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Da ginnastica a scienze motorie e sportive

Chi si è occupato del coordinamento dell’educazione fisica nelle scuole valdostane?
Dagli anni ’80 ad oggi, il percorso emotivo e professionale di tre coordinatori.

Fame di sport

Me la porto dentro da quando sono nato. Non riesco a saziarmi per quanto sport ingurgiti giorno dopo giorno. Ho passato una vita sui campi sportivi, da giocatore di calcio, da sciatore, da insegnante di educazione fisica, da allenatore, da organizzatore, da dirigente, da appassionato e continuo a vivere con addosso un paio di scarpe da ginnastica e una tuta (non sempre le solite, se Dio vuole: ogni tanto ne compro di nuove...).
Ho praticato lo sport senza mai essere un campione (bravino però sì, lo ero). Il mio destino è stato segnato quando scelsi, nel 1969 di fare l’insegnante di “ginnastica”. Da lì è nato tutto il resto: la voglia, il desiderio, il piacere di voler trasmettere l’amore per lo sport.
E ne ho ancora dentro tanta di questa voglia; mica sono sazio, infatti.
Ricordo i tempi (era il 1972) in cui caricavo sul portapacchi della mia 500L quattro materassoni, i ritti e l’asticella del salto in alto e partivo da Settimo Vittone (sede della scuola dove insegnavo) per Banchette (vicino ad Ivrea) dove insegnavo il salto in alto a un gruppo di ragazzini. “Tempi eroici”: mi sono sempre divertito un sacco!
Poi son passato a tracciare con la macchinetta segnacampo (quella che si usa per i campi di calcio, intendo) le corsie per la corsa veloce sul vecchio e disastrato campo sportivo di Pont-Saint-Martin per poter organizzare le prime fasi dei giochi della gioventù di atletica leggera.
Quante emozioni in quegli anni e quanta tensione vissuta insieme ai ragazzi durante le gare regionali prima e quelle nazionali poi.
E sono arrivati anche i primi successi e devo dire che, da questo punto di vista, la fortuna mi ha sempre dato una grossa mano: come non ricordare le medaglie che i “miei” pupilli hanno conquistato e la soddisfazione intensa che provavo nel godere della loro felicità.
Quante persone ho incontrato in tutti questi anni dedicati a “mangiare” sport, quanti insegnamenti ho raccolto e quante esperienze ho vissuto. Mi sono nutrito di tutto quello che mi veniva trasmesso, provando a mia volta a ritrasmettere quello che imparavo. Quante persone, anziani e giovani, ho salutato per l’ultima volta, ringraziandole di aver fatto una parte del cammino insieme a me.
Mi sono sempre voltato poco indietro, non vivo di ricordi, mi fanno sentire vecchio, preferisco guardare avanti.
Quante volte sento dire: i giovani sono cambiati, non hanno più voglia di muoversi, preferiscono le play-station, i giochi col computer, il motorino, la birra e la ragazzina (o il ragazzino). È vero sono cambiati, così come sono mutate le condizioni di vita; fanno meno movimento (e per forza: dove lo puoi fare il movimento quando non esistono più gli spazi?). Le Amministrazioni comunali hanno speso miliardi per piscine, palestre e campi sportivi, ma nessuno ha capito che queste strutture non possono sostituire le rive dei torrenti, i vicoli fra le case, i prati e i boschi. La “ginnastica” si fa ad orari prestabiliti, quando la mamma (o il papà) sbolognano i pargoletti al campo o in palestra per andare a far la spesa o dal barbiere. La “ginnastica” non è più vissuta dai ragazzi come l’esigenza di tirare quattro calci ad un pallone, di correre e saltare dai muretti, di lanciare i sassi contro i gatti randagi.
E allora ecco il coro di lamenti di tutti noi grandi: “i ragazzi sono sempre più cicciotti, non hanno resistenza, sono delicati, fragili, pigri e svogliati”. Purtroppo sono questi i ragazzi che noi genitori “moderni” abbiamo allevato e sono loro a pagare le conseguenze della nostra cattiva educazione motoria.
Sono i tempi moderni, è la realtà con la quale abbiamo a che fare giorno dopo giorno e che ci deve spingere ad “inventare” qualcosa di nuovo, di diverso, che possa creare nuovi stimoli ed interessi. È il nostro lavoro:
il lavoro di noi insegnanti, di noi allenatori, di noi dirigenti sportivi. I ragazzi hanno bisogno di noi, hanno bisogno del nostro entusiasmo. A volte credo che non siano cambiati i ragazzi, ma che siamo cambiati noi. Abbiamo un po’ meno passione, un po’ meno “voglia” e un po’ meno pazienza.
Mi rendo conto di non aver parlato della mia esperienza di Coordinatore dell’educazione fisica. Non credo di aver nulla da scrivere di particolare, se non che quegli appassionati quattordici anni, se ne sono volati via troppo
in fretta. Un grazie sì, questo lo posso dire, a chi mi ha dato la possibilità di confrontarmi con lo sport, l’educazione fisica, l’attività motoria. Un grazie a chi mi ha
permesso di fare questa scelta trent’anni fa, ma soprattutto a tutti coloro che mi hanno fatto capire che la vita è una ricchezza che costruisci dentro di te, passo dopo passo, lottando affinché anche il più sordo dei tuoi interlocutori, piano piano cominci ad ascoltarti, a darti retta, a seguirti.
E così andrò avanti finché ne avrò la forza (diciamo altri trent’anni?) a nutrirmi di sport. Lascerò la scuola per raggiunti limiti di sopportazione (della burocrazia, dei POF, dei PEI, dei registri e delle scartoffie) per poter dedicare ancora più tempo a “inventare” qualcosa di nuovo affinché a qualche ragazzino venga ancora la voglia di farsi una bella sudata e, magari, di arrivare a casa con la tuta “griffata” sporca e un po’ strappata, ma con gli occhi che brillano per essere riuscito a divertirsi togliendosi qualche bella soddisfazione.

