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I valori dello sport
Un progetto scolastico per
riflettere con i ragazzi sul mondo dello sport con l’obiettivo
di renderli consapevoli degli autentici valori che fondano ogni attività
sportiva. Coniugando le discipline di educazione fisica e lettere è
possibile.
Coniugare le discipline di educazione fisica e di lettere
in un progetto comune… impresa impossibile? Certamente no, a condizione
che i docenti impegnati (ed è il nostro caso) siano così
tanto appassionati da riuscire a trasmettere la loro passione per lo
sport anche agli alunni.
L’idea di costruire un progetto scolastico a
partire dal tema sportivo è nata – dunque – non per
caso o per necessità, ma in modo spontaneo e di comune intesa.
All’inizio, per la verità, non avevamo un programma ben
definito. Abbiamo spesso navigato a vista, senza fissare degli obiettivi
immediatamente valutabili, attratti com’eravamo anche dalla piega
che poteva assumere il progetto stesso, un po’ come quando –
con spirito di avventura - si intraprende un viaggio senza avere una
rotta precisa e consapevoli che gli ostacoli da superare saranno tanti.
Siamo partiti, perciò, seguendo un unico filo conduttore, la
volontà, cioè, di riflettere insieme ai ragazzi sul mondo
dello sport. Una riflessione, questa, che quasi si impone per l’attualità
dell’argomento, in quanto tristemente ormai possiamo constatare
che buona parte del mondo dello sport è afflitto da un vero e
proprio cancro, che lo sta degradando e divorando dall’interno.
In molti ambiti lo sport ha finito infatti col mutuare dalla società
malata tutte quelle connotazioni negative che essa ha prodotto nel corso
del suo inarrestabile “progresso”: arrivismo, potere, denaro,
successo ad ogni costo, disonestà.
Premesso che siamo partiti dalla considerazione, certo
poco decoubertiniana, che quando si gareggia è giusto che ogni
atleta cerchi di vincere con tutte le sue forze, abbiamo tuttavia cercato,
attraverso le numerose discussioni con gli alunni, di renderli gradualmente
consapevoli degli autentici valori che fondano lo sport e che lo rendono,
sin dai tempi degli antichi Greci, così affascinante. Ne è
risultata, pertanto, una lettura alquanto singolare per loro, non abituati
come sono a cogliere il lato umano del campione, reso finalmente spoglio
di tutte le prerogative imposte dai mass-media e dagli sponsor, e ridotto
– invece – a “persona” capace di commuoversi,
di sbagliare, di deludere, di gioire come qualunque altro essere umano.
Alla lunga la nostra ricerca ci ha portato a far emergere gli aspetti
“etici” dello sport e a fare comprendere che competizione
e legalità (intesa come osservanza di norme) possono, anzi devono,
coesistere nello sportivo. Siamo convinti, a questo proposito, che l’educazione
fisica o la pratica (a livello amatoriale o agonistico) di un qualsiasi
sport possono rappresentare – se correttamente indirizzati –
uno dei modi migliori per generare i veri “cittadini” di
domani. Va da sé, ad esempio, che i campetti degli oratori o
dei comuni sono stati per decenni l’unico baluardo contro il degrado
giovanile di interi quartieri.
Tuttavia oggi, e qui gli allenatori di qualunque squadra ne converranno,
è sempre più difficile far comprendere ai ragazzi l’eticità
dello sport, che parte dal rispetto dell’avversario e arriva all’accettazione
serena della sconfitta (il famoso “bisogna saper perdere”).
Far capire che praticare uno sport significa fatica e sacrificio, paziente
attesa del momento della vittoria, lealtà, concentrazione, rispetto,
ecc. risulta compito arduo, come già detto, in una società
dominata dal culto del “tutto e subito” (e possibilmente
senza alcuno sforzo, anzi, se è il caso, infrangendo le regole
per ottenerlo).
Osservando le suggestive immagini tratte dalle primissime puntate di
quell’intelligente trasmissione televisiva di RAI3 intitolata
“Sfide”, i ragazzi sono stati guidati a riappropriarsi di
questi valori.
