Questa infestante è in continua espansione nei nostri orti, causandone la riduzione delle rese produttive e aumentando la difficoltà della raccolta. Contro questa infestante, occorre pertanto adottare metodi di lotta integrati fra di loro (meccanici, chimici e agronomici).
Il Professor Andrea Moltoni nel corso delle sue frequenti visite in Valle negli anni ‘90, metteva giustamente e costantemente in risalto il valore delle produzioni di montagna, non solo per il consumo famigliare, ma anche come reddito integrativo per le aziende agricole e sottolineava come le condizioni climatiche favorevoli e l’assenza di patogeni permettessero produzioni di qualità. Purtroppo nell’agricoltura tradizionale, che prevede la coltura in pieno campo, o negli orti, spesso non ci accorgiamo dell’invasione di infestanti magari poco appariscenti, ma molto dannose come ad esempio
l’Equiseto Arvense.
DESCRIZIONE
Gli Equiseti sono considerati dei “fossili viventi” di remotissimi antenati vegetali. La loro origine risale a 280 milioni di anni fa, nel periodo del carbonifero, ove ci fu l’instaurarsi delle prime piante a struttura complessa (assieme alle felci) fornite di tronco, foglie e radici. La specie è considerata interessante per la ricerca sull’evoluzione dei vegetali.
Il genere appartiene alle
Pteridofite e pertanto non produce né fiori né frutti ma spore, contenute all’interno di una spiga terminale. Questa pianta predilige i terreni umidi, ma sopravvive lungo le strade in ambiente asciutto. Prova ne sia che anche in annate secche possiamo notarla comunque.
I fusti sono articolati, costituiti da brevi internodi e da nodi da cui dipartono altri rami o brevi foglie.
In alcuni paesi è chiamata erroneamente in dialetto l’erba del diavolo (“Erba du Ghiau”) in quanto una leggenda narra che il demone per fare dispetti agli uomini, sparse sulle colture questa pianta. L’uomo tentò inutilmente di estirparla, ma riuscì soltanto a staccare delle piccole porzioni in quanto i fusti si spaccavano troppo facilmente in corrispondenza degli internodi e le radici rimanevano ben piantate nel terreno.
I fusti si sviluppano da rizomi sotterranei, spesso articolati e capaci di formare uno spesso strato di oltre un metro. Dai nodi dei rizomi possono partire ciuffi di radici che permetteranno lo sviluppo indipendente di distinte piante. I fusti sotterranei che si sviluppano verso l’alto originano una nuova pianta, altri si atrofizzano e si trasformano in piccoli “tuberi” simili a patate.
La parte area può avere due forme, una verde e sterile e l'altra più scura, portante all’apice lo “strobilo” che ha le sembianze di un fungo, che talvolta, al tatto dissemina una polvere gialla. Le spore possono spostarsi agevolmente galleggiando sull’acqua e disseminarsi su ampie superfici molto lontane dal nucleo originario.
Il controllo degli equiseti è molto difficile, poiché presentano un apparato sotterraneo molto esteso e una capacità propagativa dei rizomi, elevatissima. Negli orti con muretti di bordura il potente apparato radicale si sviluppa lungo la parete, anche ad una profondità di 60-70 cm.
Equisetum Arvense. Questa infestante è in continua
espansione nei nostri orti, causa la riduzione delle rese
produttive e una notevole difficoltà alla raccolta.
In questa zona, essendo la vangatura resa difficile dalla vicinanza del muretto, non si creano rotture e divisioni delle radici, pertanto lo sviluppo procede tranquillamente a ritmi costanti. Anche nelle zone di passaggio, poco interessate alle lavorazioni, lo sviluppo dell’equiseto procede indisturbato. È evidente dunque che la prima condizione alla base dell’espanzione di questa infestante è la scarsa o nulla lavorazione.
Anticamente la presenza della pianta era segnalata soltanto nelle aree incolte, mentre attualmente la possiamo trovare in quasi tutte le colture erbacee e arboree. L’invasione di Equiseto, ad esmpio, nelle fragole può portare alla distruzione totale della coltura, mentre se alcune varietà di patate possono anche non riportare danni produttivi evidenti, altre possono avere perdite anche del 50%: tutto ciò dipende dalle contrapposte dinamiche di sviluppo della coltura e dell’infestante.
Come molte infestanti, l’Equiseto ha anche delle proprietà utili. In erboristeria si segnalano le sue proprietà diuretiche ed emostatiche e il suo utilizzo come trattamento delle fratture per l’elevato contenuto di silicio nei fusti. Ricordiamoci sempre però che le erbe spontanee non vanno mai raccolte sui bordi delle strade e vicino a colture trattate chimicamente.
NOCIVITÀ
Nei prati e nei pascoli
l’Equiseto arvense è molto pericoloso perchè contiene una sostanza che causa alterazioni del sistema nervoso degli animali; è raro tuttavia che si abbiano esiti letali. Anche
l’Equiseto palustre è pericoloso per il bestiame, sono infatti sufficienti 2 grammi di fusti secchi nella razione giornaliera delle vacche per provocare un forte calo nella produzione di latte.
Le produzioni di montagna hanno importanza non solo a livello famigliare ma anche come reddito integrativo alle aziende.
Per la poca appetibilità viene però evitato dagli animali al pascolo. Bisogna tener presente che il fieno che contiene equiseto non perde con il tempo, neppure dopo anni, la sua nocività. Nei cavalli, in particolare, i primi sintomi di intossicazione si manifestano dopo 2-4 settimane.
In seguito alle operazioni di bonifica susseguenti agli eventi alluvionali del 2000 si è registrato un notevole incremento della presenza di Equiseto nelle risemine. Grazie però alla razionale gestione delle foraggiere, vi è stato un importante regresso.