Hermes Perotto-Ghi

Sommersa da palle di spugna colorate


Voltarsi indietro negli anni fa sempre un certo effetto… sembra ieri… ma sono passati più di vent’anni. Nell’anno scolastico 1981/82, dopo una formazione di alcune settimane, ho iniziato a coordinare l’Attività Motoria nel Circolo didattico di “Aosta 3”.
Il distacco dall’insegnamento è durato sette anni, durante i quali, con i colleghi degli altri circoli, ho promosso attività di formazione sull’Educazione motoria, predisposto unità didattiche sulle lezioni da tenere in palestra, organizzato corsi di nuoto e i famosi “Giochi sportivi”di fine anno.
Mi rivedo girovagare tra una scuola e l’altra al volante della mia auto… sommersa da palle di spugna colorate e da
cerchi di plastica. È un’immagine allegra che mi riporta ad un periodo molto bello e piacevole. I bambini delle scuole mi aspettavano con entusiasmo: ero “quella della ginnastica”. Dopo tre anni la nostra attività diventò di intercircolo perché alcuni colleghi non accettarono più l’incarico. L’ultimo anno è stato il 1987-88.
Ricordo con estremo piacere l’amicizia con le colleghe Anne Cocco e Patrizia Rizzo con le quali ho condiviso i periodi più impegnativi per l’organizzazione dei Giochi di fine anno.

