L'Institut Agricole Régional è sempre stato particolarmente attivo nella valorizzazione dei vitigni autoctoni valdostani. I primi lavori, svolti in collaborazione con l'Università di Torino e l'Assessorato regionale all'Agricoltura, sono iniziati prima del 1970 (Dalmasso et al., 1963; Quaglino et al., 1978) ed hanno portato alla omologazione di cloni di Petit rouge, di Nebbiolo Picotendro e alla selezione di alcuni biotipi di Moscato bianco e Vien de Nus (Mannini et al., 1989; Mannini et al., 1992).
Si sono poi regolarmente succeduti nuovi progetti di selezione massale o clonale su Fumin, Cornalin, Mayolet, Prié rouge (Premetta), Prié blanc, Vuillermin, Bonda e di caratterizzazione viticola ed enologica (Moriondo et al., 1998; Moriondo, 1999; Moriondo, 2001; Domeneghetti, 2006).
Ognuno di questi progetti ha comportato la moltiplicazione e l'impianto di un considerevole numero di accessioni. Una parte di queste, in particolare quelle che, oltre ad essere esenti da virosi, apparivano più promettenti dal punto di vista viticolo-enologico, hanno trovato una collocazione stabile nei vigneti dell'Institut, costituendo il nucleo originario dell'attuale collezione. Questo materiale ha contribuito allo sviluppo della viticoltura valdostana, soddisfacendo la domanda di materiale di propagazione di elevato pregio; tuttavia, proprio perché rispondente a esigenze di miglioramento varietale, non può rappresentare completamente la ricchezza, in termini di variabilità genetica, accumulata nel corso dei secoli nei vigneti della regione.
I vecchi vigneti vengono rapidamente rimpiazzati da nuovi impianti, o vengono semplicemente abbandonati, riducendo in maniera irreversibile la diversità genetica lasciata alle nuove generazioni. Per far fronte a questa situazione, nell'autunno del 2007 l'Institut Agricole Régional ha avviato un nuovo progetto: l'ampliamento della collezione ampelografica e la costituzione di una "banca" del germoplasma viticolo valdostano, in grado di assicurare la conservazione di quanto resta del patrimonio genetico dei vitigni ritenuti autoctoni così come dei vitigni che, pur provenendo da altre regioni, sono coltivati in Valle d'Aosta da secoli, quali il Moscato bianco, il Nebbiolo, il Pinot grigio.
Il progetto si differenzia da tutti i lavori effettuati in precedenza proprio perché, in questo caso, si reputa prioritaria la raccolta e conservazione del germoplasma ancora presente, indipendentemente dal valore viticolo-enologico delle singole piante, rispetto alla selezione dei soli individui giudicati particolarmente interessanti dal punto di vista strettamente produttivo. Il criterio di selezione adottato per l'inclusione nella collezione è dunque, innanzitutto, il valore di rappresentatività della diversità genetica esistente: oltre alle accessioni che presentano un elevato potenziale viticolo-enologico, la collezione comprende anche individui rappresentativi dei vitigni tradizionali di limitato interesse produttivo nonché individui di scarsa qualità benché appartenenti a vitigni tradizionali di pregio, purché rappresentativi della diversità genetica intravarietale.
Il progetto è realizzato in collaborazione con due istituzioni di primo piano nel panorama della ricerca ampelografica italiana: l'Istituto di Virologia Vegetale del CNR di Torino (il gruppo di ricerca coordinato dalla Prof.ssa Anna Schneider), che vanta un'esperienza pluridecennale in Valle d'Aosta, dove ha spesso collaborato con l'Institut Agricole Régional in progetti di caratterizzazione e valorizzazione di vitigni tradizionali, ed il laboratorio di genetica molecolare applicata della Fondazione Mach di San Michele all'Adige, coordinato dalla Prof.ssa Stella Grando.
