Un'identità in trasformazione
Per gli insegnanti di educazione
fisica, anche se ben preparati, l’impatto con le classi è
sempre un’esperienza impegnativa e, in questi ultimi anni, complicata
da un calo di motivazione da parte dei ragazzi.
Per gli studenti universitari dell'ISEF che, terminati
gli studi dopo aver trascorso buona parte della propria formazione in
palestra, si trovavano ad insegnare, è sempre stato duro l'impatto
con la scuola. È vero che, tra tutti i docenti, gli insegnanti
di educazione fisica erano tra i pochi ad aver fatto esperienza di tirocinio
guidato, tuttavia le motivazioni che avevano accompagnato le scelte
di studio ben poco si conciliavano con l'ambiente della palestra scolastica,
con i suoi ritmi e le sue aspettative. Per quelli come noi che, all'epoca,
uscivamo diplomati dall'ISEF era ovvio pensare che le ore di educazione
fisica fossero centrali nella vita scolastica degli alunni e riscuotessero
il massimo del loro gradimento. Invece ci trovavamo a lavorare con una
materia marginale rispetto al tempo scuola complessivo e poco considerata,
e per di più sovente anche con ragazzi poco motivati.
Non solo, quasi sempre l'insegnante, che proveniva dal mondo agonistico,
nonostante gli studi e la teoria appresa, tendeva a mantenere una visione
di tipo sportivo della materia insegnata che nulla aveva a che vedere
con la realtà di una classe scolastica.
Insomma, era, il nostro, un impatto veramente duro con la realtà
lavorativa. Superato però il faticoso periodo di adattamento
iniziale maturavamo un'altra visione del nostro ruolo a scuola.
Fino ad una ventina di anni fa i ragazzi, soprattutto alle superiori,
vedevano il docente di educazione fisica come quello “buono”
in mezzo ai tanti prof legati alla valutazione e quindi necessariamente
più severi: nasceva da queste considerazioni la figura del docente
"umano", quello che ascolta e comprende, utile anche al consiglio
di classe per il suo ruolo di mediazione.
Ritengo che negli ultimi anni però la nostra posizione di insegnanti
all'interno del consiglio di classe si sia nuovamente modificata.
I ragazzi cambiano, cambia il contesto sociale nel quale vivono e cambiano
i valori di riferimento; e d'altra parte, ad eccezione di alcune situazioni,
non esistono quasi più i professori terribili, che non ascoltano
e non dialogano con gli studenti.
Al contrario, sempre più gli studenti tendono a percepire se
stessi come centro del mondo in cui vivono; hanno difficoltà
a stabilire delle mete da raggiungere che comportino fatica; interiorizzano
modelli di adulti deresponsabilizzati.
Il
docente di educazione fisica, allora, abbandonate le velleità
sportive può e deve, nei limiti del proprio orario che di fatto
ne riduce le possibilità di intervento, tornare ad essere in
primo luogo un educatore a tutto campo.
Diventa prioritario, per noi insegnanti di educazione fisica che lavoriamo
in palestra, il raggiungimento di obiettivi come il rispetto delle regole,
delle consegne, che implicano l'abitudine a comportamenti corretti e
autodisciplinati.
Tutto questo, non per un'estetica dell'ordine, ma come base irrinunciabile
per la crescita motoria e soprattutto sociale dei nostri studenti.
È importante, inoltre, il ruolo che l'insegnante di educazione
fisica può svolgere per promuovere la pratica sportiva esterna
alla scuola. Oggi purtroppo, la funzione dei gruppi sportivi (ore extrascolastiche
di promozione alla pratica sportiva, aperte a tutti gli studenti della
scuola, a volte finalizzate alla preparazione dei campionati studenteschi,
a volte semplice momento di approfondimento di attività sportive,
svolte in entrambe i casi con sufficiente continuità nel corso
dell'anno), in particolare nelle scuole superiori, è mortificata
dai regolamenti dei Giochi sportivi studenteschi che, anziché
avvicinare, allontanano gli alunni che già non praticano attività
sportive societarie.
Dallo sport parlato invece siamo bombardati. Televisioni e giornali
ci forniscono informazioni a non finire, soprattutto sul calcio, che
da solo assorbe il 90% della programmazione sportiva televisiva.
Ma se il modello dominante è quello dello sport visto, passivo
e non praticato, non è solo colpa delle Play station o della
televisione: grandi colpe vanno attribuite alle scelte politiche che
finora non hanno saputo dare risposte al bisogno di movimento tipico
dell'età giovanile e adolescenziale. Penso ad Aosta dove non
esistono più spazi liberi per correre e tirare due calci ad un
pallone o gironzolare con le bici. È vero, ci sono più
strutture di un tempo, più palestre, ma gli spazi chiusi sono
rigidamente regolati e non permettono più ai ragazzi di gestirsi
il loro tempo libero per "giocare", attività ben diversa
dal “fare sport”.