Marinella Bellinvia
Insegnante elementare

Formidabili quegli anni

L’École Valdôtaine mi invita a riaprire il cassetto dei ricordi per parlare degli otto anni che ho dedicato all’attività motoria nella scuola elementare. Quanta nostalgia per le iniziative intraprese, per i numerosi colleghi conosciuti in tutta la Valle, per i ragazzini che ancora incontro, ormai genitori, e si ricordano delle lezioni all’aperto, dei giochi sulla neve, dei tornei, ma anche quanta nostalgia per una Scuola che riusciva a mettere a disposizione un locale di disimpegno con la moquette pur di permettere a quattro bambini di una scuoletta di montagna di “far ginnastica”.
Quanta insicurezza, quanti tentativi, quante avventure, quanta fantasia e quanta grinta nel nostro fare di inesperti insegnanti ai quali era stato affidato l’arduo compito di valorizzare l’attività motoria nella scuola elementare!
Correva l’anno 1980 quando il dottor Burro, allora Sovrintendente agli Studi, durante una manifestazione di atletica leggera al Tesolin, cui non mancavo mai in veste di giudice sportivo, mi chiese se volevo far parte di un gruppo di insegnanti che intendeva “distaccare” per il coordinamento dell’attività motoria nella scuola elementare. Al mio entusiasmo immediato, seguì un momento di disorientamento, oppressa da mille dubbi: “Cosa so di educazione motoria? Come potrò far sentire la mia voce ad insegnanti per lo più insensibili alla materia? Dove fare attività? Visto che su 17 plessi del Circolo di Pont-Saint-Martin, solo TRE hanno una “palestra” e tanti altri ancora.
Potevo però allora contare su due elementi importantissimi: l’età ancor giovane ed il mio entusiasmo. L’avventura cominciò con i colleghi Donato Haudemand ed Attilio Jacquemet, ciascuno nel proprio Circolo didattico, poi nel più ampio territorio del Distretto scolastico n. 2 ancora con Jacquemet ed Andrea Piccot.
Dapprima fu una “full immersion” nell’educazione motoria: partecipai a tutti i corsi che venivano proposti in ambito scolastico e fuori, pur di poter ampliare le mie conoscenze sulla materia, poi cominciammo a presentare agli insegnanti delle proposte di lezioni. Stilavamo a macchina (e stampavamo con il duplicatore ad alcool! Cose dell’altro mondo ora impossibili: l’alcool a scuola non può essere usato perché infiammabile: Legge 626!) i programmi delle lezioni, suddivisi per classi e li consegnavamo agli insegnanti.
Per venire loro incontro eravamo a disposizione per interventi dimostrativi in classe o in palestra; spesso portavamo noi il materiale necessario: dai cerchi ai palloni, alle clave, alle corde. Le nostre auto erano il ripostiglio della palestra, per non parlare di quando organizzavamo i Giochi di fine anno! Spostavamo ritti per il salto in alto, materassini, stuoie, cavalletti, panche da una località all’altra collaborando tra di noi per riuscire
a reperire tutto il materiale necessario. Spesso anche gli insegnanti ci davano “una mano” affinché tutto procedesse senza intoppi.
L’organizzazione dei giochi di fine anno era effettivamente un impegno gravoso: bisognava trovare una località ampia ed interessante non solo per lo svolgimento dei giochi, ma anche dal punto di vista ambientale, possibilmente dotata di servizi igienici e di acqua. E poi si dovevano scegliere i giochi, spesso addirittura “inventarli” badando che fossero movimentati, ma non troppo, semplici, ma non troppo, per non cadere nel banale, diversi, ma non troppi, e per di più adatti ad una fascia di età dai 6 agli 11 anni: era davvero una grande fatica e per quanto ci impegnassimo, c’era sempre qualche maestra che aveva qualcosa da ridire…
Ricordo però con nostalgia i giochi a Cignas, con le passeggiate ecologiche pomeridiane accompagnati dalle guardie forestali alla scoperta del territorio, quelli a Champlong con il percorso fino al colle e la splendida vista sul Cervino, a Pracharbon e a Vollon in Val d’Ayas, a Champorcher in pineta e poi in giro per i villaggi e riscoprire antiche tradizioni.