Risulta fondamentale l'apporto dell'Assessorato all'Agricoltura e Risorse naturali della Regione Autonoma Valle d'Aosta: la Direzione produzioni vegetali e servizi fitosanitari partecipa all'attività di ricerca sul territorio di piante potenzialmente interessanti, come il laboratorio fitosanitario garantisce la verifica dello stato virologico di tutte le accessioni selezionate. I colleghi ricercatori fitopatologi, con la supervisione del Di.Va.P.R.A. - Entomologia e Zoologia applicate all’Ambiente dell’Università di Torino, garantiscono un attento monitoraggio dei vivai così come del vigneto collezione al fine di evitare la diffusione di fitoplasmosi (Legno Nero e Flavescenza Dorata).
Infine, non si deve dimenticare il significativo contributo offerto dai viticoltori, coinvolti nel progetto, sia con l'individuazione di biotipi potenzial-mente interessanti, sia con informazioni su sinonimie, aree di diffusione, particolari modalità di coltivazione.
METODOLOGIA
L’individuazione delle piante-madri è piuttosto complessa (Fig. 1). Il primo passo consiste in una approfondita ricerca documentale e bibliografica, allo scopo di individuare riferimenti storici relativi ai vitigni, ai vigneti ed alle produzioni enologiche tradizionali, tenendo ben presente che nel corso del tempo numerosi sono stati gli scambi commerciali con le regioni limitrofe ad opera di commercianti, vivaisti e famiglie che, trasferendosi o viaggiando, hanno introdotto o esportato viti. Questa fase di indagine preliminare è svolta in archivi pubblici e privati spesso in collaborazione con ricercatori specialisti o appassionati.
Fig. 1 - Diagramma di flusso della metodologia di lavoro
Nel contempo vengono raccolte le indicazioni di viticoltori anziani o di loro familiari che segnalano la presenza di vigneti o di singole viti pluridecennali. In questa attività si è rivelata particolarmente preziosa la collaborazione dei tecnici della Direzione produzioni vegetali e servizi fitosanitari dell’Assessorato, esperti conoscitori del territorio e dei viticoltori che vi operano. A questo punto viene effettuato il primo sopralluogo in vigneto, volto all'identificazione ed alla selezione di potenziali accessioni. Più precisamente, vengono svolte le seguenti operazioni:
- la caratterizzazione ampelografica, ossia il riconoscimento del vitigno ed eventualmente del biotipo (sottogruppo di un determinato vitigno, con caratteristiche morfologiche distinte). L'identificazione potrebbe richiedere ulteriori sopralluoghi in momenti diversi del ciclo vegeto-riproduttivo;
- una prima valutazione visiva dello stato sanitario;
- la codificazione della potenziale accessione, e la sua georeferenziazione tramite GPS (con un errore standard di circa un metro);
- la documentazione fotografica;
- un eventuale campionamento dalle foglie più giovani viene effettuato nel caso in cui la caratterizzazione ampelografica non sia considerata sufficiente per un'attribuzione certa dell'identità varietale mediante tecniche di genetica molecolare.
Lo stato virologico di tutte le piante selezionate è verificato mediante test ELISA, effettuati dal laboratorio fitosanitario regionale su campioni di legno raccolti dopo la caduta delle foglie (Fig. 2). I virus analizzati sono: mosaico dell’arabis (ArMV), maculatura infettiva (GFKV), arricciamento della vite (GFLV), accartocciamento fogliare (GLRaV 1-2-3), scanalatura del legno di Kober (GVA). Idealmente, solo le accessioni sane sono incluse nella collezione, in un numero variabile da 1 a 3 accessioni per vigneto (e per vitigno), in funzione della variabilità morfologica riscontrata.
Fig. 2 - Piastra per il Test E.L.I.S.A., i pozzetti
colorati di giallo indicano la presenza della virosi
Tuttavia, in alcuni casi l'esclusione di tutte le piante infette avrebbe come conseguenza una eccessiva riduzione della variabilità genetica intravarietale, o persino l'assenza, nella collezione, di vitigni per cui non esistono individui sani. Per fare fronte a questa situazione, una piccola frazione del vigneto collezione è destinata ad accogliere accessioni virosate. Se necessario, l'identità varietale delle nuove accessioni viene confermata dall'analisi del DNA. A tale scopo, è stato creato un database di marcatori SSR (microsatelliti) che riunisce una considerevole quantità di informazioni disponibili originariamente in diversi database pubblici e numerose pubblicazioni scientifiche. Le informazioni originarie sono state standardizzate e 'fuse' in modo da ottenere un unico record per ogni denominazione di vitigno. Tale procedura, particolarmente onerosa in termini di tempo, ha permesso di riunire in un'unica fonte di riferimento oltre 1500 profili. Il profilo dell'accessione incerta o sconosciuta, costituito da 10 marcatori microsatelliti standard, viene confrontato con il database di riferimento utilizzando sia software liberamente disponibile (Identity, Wagner H.W., 1999) sia procedure sviluppate ad hoc.