Il progetto per il nuovo utilizzo dello stadio Puchoz (per il momento
bloccato per contrasti di vedute interni al consiglio comunale) era
emblematico: uno spazio decisamente ampio, finalmente fruibile dall'intera
cittadinanza, ma chiuso da muraglioni e rigidamente suddiviso all'interno
in mini aree tematiche, dal “labirinto ginnico” al “giardino
dei cinque sensi”, dal “giardino relax” al “bosco”
(di “ben” 700 m2!).
Neanche i cortili, i pochi rimasti, sono più praticabili, trasformati
in parcheggi per auto tenute sotto stretto controllo da proprietari
iperprotettivi. Ecco allora che il nostro ruolo di insegnanti di “ginnastica”
ritrova identità nei valori propri dell'educazione al movimento,
dell'educazione alla salute e alla socialità, nella collaborazione
tra insegnante e alunni e nel favorire rapporti positivi e costruttivi
tra gli alunni stessi per una crescita in armonia con se stessi e con
l'ambiente circostante. Un ruolo all'interno del quale riscoprire anche
gli incontri tra i docenti, per parlarsi davvero e progettare percorsi
formativi, non i consigli di classe ai quali ci stiamo sempre più
abituando, dove si compiono atti quasi esclusivamente burocratici o
di ratifica, ma momenti nei quali ci si pone un obiettivo forte, la
crescita e lo sviluppo di persone integre, finalmente unite nel corpo
e nella mente, attori consapevoli della propria vita e delle proprie
responsabilità. Questo è il sogno. La realtà delle
riforme scolastiche alle quali stiamo assistendo purtroppo va in direzione
contraria…
In palestra
La mia esperienza educativa mi ha portato a verificare
un calo progressivo della motivazione dei ragazzi per l'educazione fisica
a scuola.
In questi ultimi anni, ho dovuto sovente, per ottenere attenzione e
impegno dai miei studenti, mettere in relazione le loro prestazioni
fisiche con la valutazione. Sono stato, cioè, costretto ad accettare
il fatto che, ad esempio, la partecipazione ad una partita di pallavolo
migliorasse se gli studenti erano informati che al termine sarebbero
stati valutati.
Per rispondere a questa “necessità” di voto quindi,
tra le modalità di insegnamento scolastico ho introdotto quest'anno
una novità che si è rivelata molto produttiva.
Durante ogni lezione, gli alunni sanno che due di loro sono prescelti
per essere valutati sulla base dei seguenti tre criteri: impegno, qualità
dell'esecuzione degli esercizi e qualità delle prestazioni durante
la fase di gioco (che non manca mai). I nominativi, che rivelo solo
al termine dell'ora, sono da me scelti prima dell'inizio della lezione
e segnati su un foglietto.
È oggetto di valutazione una prestazione ridotta, per cui il
voto oscilla tra il quattro e l'otto. È significativo per me
segnalare che, da quando ho utilizzato questa strategia, ho attribuito
una unica insufficienza, durante la prima lezione durante la quale ho
adottato questo metodo; successivamente in tutte le mie classi (otto)
i voti non sono mai scesi sotto il sette. Inoltre, i ragazzi stessi,
al termine della lezione, vengono a chiedermi chi è stato valutato,
segno che il sistema è accettato.
Per
quanto riguarda le attività proposte, ogni lezione prevede una
fase di riscaldamento quasi sempre effettuato in forma ludica, una parte
centrale nella quale si sviluppa un singolo aspetto tecnico sportivo
con esercizi o si usa un'attività per approfondire questioni
teoriche della pratica motoria; infine un'ultima parte dedicata ad un
gioco.
Quest'anno nel primo quadrimestre ho individuato anche un obiettivo
di tipo fisico: inizialmente la tonificazione, poi il rafforzamento
della muscolatura addominale. Dalle prime lezioni abbiamo iniziato ad
aumentare il carico di lavoro: da tre serie di dieci addominali, aumentando
alternatamente numero di serie e numero di ripetizioni siamo arrivati
a tre serie da cinquanta. Questo lavoro mi ha permesso, tra l'altro,
di parlare della teoria dell'allenamento per spiegare che una seduta
settimanale non è sufficiente a produrre modificazioni di prestazioni
significative (carico allenante, supercompensazione, ecc.) e che i ragazzi
dovevano, almeno una volta alla settimana, effettuare degli esercizi
per conto proprio a casa. Adesso, alla fine del quadrimestre, l'obiettivo
che, tra lo scetticismo degli alunni, avevo individuato è stato
raggiunto dal 95% dei miei studenti. Come si può immaginare a
conclusione di tutte le mie riflessioni, anche il test di forza degli
addominali riceverà una valutazione specifica!
Paolo Fedi