Ricordo gli adesivi che distribuivamo ai partecipanti, realizzati su disegni fatti dagli stessi bambini, o i ciondoli in legno che Mirko Sucquet e compagni limavano con grande passione (limando contemporaneamente anche i bordi del tavolo), di cui tutti andavano comunque fieri. Quanti bambini sono tornati a casa da quelle giornate con i pantaloni strappati, le ginocchia graffiate o qualche livido, ma orgogliosi di quel ciondolo appeso al collo! Mi chiedo se sarebbe ancora possibile organizzare oggi i Giochi sportivi?
Lo spirito di “gioco” è ancora presente nei nostri “fanciulli”? Chi di loro è ancora disposto a giocare se non si tratta di gara vera e propria, se vincendo torna a casa con lo stesso premio di chi è arrivato ultimo? Chi accetta di avere in squadra l’“imbranato di turno” che fa perdere regolarmente?
“Fare sport giocando” era il motto dei Giochi sportivi di fine anno e credo che la maggior parte dei bambini lo avesse capito. La classifica finale importava a ben pochi insegnanti.
E i “Giochi sulla neve”? Quanto tempo al telefono per trovare chi finanziasse i trasporti, per ottenere le autorizzazioni, per cercare un paio di doposci in prestito… Le telefonate sono ciò che mi manca di meno di quel periodo. Parlare al telefono mi è sempre stato difficile, ma quanto ho dovuto servirmene allora! Bisognava concordare l’orario degli interventi, accordarsi con gli amministratori per attrezzare locali idonei allo svolgimento dell’attività motoria, organizzare incontri di aggiornamento, richiedere al CONI attrezzature per lo sci di fondo, fissare località, orari, programmi, dei corsi di nuoto, accordarsi con i colleghi distaccati su località, orari, numero alunni, formazione squadre per i Giochi sulla neve o i Giochi di primavera… e poi, quando tutto era finalmente organizzato e tutti erano stati avvisati, il maltempo ci costringeva all’ultimo momento a cambiare il programma… e via di corsa a trovare altre date, a concordarle con i colleghi, ed erano altre telefonate…
Che cosa mi hanno lasciato quegli anni? Certamente bellissimi ricordi.
L’aver contribuito a far entrare di diritto l’attività motoria nella scuola elementare mi inorgoglisce: ricordo alcune lezioni all’aperto (non c’era la palestra) a Gressoney-La-Trinité e a Gressoney-Saint-Jean con la neve ammucchiata intorno al cortile, le corse campestri a Lillianes, i corsi di minitennis, i tornei di pallanove, i corsi di fondo a Champorcher e nella Valle del Lys, di queste attività, in qualche cassetto della scuola conservo ancora le foto.
Credo che gli stimoli proposti abbiano dato frutti, ma molti insegnanti di allora sono ormai felicemente in pensione ed ho l’impressione che sia necessario dare nuovo vigore in materia di educazione motoria. Vedere che tanti colleghi utilizzano ancora i vecchi programmi con le lezioni dattiloscritte ed i disegnini eseguiti a mano, mi fa sorridere, anche se, devo ammetterlo, me ne servo ancora anch’io.
“Fare ginnastica” è comunque diventato più difficile perché in classe ci ritroviamo con due categorie di alunni: quelli che fanno sport dall’età di tre anni e vivono l’agonismo in ogni attività e gli altri che, auto e tele dipendenti, non sanno correre, non hanno mai preso una palla in mano, hanno paura a camminare su una panchina… E in mezzo a loro qualche sperduto “normale” che in palestra vorrebbe poter correre, saltare sui materassi, fare le capriole, giocare a palla avvelenata o imparare le regole della pallavolo.
Il povero insegnante perde un sacco di tempo a calmare, stimolare, frenare, invogliare e poi deve ricordarsi di valutare per ogni alunno la capacità di “padroneggiare gli schemi motori di base”, la coordinazione dinamica generale, la partecipazione alle attività di gioco e gioco sport, la capacità di rispettare le regole in situazioni di gioco (regole? C’è ancora qualcuno che conosce il significato di questo termine?) ed è così che se qualche volta il collega ha bisogno di recuperare scienze o geografia, si è tentati di cedergli volentieri l’ora…

