|
Scuola
e sport: quali rapporti
Alcune piste di riflessione
per poter gestire il rapporto tra attività di tipo autonomo e spontaneo
e attività scolastico-sportive organizzate. L’obiettivo è
quello di cercare/ritrovare un equilibrio nell’offerta e nell’articolazione
dell’attività motoria e sportiva al servizio della formazione
integrale della persona.
Perché andare a scuola? Perché praticare
attività motoria e/o sportiva? Quali rapporti tra queste due azioni?
A queste domande si danno sempre più frequentemente risposte di
tipo funzionalista e strumentale. Andare a scuola per diventare competenti/competitivi
nel mercato globale della conoscenza; fare attività motoria per
prevenire malattie (e quindi ridurre le spese sanitarie); negoziare la
distribuzione del tempo tra scuola e sport in modo che atleti e dilettanti
possano conciliare le diverse attività.
Risposte che generano effetti non voluti quali l'abbandono precoce della
pratica sportiva, la demotivazione scolastica, il limitato successo degli
ski college.
Risposte che non soddisfano i ragazzi sportivi e no, né i docenti.
Proviamo, allora, ad andare un po' al di là.
Lo sport è una delle forme storiche e culturali con cui gli uomini
hanno elaborato le invarianti antropologiche del gioco, della competizione,
del movimento e della sfida.
Nei poco più di centocinquanta anni nei quali lo sport moderno
si è consolidato e sviluppato si è anche fortemente trasformato.
L'attività sportiva è tipica della modernità e di
una determinata strutturazione sociale. La genesi della connessione tra
attività sportiva ed attività educativa si colloca storicamente
nel college di Rugby intorno alla metà dell'Ottocento, con l'intento
di canalizzare l'aggressività adolescenziale per la formazione
del borghese individualista(1). Progressivamente si è
sviluppata anche un secondo tipo di attività di grande significato
dal punto di vista dell'aggregazione sociale: lo sport per tutti, attività
ludico-motorio-sportivo-sociale organizzate soprattutto dalle parrocchie
e dagli enti di promozione sportiva che si muovono parallelamente alle
federazioni sportive del Coni.
L'attività sportiva agonistica si rifà al modello olimpico
classico; lo sport per tutti ha una matrice di tipo aggregativo, svincolata
dalle regolamentazioni dello sport olimpico.
L'evoluzione dell'attività sportiva poi nella nostra società
massmediatica ha dato origine alla spettacolarizzazione dello sport. Si
è passato dal "play" al "display". Mettere
su schermo le attività sportive dei propri figli è oggi
un'operazione imprescindibile dall'attività motoria.
Qualsiasi partitella alla quale assistano genitori, nonni e zii è
immediatamente ripresa dal display. Sarebbe da interrogarsi su quanto
sia effettivamente ludica tale attività e non invece una forma
di prescrizione degli adulti. Sovente la spettacolarizzazione domina sulle
altre dimensioni/accezioni dello sport.
Il senso dell'esperienza sportiva si trova nella sua rappresentazione
spettacolare, più che nell'affrontare ostacoli o nell'essere momento
di aggregazione sociale.
Con queste tre diverse dimensioni/accezioni dello sport si confronta la
scuola.
Scholé significa luogo della coltivazione gratuita, luogo del gusto
di fare qualcosa che vale di per sé.
A proposito dell'educazione motoria nella scuola, J.P. Arnold propone
un'articolata riflessione, in cui evidenzia che le denominazioni utilizzate
per designare l'attività rispecchiano orientamenti culturali e
modelli curricolari diversificati. In particolare, 'educazione fisica'
rimanda ad una concezione salutista. Al contrario, 'educazione motoria'
riconosce il corpo e il movimento come 'forme' dell'essere persona e le
tratta come forme culturali, nelle configurazioni che assumono storicamente
(gioco, danza, sport, ecc.).