Fig. 3 - Impianto delle barbatelle in vivaio
Durante l'inverno viene effettuato il prelievo delle marze. Sia le marze che i portinnesti (110R) sono sottoposti a termoterapia al fine di prevenire la diffusione di fitoplasmosi. Un vivaista specializzato provvederà quindi alla produzione di una decina di barbatelle per accessione; nella primavera successiva, queste saranno impiantate nel vigneto collezione (sette piante per ogni accessione)
(Fig. 3).
Nel prossimo futuro, la collezione potrà fornire la base per svariati progetti di ricerca: studi ampelografici ed ampelometrici, indagini di genetica molecolare, nuove selezioni di materiale di propagazione di qualità superiore (clonale, meglio ancora policlonale, o standard). Eventuali nuovi vitigni potranno essere iscritti al Registro Nazionale delle Varietà.
PRIMI RISULTATI
Attualmente la collezione ampelografica dell’Institut Agricole Régional, situata in località La Rochère ad Aosta, raccoglie 21 diversi vitigni autoctoni o coltivati tradizionalmente in Valle d'Aosta ed è costituita da 302 accessioni, in parte frutto dei precedenti lavori di selezione, in parte selezionati nel corso di questo progetto. Dall'inizio del progetto alla fine della stagione 2009 sono state codificate 770 potenziali accessioni; di queste, circa 330 saranno effettivamente incluse nella collezione ampelografica.
Nel corso delle ricerche, sono stati effettuati ritrovamenti particolarmente degni di nota. Nei pressi dell'abitato di Perloz, è stato individuato un vitigno a bacca bianca, definito dal proprietario Theilly. La caratterizzazione ampelografica ha fatto supporre che si trattasse del noto vitigno Gouais blanc, ipotesi successivamente confermata dall'analisi dei profili molecolari. Il Gouais blanc è un antico vitigno molto diffuso in epoca medievale in tutta l’Europa centrale (Fig. 4).
Fig. 4 - Grappolo di Theilly, sinonimo locale
di Gouais blanc
Recenti indagini filogenetiche hanno rivelato il ruolo chiave giocato dal Gouais nella nascita di molti vitigni di pregio, come lo Chardonnay, il Gamay, l'Aligoté, l'Auxerrois, il Colombard, il Furmint (Boursiquot J.-M. et al., 2004). Il suo ritrovamento in Valle d'Aosta, insieme alle segnalazioni in diverse vallate montane piemontesi (Schneider et al., 2006), conferma la sua probabile coltivazione in tutta l'area nord-occidentale dell'arco alpino; qui, tuttavia, non sembra aver lasciato discendenti di particolare pregio. Oltre ad attestare la coltivazione del Gouais nella regione, questo ritrovamento presenta un ulteriore elemento di interesse: fornisce interessanti informazioni su un antico vino locale, ormai scomparso. Tilly, è infatti il nome di un noto vino bianco prodotto sino a qualche decennio fa nell'area di Perloz. La prima testimonianza in proposito risale al 1661 (Archivio Notarile Aosta, mappa Donnas, n° 1717, not. Vachier). Riccardo Di Corato, nel suo Viaggio fra i vini della Valle d'Aosta, cita un "bianco, celebre nei secoli scorsi, che si produceva nella frazioncina di Tilly e detto appunto bianco di Tilly" (Di Corato R., 1974). Numerose testimonianze orali raccolte in loco confermano la produzione di questo vino fino a tempi recenti, fornendo interessanti informazioni sui dettagli della produzione nonché sulle sue caratteristiche sensoriali (si veda il box 'Testimonianze orali sulla produzione del vino Theilly' a pag. 43).
