non potevo parlare perché mia madre rompeva) o, anche laddove il tono sia amichevole e confidenziale, di giustificazioni per l’eventuale presenza di errori ortografici (scusa gli errori). Fra le formule di chiusura, sarebbe possibile individuare alcuni tratti mutuati dall’impalcatura della lettera tradizionale, come, ad esempio, le clausole introduttive dell’interruzione della comunicazione (mi tocca lasciarti perché ho finito il foglio / ti saluto che devo studiare). Ulteriori elementi di osservazione potrebbero essere costituiti dalle forme di saluto, spesso estese ad altre persone e collocate nei vari post scriptum e nota bene, tipicamente in sigla PS e NB, occasionalmente presenti addirittura negli sms. Tutte le componenti del messaggio privato, e soprattutto le formule di apertura e di chiusura, andrebbero poi possibilmente confrontate con quelle della lettera formale e con gli specifici formulari di cortesia che ad essa si addicono. L’attività didattica a proposito
delle differenze tra scritto e parlato, insomma, potrebbe collocarsi in uno spazio di educazione linguistica e di addestramento alla scrittura che, piuttosto di indirizzarsi all’acquisizione dei canoni della finzione letteraria, fornisca ai ragazzi consapevolezze sullo statuto, anche pragmatico, del genere epistolografico e della sua strumentazione
pratica. Troppo spesso, infatti, l’assenza di indicazioni esplicite sullo statuto delle comunicazioni induce a ritenere che il mezzo, soprattutto se elettronico, implichi o almeno ammetta, a prescindere dal destinatario, la soppressione di tutte le convenzioni, come mostra il seguente messaggio di posta elettronica, autentico, scritto da una studentessa universitaria che, per sua ammissione, di fronte a carta e penna si sarebbe impegnata a formulare con maggior cura la propria comunicazione:

----- Original Message -----
From: ***
To: Luisa Revelli
Sent: Thursday, October 09, 2008 7:18 PM

salve prof, sono una studentessa del secondo anno devo ancora dare l’esame ma il libro di linguistica in bilbiotecaa è diverso da quelloche aveva detto.Aspetto una sua risposta. ***

Luisa Revelli
Docente universitario - Università della Valle d'Aosta

Note
1 Per una descrizione approfondita dei fenomeni dell’italiano scritto mediato dal computer e dal telefono cellulare si rimanda al lavoro di Elena Pistoiesi, Il parlar spedito. L’italiano di chat, e-mail e SMS, Padova, Esedra, 2004. Si basa invece sullo studio di un corpus costituito da un centinaio di lettere scritte da adolescenti negli anni Ottanta il volume di Claudia Dinale intitolato I giovani allo scrittoio (Padova, Esedra, 2001).
2 Op. cit.: p. 31.
3 Secondo Gaetano Berruto, il tratto sociolinguisticamente caratterizzante gli scritti trasmessi per via elettronica è costituito da “un’interattività simile a quella della comunicazione faccia-a-faccia, arricchita dallo sfruttamento di possibilità iconiche di vario genere insite nell’uso del mezzo grafico” (“Italiano parlato e comunicazione mediata dal computer”, in Aspetti dell’italiano parlato, a cura di K. Höolker e C. Maas, Münster, Romanistiske Linguistik Verlag, 2005: 137-156). Sul livello di interazione determinato dall’impiego della posta elettronica cfr. G. Fiorentino, Computer-Mediated Communication: lingua e testualità nei messaggi di posta elettronica, in Bauer R. e Goebl H. (a cura di), Parallela 9. Text, Variation, Informatik, Wilhelmsfeld, Egert, 2002.
4 Diverse opere lessicografiche si propongono di censire le parole del linguaggio giovanile contemporaneo. Fra le più recenti, citiamo Scrostati gaggio. Dizionario storico dei linguaggi giovanili, curato da R. Ambrogio e G. Casalegno (Torino, Utet libreria, 2004). Per uno studio su forme e fenomeni delle parlate giovanili si veda, invece, E. Radtke, Varietà giovanili, in Introduzione all'italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, a cura di A. Sobrero, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 191-235.
5 Per una rassegna, cfr. Lorenzo Renzi, Le tendenze dell’italiano contemporaneo. Note sul cambiamento linguistico nel breve periodo, in “Studi di lessicografia italiana”, XVII (2000): pp. 279-319.
6 Secondo uno studio statistico condotto su un corpus di parlato giovanile da Rosella Bozzone Costa, la subordinazione viene realizzata anche nelle interazioni orali principalmente attraverso subordinatori dall’ampio spettro semantico (in ordine di frequenza: che > perché > se > quando > come > allora) (“Tratti sub standard nel parlato colloquiale” in La lingua degli studenti universitari a cura di C. Lavinio e A. Sobrero, Firenze, La Nuova Italia, 1991, p. 123-163).
7 Sull’ordine marcato della frase e più in generale sulla fenomenologia dei meccanismi sintattici di focalizzazione nel parlato si veda C. Bazzanella, Le facce del parlare. Un approccio pragmatico all’italiano parlato, Firenze, La Nuova Italia, 1994.
7 La ritualità della battuta risulta evidente quando la riformulazione immediata rettifica o addirittura inverte il senso dell’informazione (va bene, cioè mica tanto).

 

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