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A
quali bisogni formativi risponde il PEL?
METACOGNIZIONE
ED AUTOVALUTAZIONE COME OBIETTIVI EDUCATIVI
La sperimentazione
sull'applicazione del modello per bambini del Portfolio Europeo
delle Lingue (PEL), condotta in Provincia di Torino dal 1999 al 2002,
si fonda sul presupposto secondo cui non può esservi effettivo
apprendimento da parte dell'alunno, se questi non viene progressivamente
avviato a comprendere che cosa sta imparando, a che scopo lo impara, a
che cosa gli può servire, quali sono le strategie cognitive a cui
può fare ricorso.
Tale presupposto è alla base di ogni possibile esperienza cognitiva,
ma tanto maggiormente si impone per l'apprendimento delle lingue
vive: perché un apprendimento sia efficace, è necessario,
da parte di chi lo effettua, assumere la chiarezza del quadro generale,
dell'itinerario da compiere, delle sue tappe, delle sue articolazioni,
dei suoi punti di forza, della funzione specifica di ogni singolo segmento
in rapporto agli altri.
La maturazione di queste consapevolezze mira sostanzialmente, in età
evolutiva, ad una gestione consapevole del proprio apprendimento. Esso
si realizza lungo archi temporali non certo brevi, che si differenziano
da soggetto a soggetto, in relazione alle motivazioni, alle potenzialità,
alle competenze di base, ai ritmi, agli stili cognitivi personali, traducendosi
poco per volta in una sostanziale capacità di autovalutarsi.
Imparare ad autovalutarsi significa, in pratica, sapersi interrogare in
forma via via più articolata e sistematica su quelli che sono i
punti nodali del proprio apprendimento e, nello specifico delle lingue
vive, significa maturare la consapevolezza:
- delle competenze di base da cui si prendono le mosse;
- dei traguardi che di volta in volta ci si pone;
- delle tappe che occorre compiere in relazione a quelle che si sono già
superate;
- delle strategie di apprendimento che si considerano più congeniali;
- dei processi mentali che si mettono in atto;
- delle difficoltà che maggiormente si incontrano;
- dei mezzi a cui si ricorre per superarle;
- dei limiti specifici che ci si riconosce;
- delle cause che determinano eventuali ritardi o insuccessi.
È comprensibile come il paradigma dell'autovalutazione assuma
connotazioni specifiche allorché lo si applica all'apprendimento
delle lingue.
Autovalutarsi significa in tal caso comprendere innanzitutto che ogni
possibile approccio ad una lingua non può prescindere dalla cultura
a cui essa fa riferimento, il che presume l'accertamento del possesso
di esperienze che in tanto sono efficaci, in quanto sono concrete ed emotivamente
significative.
Ogni possibile processo autovalutativo implica inoltre la presa di coscienza
delle strategie alle quali si fa ordinariamente ricorso. Se, ad esempio,
si apprenda più efficacemente attraverso l'ascolto o la lettura,
attraverso l'analisi di singoli segmenti o l'intuizione globale
ed intuitiva di un messaggio, attraverso la scoperta personale o le sollecitazioni
dell'insegnante.
Questo interrogarsi sistematico sulle strategie di apprendimento linguistico
ed interculturale altro non è se non un processo di metacognizione:
un itinerario continuo ed aperto che si articola in forme via via più
differenziate, più consapevoli, più oggettive, e che si
ripropone nel tempo in relazione all'acquisizione di competenze
sempre nuove e diverse.
Nel caso nostro abbiamo inteso verificare se un itinerario di tal genere
possa esser proposto ai bambini, a partire da una fascia d'età
compresa fra gli otto e gli undici anni, interessando le ultime tre classi
elementari e ferme restando la possibilità e l'opportunità
che l'esperienza prosegua nelle classi successive.
A tale scopo, la sperimentazione che abbiamo attivato ha preso in esame
un campione di oltre 900 alunni frequentanti le classi terza, quarta e
quinta elementare di scuole urbane e rurali della Provincia di Torino,
appartenenti a contesti socioculturali diversi e non certo privilegiati.
La progressiva conquista della capacità di compiere apprezzamenti
responsabili nei confronti delle proprie prestazioni anche al di fuori
dall'ambito linguistico ed interculturale, rappresenta una scommessa
forte in un contesto scolastico e professionale in cui il soggetto avverte
sempre maggiormente l'esigenza di giudizi equi, ponderati, rispettosi
delle sue caratteristiche e dell'irripetibilità del suo modo
di essere, di pensare, di agire.
Tale capacità di autovalutarsi, in relazione ad ogni soggetto in
età evolutiva e per ogni settore specifico di competenza a cui
viene applicata, mira sostanzialmente a perseguire ed a perfezionare la
conoscenza di sé, delle proprie potenzialità, dei propri
limiti, delle motivazioni che inducono a compiere determinate scelte,
dei fattori che ostacolano il conseguimento di certi risultati.