Vedere la fatica della fondista Belmondo, l’errore compiuto dal
campione (indimenticabile Hakkinen che a Monza si mette a piangere,
nascosto dalle telecamere, subito dopo aver buttato al vento una vittoria
decisiva per la conquista del campionato di F1), l’estrosità
e la fantasia del calciatore (Maradona, Pelè, Platini, Baggio,
ma anche Gigi Meroni, il primo vero calciatore anticonformista), la
stoica determinazione con cui un atleta supera le difficoltà
derivate da un grave infortunio… tutto questo, crediamo, ha permesso
ai nostri alunni di riflettere con spirito critico su un mondo, quello
sportivo, ormai sommerso dagli interessi economici e commerciali.
Oltre ai documentari ci siamo avvalsi della lettura di brani antologici,
di articoli di giornale, di poesie, di canzoni. I ragazzi hanno analizzato,
in piccoli gruppi e con la nostra supervisione, i documenti, sintetizzandone
oralmente e per iscritto i contenuti, hanno discusso argomentando le
loro opinioni, hanno espresso giudizi, hanno maturato un punto di vista
personale, concludendo il lavoro con la stesura di un breve ma curato
dossier (di cui abbiamo estrapolato le parti più significative
per questo articolo).
L’argomento è stato anche oggetto del colloquio d’esame.
Il progetto è stato apprezzato dagli alunni e gli insegnanti
hanno potuto affrontare un argomento che, toccando la loro sfera emotiva,
li ha pienamente coinvolti.
La vittoria e la sconfitta
Quando si raggiunge la vittoria si provano delle
forti emozioni e, pur avendo provato delle sensazioni spiacevoli
come la fatica, un atleta continua ad impegnarsi nuovamente per
raggiungere una seconda vittoria perché è appassionato
per quel determinato sport e perché vuole mettersi continuamente
alla prova.
Un atleta, per raggiungere la vittoria, deve avere, oltre ad un
buon allenamento fisico, una mentalità vincente, cioè
deve credere in se stesso (e/o nella squadra) senza rassegnarsi
mai.
Alcuni atleti sostengono che per raggiungere una vittoria si può
praticare uno sport anche come divertimento e non solo dopo grandi
fatiche.
Davide Bonora, ad esempio, playmaker della Benetton Treviso, sostiene
che bisogna giocare solo per divertirsi; il gioco del basket è
un gioco di squadra e si gioca anche per il piacere di stare insieme.
Andrea Meneghin, ala della Cagiva Varese e della Nazionale di
pallacanestro, sostiene che la vittoria è ancora più
bella quando la si raggiunge dopo avere subito alcune sconfitte.
Non sempre si può vincere
Dietro ogni vittoria c’è anche sempre
una sconfitta. La sconfitta è una preparazione alla vittoria
e come essa va gustata in quanto bisogna considerarla come un
primo passo verso una futura vittoria. Bisogna ricordare che per
vincere bisogna prima fare piccoli passi secondo la propria esperienza
e capacità. Quindi sarebbe utile prefiggersi delle mete
e dei traguardi e sforzarsi pian piano di raggiungerli fino ad
arrivare alla meta finale: la vittoria.
Una squadra, infatti, quando dopo molte sconfitte vince, ha più
soddisfazione di quella che vince sempre, perché sa di
essersi migliorata, al contrario dell’altra che è
sempre rimasta allo stesso livello.
Però c’è anche il rovescio della medaglia,
perché quando si ha finalmente vinto si ha un senso di
vuoto dovuto alla mancanza dell’ambizione per la vittoria.
Quindi è una specie di sconfitta nella vittoria.
Durante una partita la squadra cerca di raggiungere la vittoria
per se stessa, ma anche per paura di deludere l’allenatore
e i tifosi. Per questo, certe volte, si ha paura di non essere
all’altezza.
L’armonia della squadra
In una squadra tutti hanno la stessa importanza
e tutti hanno il diritto di giocare. Ciò favorisce l’armonia
nei componenti della squadra, infatti se essa manca, non si può
arrivare alla vittoria.
Inoltre, una squadra deve trovare il suo equilibrio. Ad esempio,
quando gioca una partita e vince non deve essere sicura di avere
sempre in futuro la vittoria fra le mani.
Anche la rivalità all’interno della squadra può
creare situazioni di precario equilibrio. A volte la competizione
tra componenti di una stessa squadra può portare grandi
conflitti interni con conseguente mancanza di risultati. Molte
squadre creano la loro forza non sul campo o durante un allenamento,
ma dentro gli spogliatoi, dove si parla si scherza e si riflette.