L'opzione per la seconda alternativa sta alla base della proposta di un
curriculum motorio tridimensionale, che integra prospettive che sono state
considerate semplicisticamente come alternative, invece che, come suggerisce
ed argomenta Arnold, complementari.
Le dimensioni formative dell'educazione motoria nel curricolo scolastico
sono individuate dal tipo di rapporto tra movimento ed impostazione educative
e sono riconducibili a:
• l'educazione/istruzione circa (about) il movimento ovvero
la trasmissione di conoscenze teoriche sul movimento elaborate in vari
campi disciplinari;
• l’educazione che si attua attraverso (through)
il movimento, ovvero che usa il movimento per raggiungere scopi di formazione
fisica, sociale, morale, intellettuale (ad esempio: la salute o la forma,
la cooperazione di squadra e la gestione dei conflitti nel rispetto di
regole, la lealtà, la conoscenza e l'impiego di concetti topologici
dentro, fuori, ecc.)
• e, soprattutto, l'educazione nel (in) movimento, che
riconosce valore in sé alle attività motorie per il piacere
di praticarle in quante culturalmente significative.
L'educazione motoria scolastica si muove dunque tra gioco, game, sport
e display.
I tratti del gioco ludico (impegnativo, continuativo, progressivo, autoappagante,
fatto per giocare) nella scuola sono stati soppiantati da quelli dell'attività
ludiforme (guidata, strumentale, funzionale, eteroappagante, fatta per
insegnare/apprendere, ecc.), come ha ben chiarito Visalberghi.
"La spontaneità è sostituita dall'intenzionalità"
ma, si domanda Cerri, "il concetto di gioco didattico non potrebbe
risolversi in negazione del principio originario della ludicità?"
Una domanda, questa, che l'educatore (motorio, in particolare) deve continuamente
porsi,
per operare affinché la ludicità dell'esperienza motoria
resti viva anche ai più elevati livelli di prestazione agonistica,
perché se cade il gusto del giocare anche la performance viene
meno.
Il gioco motorio spontaneo, su cui s'innesta l'attività psicomotoria,
è il punto di partenza di un adeguato curricolo di educazione motoria
che procede verso lo sviluppo e l'affinamento delle attività motorie
di base e delle capacità coordinative e condizionali, configurandosi
come gioco-sport, inteso come utilizzazione organizzata e finalizzata
delle abilità motorie, per l'arricchimento del patrimonio motorio.
Lo sport, infine, può anche essere visto come elaborazione pedagogica
dell'aggressività adolescenziale, che viene così incanalata
verso mete accettabili, passando dalle vie fisiche a quelle mentali e
simboliche. Tuttavia, come sostiene J.P. Arnold, se lo sport viene considerato
ed usato (solo o principalmente) come strumento al servizio della formazione
fisica, sociale, morale, se ne danneggiano l'integrità, la legittimità
ed il valore educativo che risiedono nel suo essere una forma culturale
dell'umanità.
Negli ultimi anni si è sviluppata la tendenza ad offrire opportunità
di attività motoria e sportiva strutturata e guidata ai bambini
in età sempre più precoce, nel tempo scolastico ed in quello
extrascolastico. Ciò comporta, sommandosi all'ampliamento del tempo
dedicato alla fruizione televisiva e mediale, una significativa riduzione
dei tempi di effettiva libertà di aggregazione e di attività
ludica per i bambini/ragazzi. Inoltre, induce forme di precocismo specialistico
e di attività finalizzata all'agonismo, che mettono tra parentesi
la dimensione ludica dell'attività motoria e dello sport e ne sottolineano
quella strumentale (la salute, la ricerca del campione, del successo,
ecc.).
Che fare per poter gestire il rapporto tra attività di tipo autonomo
e spontaneo e attività scolastiche e sportive organizzate?
Tre piste di riflessione.