Formare all'autovalutazione orienta, in ultima analisi, a porre
in atto la capacità di mettersi in discussione, a far luce sulle
scelte da compiere, a governare la propria crescita umana e sociale, ad
abbozzare dei progetti di vita che mirino a comporsi e ad armonizzarsi
nel tempo, a porre le premesse di quell'autostima che non si identifica
con la sopravvalutazione e la sottovalutazione di sé, bensì
mira a cogliere le reali dimensioni del proprio essere.
Va ribadito che un processo maturativo di tali dimensioni va pensato in
termini di archi temporali che vanno ben oltre la scuola elementare: all'età
di otto-nove anni non si possono che compiere i primi passi di un itinerario
in tanto impegnativo, in quanto mirato a coinvolgere la sfera umana ed
esistenziale di ogni soggetto.
QUALCHE
TESTIMONIANZA DA PARTE DEI BAMBINI
A chi dubita
che sia possibile ed auspicabile dar corso ad un processo di autovalutazione
ad una così giovane età ci sentiamo di poter rispondere
che le basi di tale processo devono esser poste quanto prima, ad evitare
che il soggetto in formazione lasci trascorrere inutilmente anni di "fertilità"
intellettiva ed affettiva e che arrivi ad assumere quel ben noto atteggiamento
di acquiescenza nei confronti di esiti valutativi che sostanzialmente
non condivide, in quanto non ne conosce i presupposti, le ragioni, le
modalità.
Al riguardo, il monitoraggio triennale sull'applicazione del PEL
ha indotto gli alunni delle classi coinvolte nella sperimentazione a fornire
testimonianze che in tanto possono essere considerate significative e
non di rado paradigmatiche, in quanto raccolte dalla scrivente nel corso
delle visite effettuate in situazione didattica, in un contesto di interlocuzione
diretta ed immediata.
In un primo tempo i bambini tendono in generale ad assumere con una certa
diffidenza il ruolo di autovalutatori, sia perché dubitano di essere
obiettivi nei confronti di se stessi e delle proprie prestazioni, sia
perché temono in qualche modo di sottrarre all'insegnante
una competenza che è strutturalmente connessa al suo ruolo ed al
potere autoritativo che gliene deriva. Ma proprio il timore di sopravvalutarsi
o, per contro, di sottovalutarsi, li induce a rivolgersi al docente con
sempre maggiore sistematicità e con la fiducia scevra da preconcetti
caratteristica dei piccoli.
Le prime testimonianze di "sensibilità" al riguardo
ci pervengono verso i nove-dieci anni e tanto maggiormente appaiono significative,
quanto più l'insegnante ha saputo avviare un dialogo aperto
che induca gli alunni a scandagliare, oltre ai contenuti dei vari apprendimenti,
i motivi per cui apprendono, le motivazioni che li spingono, le difficoltà
che devono di volta in volta affrontare e superare.
I bambini non tardano a capire che il PEL, nella sua struttura e nelle
sue modalità d'uso fondate su descrittori specifici di competenze,
li aiuta a "collocarsi" nel processo di maturazione delle
abilità comunicative e li orienta a percepire quali possono essere
i passi ulteriori da compiere, quali i limiti riscontrati, quali le potenzialità
da sfruttare, quali le strategie cognitive a cui ricorrere. Ma essi comprendono
altresì che il PEL, così come è concepito, li guida
ad un progressivo ampliamento dei loro orizzonti culturali ed umani, ad
un graduale superamento degli stereotipi e delle rigidità del loro
ambiente, ad un misurarsi con universi culturali più vasti, variegati,
multiformi e variamente interpretabili.
Il processo di autovalutazione prende inizialmente le mosse dalla documentazione
delle competenze acquisite e delle esperienze maturate a scuola o al di
fuori dalla scuola:
"Se impari a raccogliere materiali per documentare le cose che impari,
poi lo fai sempre. È come per la storia: mica la impari solo sui
libri, la impari anche quando vai al museo, o sui documenti, o quando
vedi i monumenti"
Tale processo assume, non di rado, una valenza emotiva ed affettiva oltre
che cognitiva:
"Gli oggetti danno informazioni, ricordi, emozioni… Le emozioni
puoi metterle come in un baule, ma quando riapri il baule e vedi gli oggetti,
tornano le emozioni"
Un aspetto preminente della maturazione interculturale dei bambini risiede
nella loro progressiva comprensione dell'esistenza di codici linguistici
diversi, aventi tutti pari utilità e pari dignità, a prescindere
dal loro ambito di diffusione e di egemonia:
"Non ci sono lingue giuste, perché, se io sono in Africa,
per me la lingua sarà africana, quindi nessuna lingua è
giusta o sbagliata".
Per quanto concerne l'accertamento delle proprie competenze, il bambino
ne afferra il significato gradualmente e non certo senza difficoltà.
A tale scopo si rende necessario un esercizio sistematico, che si avvale
di descrittori di competenze concreti e significativi, progressivamente
più articolati, in relazione a quelle che sono le funzioni tipiche
del linguaggio comunicativo ("Sono capace di?").