LOTTA MECCANICA
La raccolta meticolosa delle radici e delle parti di radice al momento della preparazione degli orti è l’azione più importante da mettere in atto per la lotta all’equiseto; è importante concentrare l’azione nelle aree vicino ai muri.
La vangatura profonda in autunno è molto efficace; lasciare gli apparati radicali esposti al gelo invernale per mesi, permette di attuare una drastica riduzione degli organi riproduttivi. Anche nei periodi caldi è utile lasciare le radici e i rizomi in superficie, esposti ai raggi solari, in modo che asciughino e secchino definitivamente.
Sono preferibili arature (o vangature) profonde e ripetute, anche in estate. Attenzione invece alle lavorazioni più superficiali che non sono in grado di indebolire il sistema radicale, ma che potrebbero aggravare l’infestazione.
LOTTA AGRONOMICA
Nella gestione delle colture e per il contenimento delle infestazioni è importante prevedere delle rotazioni che alternino colture a semina fitta, più competitive, a colture sarchiate (mais e patate).
In presenza di una forte competizione l’Equiseto produce un apparato sotterraneo più superficiale, risultando più facilmente aggredibile con mezzi meccanici, come l’aratura e la sarchiatura.
Nelle operazioni di bonifica degli eventi alluvionali del 2000 si è registrato un notevole incremento della presenza dell’Equiseto nelle risemine; con la razionale gestione delle foraggiere, vi è stato però un’importante regresso
Nella descrizione degli ambienti naturali abbiamo evidenziato come l’equiseto preferisca le zone umide, quindi un’importante operazione da mettere in atto è la regimazione dell’acqua. In pratica limitare gli apporti idrici allo stretto necessario ed effettuare irrigazioni regolari e costanti può ridurre l’invasione entro condizioni accettabili.
Spesso si usa l’acqua per irrigare gli orti giusto perché c’è il turno settimanale. A volte le parcelle sembrano delle risaie, con la conseguenza che si moltiplicano i problemi fitopatologici e di riflesso gli interventi fitosanitari. Ad esempio per molte colture non bisogna bagnare le foglie e i fiori ma, meglio sarebbe irrigare con i solchi o con l’uso delle “porche”. In commercio sono reperibili ottimi irrigatori che funzionano con pochissima acqua, con ridotte pressioni e permettono di irrigare perfettamente parcelle di qualsiasi forma.
LOTTA CHIMICA
La lotta chimica è difficile in quanto la pianta di equiseto ha un apparato fogliare molto limitato e i trattamenti sono assorbiti solo in minima parte dalle minute lamine fogliari.
Le specie del genere Equisetum sono resistenti alla maggior parte degli erbicidi, soprattutto a causa dell’estensione del loro sistema rizomatoso.
Il principio attivo Glyphosate è poco efficace per una traslocazione troppo lenta e per l’epidermide silicizzata dei fusti, che ostacola la penetrazione del principio attivo nella pianta. I pochi diserbanti dotati di una certa efficacia sono risultati alcuni principi attivi sistemici che sono impiegati solo su un ristretto numero di colture.
Sufficientemente efficace risulta essere il principio attivo Glufosinate ammonio che dissecca l’apparato aereo della pianta. Non impedisce il riccaccio, ma almeno limita la disseminazione. Gli erbicidi dovrebbero essere distribuiti preferibilmente dall’estate fino all’autunno, quando la vegetazione è più abbondante e le sostanze di riserva migrano nei rizomi e le temperature sono ottimali. Ricordiamo che le temperature troppo basse riducono l’efficacia di molti diserbanti.
Da alcuni anni nel Nord Europa si tenta una nuova tecnica di lotta nei pascoli. Il passaggio di un aratro ripuntatore taglia la cotica a 40-60 cm di profondità dove in seguito si “inietta” l’erbicida. I risultati sembrano incoraggiare la tecnica, ma sono improponibili nelle nostre condizioni dove i terreni sono poco profondi e dove in genere si fanno scelte più eco-compatibili.
Se si fa uso di queste molecole chimiche bisogna attenersi scrupolosamente alle prescrizioni riportate sui contenitori (dosi, tempo di carenza, colture ammesse, ecc) e non dimenticare mai che si stà trattando le produzioni destinate al consumo della propria famiglia. Il mio parere personale è che non vanno mai usati negli orti.
LOTTA BIOLOGICA
La caratteristica dell’Equiseto di crescere in luoghi preferibilmente umidi rende, la sua eradicazione o il suo contenimento con prodotti chimici alquanto complessi. Molti ricercatori nel mondo stanno cercando di sostituire la lotta chimica con soluzioni innovative. Ad esempio molti programmi di ricerca prevedono l’uso di patogeni fungini specifici, con i quali potrebbe essere contenuta l’infestante senza procurare danno alle colture e all’ambiente.
Finora sono stati individuati almeno dieci patogeni fungini che potrebbero essere utilizzati a tale scopo.
CONCLUSIONE
Sicuramente occorre contenere l’invasione e la moltiplicazione dell’Equiseto.
La migliore soluzione in termini agro-ambientali rimane comunque la raccolta manuale. Occorre valutare con largo anticipo se la presenza di qualche pianta potrebbe penalizzare la produzione. I nostri orti, benché siano di piccole dimensioni, ci danno prodotti salubri, di alto valore ambientale, e non in ultimo, ci permettono di risparmiare.
BIBLIOGRAFIA
Malerbologia. P. Catizone G. Zanin. Pàtron Editore 1995
Piante tossiche o dannose agli animali. P.L.Verona Edagricole 1984