Rina Bonel

L'agonismo precoce: un rischio?

Questi bambini cresciuti per lo più in casa non abituati a muoversi, come possono giocare a calcio, a basket, sciare o lanciare se nessuno ha mai permesso loro di correre, saltare, lanciare, arrampicarsi liberamente? Di fronte al bambino che a sette anni cammina ancora con “i piedini in dentro” e non sa dare la direzione ad una palla, ma che “gioca” in una squadra di calcio mi chiedo: quale sarà il suo destino?
“Farà per sempre il panchinaro? Sarà preso in giro dai compagni fino a quando abbandonerà deluso lo sport?” Ed allora chi avrà sbagliato? Ancora una volta noi adulti che anziché ricorrere allo sport per farlo crescere, lo abbiamo inserito, giovanissimo, negli ingranaggi della macchina sportiva, che ha come unico obiettivo produrre campioni da ammirare e da vendere.
Lasciamoli giocare, facciamoli giocare, insegniamo loro
il rispetto dell’altro nel gioco. Spingiamoli a vincere e ad accettare le sconfitte. Ricordiamo loro che con l’impegno,
la costanza, il sacrificio, i risultati prima o poi arrivano nello sport come nella vita.

"Chi non sa insegnare ginnastica fa il coordinatore"

Faccio l’insegnante di Educazione fisica dal 1983. Avevo 23 anni (a quei tempi si cominciava a lavorare davvero giovani) quando ho dovuto e voluto iniziare questo lavoro bello, difficile, ma a volte frustrante, estenuante e ripetitivo.
Provengo, com’è abbastanza naturale, dallo sport praticato a livello nazionale ed internazionale. Nel 1994 si rese vacante il “posto” del Coordinatore di educazione fisica e sportiva per la Regione Valle d’Aosta. Più per caso che per vera conoscenza di quanto sarei andato a fare, decisi di dare la mia disponibilità a ricoprire l’incarico. Senza impegno, mi fu detto, tanto è un incarico che interessa a molti altri colleghi più anziani e titolati di te!
In realtà, l’allora Sovrintendente agli Studi scelse me, forse non tanto per meriti didattici o formativi, ma semplicemente perché (mi disse veramente così un giorno di quel lontano settembre) voleva capire chi fosse a portare un cognome composto da ben cinque consonanti e da una sola vocale!
Mi fece molto piacere essere scelto e mi rassicurò la motivazione della scelta (a volte la vita…). Presi servizio senza sapere assolutamente nulla della “figura” e dei compiti del Coordinatore, se non quel poco che avevo imparato all’ISEF di legislazione scolastica. Ricordavo, ad esempio, che il Coordinatore di EFS era un “docente distaccato in tutto o in parte dall’insegnamento che, al servizio diretto del Provveditore agli studi, svolge compiti di coordinamento, di assistenza, di monitoraggio delle attività di Educazione fisica e sportiva a livello provinciale”.
Benissimo, più chiaro di così… Sì, ma come si fa a “coordinare, assistere, monitorare” se non si conoscono metodi, procedure e formalità burocratiche. E poi io all’epoca non sapevo neanche accendere un computer!
La mia seconda fortuna (la prima era stata quella di avere tante consonanti nel cognome) fu di trovare in ufficio una ragazza minuta, bionda, di 23 anni (un numero che ricorre spesso nella mia vita) che mi disse semplicemente “Marco, non ti preoccupare il lavoro d’ufficio te lo sbrigo io, tu pensa ad organizzare le iniziative sportive scolastiche. Sai nelle scuole non vedono l’ora che inizino i tornei interni di pallavolo e di calcetto… con tutti quei ragazzi che giocano!”
E fu così che dando, da un lato, continuità al lavoro del collega che mi aveva preceduto e, dall’altro, inventando percorsi nuovi, ho iniziato questo strano lavoro, compresso tra l’insegnamento della disciplina meno formale fra tutte e la burocrazia delle circolari, degli appalti e delle delibere; in bilico tra il ruolo di amico e confidente di colleghi e Dirigenti in crisi e il compito di “censore”, come presidente della Commissione disciplinare, che cerca di far capire agli alunni che lo sport è fatto di regole.
Dal lontano 1983, ogni anno scolastico coordino una trentina di manifestazioni sportive scolastiche di 14/15 specialità diverse, predisponendo l’organizzazione logistica per gli alunni che, avendo vinto le selezioni regionali vanno a confrontarsi, a livello nazionale, con i coetanei di altre Regioni.
Sono anche miei compiti: tenere una contabilità aggiornata (a volta le urla dell’economa mi inseguono nei corridoi del quinto piano); progettare e gestire iniziative legate all’educazione motoria ed allo sport, come il sostegno agli studenti sciatori; gestire il campo scolastico di Atletica leggera, la ripartizione delle palestre di Aosta e tante altre cose…
“Sei proprio fortunato! Non esci più dalla palestra tutto sudato, senza voce, dopo aver cercato di insegnare qualcosa a venti ragazzini che urlano e che si muovono troppo o che non si muovono affatto” mi dice sovente qualche collega. Può darsi.
Altri per me sono gli elementi positivi di questo lavoro: avere sempre presente i ragazzi, il loro diritto di imparare divertendosi, di sperimentare qualcosa di adatto alla loro età, offrire loro la possibilità di diventare un campione o di non diventarlo affatto. Questa è la filosofia che ispira il mio lavoro.
Spero che il mio operato ne lasci traccia.

Marco Luksch

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