Ed ecco, a questo proposito, l'espressione contorta di una bambina
di classe quinta che si sforza di chiarire a se stessa prima che agli
altri il significato di autovalutazione delle competenze linguistiche:
"Se i tuoi compagni non sanno una cosa che tu credi di sapere ma non
sai, quando cerchi di spiegargliela, allora ti rendi conto di non saperla
e ti devi impegnare ad impararla anche tu"
Emerge a poco a poco la percezione della "processualità"
dell'apprendere:
"Se in un primo tempo non so delle cose, andandole a rivedere magari
scoprirò di averle capite", dove "apprendere" equivale a "esser
consapevole di aver capito".
I bambini si dimostrano in generale sinceri e rigorosi nei confronti di
se stessi e delle loro prestazioni; non chiedono indulgenza e non si assolvono
con facilità:
"A me piace questa pagina (leggasi
il disco di autovalutazione del nostro modello di PEL), perché
ti mette a confronto con la tua conoscenza; ti permette di essere messo
alla prova interiormente"
"Autovalutazione vuol dire che dobbiamo darci noi i voti (in
senso perlopiù metaforico), senza prendere in giro la
maestra e senza prenderci in giro da soli. È una prova di sincerità.
Mica metti le crocette sulle faccine sorridenti solo per far piacere alla
maestra! Non è che sei bugiardo, magari pensi di sapere quella
cosa, invece non è vero."
Sono i bambini stessi a rendersi conto prima o poi della relativa attendibilità
del loro criterio e del loro metro di giudizio ed a manifestare quindi
l'esigenza di metterlo a confronto con quello del docente, richiedendo,
in pratica, una verifica.
"Io preferisco quando la maestra fa una verifica, così, quando
ci dà la scheda (di autovalutazione),
riesco a rendermi conto se la mia valutazione l'ho fatta bene o no e così
metto le crocette con più facilità, perché so se
la mia valutazione e quella della maestra sono uguali."
Talvolta il bambino è indotto a comprendere come anche l'insegnamento
consista spesso in una serie di prove ed errori e soggiaccia a sua volta
alla logica dell'autovalutazione:
"Se la nostra verifica va male a quasi tutta la classe, la maestra
dice che forse è colpa sua, che non ha spiegato bene, e allora
spiega di nuovo in un altro modo. La maestra in questo modo riesce ad
autovalutarsi anche lei e per autovalutarsi ha bisogno di noi, ma noi
abbiamo bisogno di lei per sapere se le crocette sono messe al posto giusto".
Non pare azzardato affermare che le testimonianze riportate, poche sulle
molte addotte, inducono a ritenere come il processo metacognitivo ed autovalutativo
possa iniziare sin dalla scuola elementare. A condizione, ovviamente,
che esso possa proseguire nelle classi successive, articolandosi al suo
interno ed estendendosi progressivamente ad altre discipline.
IL
PEL E IL DOCENTE
Per quanto
concerne gli insegnanti, è stata variamente riscontrata l'esigenza
che essi maturino in premessa la convinzione secondo cui il processo autovalutativo
non produce di per sé un depotenziamento del proprio ruolo e delle
proprie prerogative: quanto maggiormente un docente è in grado
di formare i suoi alunni a prender coscienza dei processi cognitivi che
mettono in atto nell'apprendere, tanto maggiormente li orienta a
comprendere e a condividere i criteri, le strategie e le procedure su
cui si fonda e attraverso cui si articola la progressiva conquista dell'obiettività
valutativa.
Dal ruolo formativo assegnato al PEL emerge l'esigenza che l'insegnante
sia indotto a concepirlo non unicamente come uno strumento "tecnico",
mirato alla verifica ed al controllo di segmenti di saperi nell'ambito
delle tradizionali abilità linguistiche, ma altresì come
un mezzo di vera e propria promozione di quelle competenze metacognitive
ed autovalutative che ineriscono ad ogni processo cognitivo e formativo.
Da ciò deriva la necessità che l'insegnante che si
accinge ad adottare il PEL sia adeguatamente formato a comprendere e a
valorizzare il ruolo educativo profondo che tale strumento riveste.
Il modello di formazione a cui siamo ricorsi nel primo anno di adozione
allargata, successiva alla sperimentazione, consiste in un ciclo di cinque/sei
incontri: i primi due "frontali", concernenti l'origine,
gli obiettivi, la struttura e l'uso dello strumento, ed i successivi
a carattere seminariale, mirati all'approfondimento del significato
e dell'uso della Biografia Linguistica, del Dossier, del Passaporto.
Gli esiti di tale formazione, rivolta prevalentemente ai docenti del settore
elementare, appaiono nel complesso soddisfacenti, soprattutto in considerazione
della loro ricaduta didattica.
Occorre nondimeno considerare che l'applicazione del PEL è
una sorta di "work in progress", consistente nella scoperta
di risvolti sempre nuovi e di articolazioni sempre più approfondite
sul versante della formazione di docenti e alunni.
Riteniamo che questo aspetto, anziché conferire al PEL un carattere
di provvisorietà e di precarietà, ne faccia un oggetto di
verifica progressiva e di progressivo perfezionamento, mettendolo al riparo
da ogni possibile suggestione di radicalizzazione e di assertorietà.
Rosalia Ferrero
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