1. Primo, l'uso strumentale di qualsiasi esperienza umana la deprime e
la fa morire. Espressioni del tipo educazione attraverso lo sport riducono
l'esperienza nella sua globalità ad uno strumento. La scuola non
è soltanto il mezzo per apprendere un mestiere, diventare adulti,
è soprattutto un'esperienza significativa di per sé in una
certa fase della vita. La vita familiare, l'appartenenza ad un gruppo
sportivo, l'aggregazione spontanea in oratorio diventano significative
se non vengono percepite solo come strumenti, ma in quanto viene riconosciuto
loro un valore intrinseco.
2. Oggi le opportunità di sport organizzato per i ragazzi, per
i giovani e per gli adulti sono addirittura eccessive. Alle esigenze,
invariante antropologiche, di sfida e di gioco, si risponde prevalentemente
con attività di tipo iperorganizzato, che sono utili, ma non possono
diventare l'unica forma di esercizio della sfida motoria. Se si trattano
i ragazzini di 6 anni come giovani adulti impegnati nella macchina dello
sport-spettacolo, si corre il rischio di bruciare ogni loro futuro entusiasmo
sportivo. Sono molto carenti, invece, gli spazi e le opportunità
di gioco motorio e sportivo spontanei di aggregazione non strutturata.
3. La scuola, con il suo curriculum formativo dovrebbe svolgere un ruolo
equilibratore, perché è l'istituzione formale alla quale
tutti partecipano. Dovrebbe incrementare le attività più
spontanee e ludiche nei contesti in cui c'è una forte offerta di
attività sportiva strutturata, e viceversa offrire occasioni di
attività sportiva strutturate nei contesti che ne sono sprovvisti.
Occorre, dunque, ricercare/ritrovare un equilibrio nell'offerta e nell'articolazione
dell'attività motoria e sportiva con:
• spazi e tempi adeguati per quella libera;
• momenti e forme opportune per quella organizzata;
• congrua collocazione di quella scolastica nell'ambito del curricolo
formativo, che può/deve svolgere una funzione di interfaccia omeostatico
tra la prima e la seconda.
In sintesi, l'attività/educazione/scienza motoria a scuola svolge
una specifica funzione formativa che non esclude, ma si integra con quella
libera, spontanea, ludica e con quella sportiva strutturata.
Ognuna con il suo spazio, la sua dignità e il suo ruolo, unitamente
alle molte altre forme della cultura umana, al servizio della formazione
integrale della persona.
Paolo Calidoni
Note
(1) Thomas Arnold, dal 1827 al 1842 rettore del College di
Rugby, introdusse molti cambiamenti che vennero poi adottati in molte
scuole secondarie inglesi, in particolare l'autogoverno e la pratica sportiva,
a cominciare appunto dal rugby, che secondo la 'mitologia' di questo sport
sarebbe nato proprio in quegli anni in quel college.
Bibliografia
ARNOLD P.J. (1988), Education, Movement and the Curriculum, Falmer, London;
tr.it. con introduzione di R. Farné (2002), Educazione motoria,
sport e curricolo, Guerini, Milano.
BALDUZZI L. (a cura di) (2002), Voci del corpo, La Nuova Italia, Firenze.
CAILLOIS R. (2000), I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine,
Bompiani, Milano.
CAPPELLETTI V. (1999), “Corpo”, in L'universo del corpo, Istituto
della Enciclopedia Italiana, Roma.
CERRI R. (2002), Dimensioni della didattica - Tra riflessione e progettualità,
Vita e Pensiero, Milano.
LE BOULCH J. (2000), L'educazione del corpo nella scuola del domani, Magi,
Roma.
MANTEGAZZA R. (1999 ), Con la maglia numero 7, Unicopli, Milano.
SARSINI D. (2003), Il corpo in occidente - Pratiche pedagogiche, Carocci,
Roma.
STACCIOLI G. (2002), Il gioco e il giocare, Carocci, Roma.
|
|
|