In qualche caso l'analisi del DNA non ha consentito, ad oggi, l'identificazione con un vitigno noto.
È questo il caso di una pianta, definita dal proprietario "Puppa de feya", che risulta geneticamente differente rispetto a tutti i vitigni con cui è stata confrontata finora, ma che mostra una somiglianza impressionante con il vitigno omonimo descritto minuziosamente nella seconda metà del XIX secolo. L'area di coltivazione dell'antico vitigno coincide con la zona in cui è avvenuto il ritrovamento. La corrispondenza di nome, luo-go di coltivazione e caratteri ampelografici, rendono plausibile l'effettiva appartenenza della pianta ritrovata al vitigno di cui si erano ormai perse le tracce (Fig. 5).
Fig. 5 - Grappolo di Puppa de feya
Pur non presentando un particolare interesse pratico (poiché purtroppo, in questo caso, si tratta di un vitigno di scarsa qualità dal punto di vista enologico), questa nuova identificazione lascia ben sperare circa le possi-bilità di nuove “scoperte” che vadano ad ampliare il quadro dell'attuale diversità genetica intervarietale e intravarietale. Una prima analisi del profilo molecolare, condotta su 18 marcatori microsatelliti, induce ad ipotizzare l'appartenenza della Puppa de feya alla famiglia dei vitigni autoctoni valdostani; in particolare, seppure si debba escludere un rapporto diretto genitore-figlio, è evidente uno stretto legame di parentela con il Neyret.
Infine, vale la pena ricordare che il progetto ha consentito l'individuazione di numerose viti centenarie, piante che meritano di essere conservate e tutelate, nel rispetto degli interessi privati, per le loro caratteristiche monumentali nonché come testimonianza della tradizione viticola valdostana (Fig. 6).
Fig. 6 - Vite di Prié blanc risalente all'ultimo dopoguerra
I viticoltori che posseggono vigneti o singole viti impiantate prima del 1970 sono invitati a contattare il dott. Marco Reinotti dell'Institut Agricole Régional (tel. 0165.215811, e-mail m.reinotti@iaraosta.it).
Si ringraziano:
i ricercatori fitopatologi IAR il Dott. Luca Bertignono e la Dott.ssa Ilaria Brunet; il Laboratorio Fitosanitario Regionale (ed in maniera particolare il Dott. Fabio Guglielmo); i tecnici dell’Assessorato Agricoltura e Risorse naturali Paolo Crétier e Stefania Dozio; il Dott. Roberto Bertolin e il personale dell'Archivio Storico Regionale;
i viticoltori che hanno fornito preziose informazioni e che hanno conservato i vitigni sopraccitati permettendone la moltiplicazione; il vivaista Antonio Bravo, Bollengo (To).
Bibliografia
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Boursiqout J.-M., Lacombe T., Bowers J., Meredith C., 2004. Le Gouais, un cépage clé du patrimoine viticole européen. Bulletin O.I.V. vol. 77, 875-876, 5-19.
Dalmasso G., Reggio L., 1963. Principali vitigni da vino coltivati in Italia. Tipografia Longo & Zoppelli, Treviso.
Di Corato R., 1974. Viaggio fra i vini della Valle d'Aosta. EDA, Torino.
Domeneghetti D., 2006. Studio del profilo polifenolico ed aromatico di vini rossi da vitigni di antica coltivazione della Valle d’Aosta. Tesi di dottorato di ricerca in Biotecnologia degli alimenti, Università del Sacro Cuore, Piacenza.
Mannini F., Schneider A., Gerbi V., Credi R., 1989. Cloni selezionati dal Centro di Studio per il Miglioramento Genetico della Vite, CNR, Torino. Grafica Offset, Torino, 27-29.
Mannini F., Schneider A., Gerbi V., Rigazio L., Avetrani R., 1992. Selezione clonale dei principali vitigni valdostani: aspetti ampelografici, agronomici ed enologici. Vignevini 6, 43-52.
Moriondo G., Praz G., Rigazio L., 1998. Primi risultati della selezione massale dei vitigni autoctoni valdostani a minor diffusione: Fumin, Mayolet, Premetta e Prié. Vignevini 5, 76-80.