Lo sport ci educa a vivere meglio, a stare bene con noi stessi
e con gli altri perché ci permette di stare sempre a contatto
con persone nuove. Lo sport è dunque un importantissimo
veicolo di socializzazione.
È fondamentale avere anche un buon rapporto con l’allenatore,
poiché prima di una partita egli sa incoraggiare i suoi
atleti e dopo una sconfitta è lì pronto a consolarli.
Egli plasma la squadra e, come un direttore d’orchestra,
sa esaltare le caratteristiche di ciascun componente della squadra
senza vanificare l’equilibrio e l’armonia del gruppo.
In una squadra è importante che non s’intromettano
troppo i genitori, che potrebbero causare l’insorgere di
rivalità tra i ragazzi.
Infine, una squadra deve sapere che non è importante vincere
o perdere, ma saper mantenere l’unità e l’amicizia
all’interno del gruppo.
Le regole
In uno sport che sia individuale o di squadra,
bisogna sempre seguire delle regole.
Esse si dividono in due gruppi fondamentali: le regole che non
possono essere assolutamente infrante, ad esempio picchiare un
avversario durante una partita, e quelle che possono essere variate,
come cambiare uno schema di gioco.
Le regole e gli schemi possono essere infrante in vari modi, nel
calcio non si possono utilizzare le mani, nel basket è
vietato l’uso dei piedi… Un altro modo d’infrangere
gli schemi, in modo particolare può essere quello dell’iniziativa
presa da un giocatore; egli può diventare un personaggio.
Un’altra regola che è stata purtroppo infranta ormai
da molto tempo, è quella dell’assunzione di sostanze
dopanti. Questo è un fatto molto grave poiché rovina
e sporca il mondo dello sport.
Nello sport tutti (giocatori, allenatori, arbitri, tifosi e dirigenti)
devono seguire le regole; una persona in particolare è
l’arbitro, da lui infatti dipendono molte cose durante una
partita, egli ha il potere di manovrare il gioco.
Molto spesso, alle regole di gioco coincidono le regole della
vita.
In conclusione è importante distinguere i diversi gruppi
di regole, successivamente rispettare quelle fondamentali e magari
variare quelle superficiali e non fare mai dello sport un gioco
violento e che abbia a che fare con le droghe.
Sport, mass media e pubblicità
I mass media utilizzano sempre di più
i campioni di sport per fini pubblicitari.
Alcuni campioni a volte si montano la testa pensando di essere
chi sa chi! Molte volte non sono più se stessi.
Un campione, invece, deve sempre cercare di rimanere se stesso.
Un vero campione non deve montarsi la testa nel momento in cui
la pubblicità sfrutta la sua immagine oppure quando guadagna
tanti soldi. Egli deve innanzitutto rimanere se stesso e seguire
la propria strada. I mass media hanno in questo senso enormi responsabilità.
Damiano Tommasi, famoso calciatore della Roma e della nazionale,
è un esempio di come si possa rimanere se stessi mantenendosi
coerente. Lui pensa che bisognerebbe far pagare meno il biglietto
per vedere la partita. Dice anche che la sua vita, per ciò
che riguarda il suo modo di pensare e di essere, non è
cambiata da quando è diventato un “idolo”.
Sostiene piuttosto che è aumentata la sua responsabilità
in quanto deve dare sempre il buon esempio. Anche per questo motivo
è sovente promotore di molte iniziative nel mondo del volontariato.
[…] Nel mondo sportivo moderno, prestazione atletica clamorosa,
pubblicità e denaro si rincorrono in un circolo vizioso,
il cui effetto è un agonismo sempre più violento:
il corpo dell'atleta diventa una macchina che deve vincere a tutti
i costi... e si arriva al doping, cioè all'uso
di sostanze farmacologiche (non legalmente permesse), con lo scopo
di ottenere risultati difficilmente conseguibili dal corpo umano
con il solo allenamento sportivo.
Ma in questo modo non viene meno il sano spirito sportivo?
Non c'è forse più soddisfazione a usare al meglio
e onestamente le capacità del proprio corpo e della propria
mente? |
Cinzia Mismetti
Marco Zanin
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