Moriondo G., 1999. Vini e Vitigni Autoctoni della Valle d'Aosta, Institut Agricole Régional, Aosta.
Moriondo G., 2001. Storia del Cornalin della Valle d'Aosta, una nobile varietà di vite da vino. Riv. Viticoltura di Montagna, 13, 51-58.
Quaglino A., Gandini A., Canova A., Conti M., Mannini F., 1978. La selezione clonale per il miglioramento della produzione vitivinicola valdostana. Atti Accademia Italiana della Vite e del vino, Vol. XXX, 285-296.
Schneider A., Mannini F., 2006. Vitigni del Piemonte, varietà e cloni. Regione Piemonte, Tipolito Subalpina. 295-298.
Wagner H.W., Sefc K.M., 1999. IDENTITY 1.0. Centre for Applied Genetics, University of Agricultural Sciences, Vienna.
TESTIMONIANZE ORALI SULLA PRODUZIONE DEL VINO THEILLY
Fino alla seconda guerra mondiale, il Gouais blanc era diffusamente coltivato nell’area di Perloz, con il nome locale di Theilly; attualmente ne rimangono solo pochissime viti, coltivate in frazione Colleré (767 m s.l.m.) da Gianluigi Soudaz, che le ha ereditate dal padre Aldo. Questi possedeva altre vecchie viti di Theilly nella frazione sopra citata. Dovendo effettuare lavori di ristrutturazione, è stato costretto a estirparle, ma, prima di farlo, ha parlato di questa vecchia varietà al tecnico regionale Paolo Crétier, che gli ha consigliato di conservarne alcune talee, successivamente piantate nelle vicinanze. Durante la seconda guerra mondiale il vitigno era ancora coltivato, soprattutto nel capoluogo, dove, negli anni ’80, era presente ancora qualche vite. Il suo abbandono è stato probabilmente dovuto alla difficile maturazione dell’uva ed alla possibilità di reperire facilmente vino rosso dai produttori del fondovalle.
Gouais blanc. Tavola tratta dal volume
Ampélographie Traité Générale de Viticulture,
a cura di P. Viala e V. Vermorel,
Paris – Masson, 1901-1910
Secondo la testimonianza di Rosier Bonin, Mira Charles, Eriberto Crétaz, Odetta Yoccoz, Alina Soudaz e Battistina Soudaz nell'area di Perloz venivano coltivati due vitigni a bacca bianca: il Prié blanc ed il Theilly, il primo, a maturazione più precoce, raggiungeva una buona gradazione alcolica, mentre il secondo, a maturazione più tardiva, si caratterizzava per una elevata acidità. A causa della differente epoca di maturazione (vendemmia a settembre per il Prié blanc, a ottobre per il Theilly) si era costretti ad effettuare due vinificazioni separate, oppure, talvolta, a miscelarli con le uve a bacca nera portate dalle vigne basse del Vignolet, nella zona di confine con Pont-St-Martin.
Il Theilly è ricordato come un vino molto acido; mentre il vino di Prié doveva essere consumato subito, il Theilly si conservava in botti per un anno intero. Il vino ottenuto dal Theilly aveva una scarsa gradazione, ma era buono e veniva bevuto durante le fienagioni per dissetare; la produzione veniva consumata tutta entro l’anno. A conferma di questa testimonianza, nella descrizione del vitigno fatta da Adrien Berget per l’Ampélographie di Viala e Vermorel, l’autore riporta che il Gouais blanc, per la sua acidità, durante l'estate era una bevanda rinfrescante per i lavoratori agricoli.
Raymond Juglair ricorda che suo padre, nel primo dopoguerra, possedeva numerose viti di Theilly nel capoluogo e produceva un vino in purezza. Suo figlio Danilo, all’assaggio delle microvinificazioni effettuate dall'IAR, ha riconosciuto le caratteristiche sensoriali tipiche del vino prodotto dal padre.
Secondo le testimonianze di Solange Soudaz e di Raymond e Danilo Juglair, il Theilly veniva coltivato in controspalliera a filari detti “gallerin” a ridosso dei muri, mentre il Prié blanc veniva allevato a pergola. La riproduzione delle viti avveniva per talea o per margotta.