L’uomo ha sempre trasportato con sé piante utili dal punto di vista alimentare, ornamentale o medicinale, dall’Europa al Nuovo Mondo e viceversa. Le piante esotiche, trasportate volontariamente o anche involontariamente lontano dai paesi di origine, sono diventate progressivamente più numerose negli ultimi due secoli, in relazione al fenomeno della globalizzazione, sempre più esteso e caratterizzato dall’intenso scambio di persone e merci tra paesi.
Le specie introdotte, a seconda delle loro caratteristiche biologiche e delle condizioni ambientali in cui si vengono a trovare, possono rimanere casuali, cioè riescono occasionalmente a crescere e fiorire a breve distanza dalle piante madri coltivate, ma senza formare popolamenti stabili nel tempo. Possono, invece, formare spontaneamente popolamenti stabili indipendenti dall’apporto di nuovi semi, diventando naturalizzate, cioè venendo a far parte stabilmente della nostra flora. Tra le specie naturalizzate solo poche, le cosiddette invasive, si propagano rapidamente, a considerevole distanza dalle prime piante introdotte, conducendo a drammatici effetti di diffusione incontrollata.
Le invasioni biologiche sono di grande attualità, essendo tra le principali cause di riduzione della biodiversità: le piante invasive, infatti, costituiscono generalmente popolamenti estesi e densi lasciando poco spazio alle specie native. Alcune invasive possono poi causare impatti significativi sulla salute umana o animale, sull’agricoltura e quindi, più in generale, sull’economia. È necessario sottolineare ancora una volta che poche specie esotiche presentano le caratteristiche biologiche che le rendono invasive e che molte altre sono utili all’uomo, come piante alimentari o ornamentali. In questo senso, quindi, attraverso studi specifici sui meccanismi di invasione delle singole specie, oggi si tende a individuare quali esotiche siano potenzialmente dannose per un determinato territorio e si cerca di evitarne l’introduzione, di limitarne la diffusione o, in casi di piante fortemente dannose e quando è ancora possibile, di eradicarle.
Lotta all'Heracleum mantegazzianum, operai al lavoro
Fino ad oggi la Valle d’Aosta ha risentito meno del fenomeno delle invasioni biologiche rispetto ad altre regioni italiane, ad esempio quelle della Pianura Padana, grazie all’isolamento di alcune parti del suo territorio e alle condizioni climatiche che rendono difficile la vita di molte specie esotiche, tipiche di climi più miti. Attualmente le specie alloctone, anche le invasive, sono confinate soprattutto lungo l’asse vallivo principale. È opportuno cercare di prevenire l’espansione delle più “pericolose”, poiché alcuni studi recenti sulla diffusione delle esotiche in montagna hanno confermato che si sta registrando un generale innalzamento delle specie a quote più elevate, sia per l’introduzione di specie originarie di zone montane sia con l’adattamento di alcune specie caratterizzate da notevole plasticità ecologica.
Per questo motivo la nuova legge regionale sulla conservazione della flora alpina (l.r. 45/2009), già illustrata sul numero 1/2010 dell’Informatore Agricolo, prende in considerazione anche il problema delle specie esotiche. La legge vieta espressamente l’introduzione in ambiente naturale delle specie vegetali alloctone e l’allegato F, ad esse dedicato, contiene le tre specie vegetali di seguito presentate, che sono oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione. La problematica delle invasive è peraltro già conosciuta da tempo. Il Servizio aree protette da diversi anni è impegnato in attività di contenimento di una di queste specie, l’Heracleum mantegazzianum (pànace di Mantegazza), a Courmayeur dove, nel periodo estivo, una squadra di operai forestali esegue il taglio dei capolini fioriferi e ne assicura il corretto smaltimento; è stata poi realizzata e distribuita alla popolazione residente una scheda illustrativa dedicata a questa specie per sensibilizzare i residenti.
Sul piano delle ricerche e delle indagini scientifiche, nel 2009 l’Assessorato regionale Istruzione e cultura ha assegnato una borsa di studio, intitolata alla memoria di Ugo e Liliana Brivio, per conoscere meglio la distribuzione delle tre specie potenzialmente più “dannose” tra quelle finora introdotte nella regione e approfondire le possibilità di contenimento ed eradicazione. Lo studio vede la collaborazione dell’Assessorato regionale Agricoltura e Risorse naturali, Servizio aree protette, del Dipartimento di Biologia vegetale dell’Università di Torino e dell’Institut Agricole Régional, che partecipa alle attività di ricerca nel quadro del progetto Interreg ALCOLTRA n. 101 “NAPEA - Nouvelles Approches sur les Prairies dans l’Environnement Alpin”.
Sulla base del lavoro già effettuato nell’ambito di queste ricerche, viene presentata di seguito, per ciascuna delle tre specie in esame, una scheda sintetica sul riconoscimento, sulla distribuzione in Valle d’Aosta e sulle possibili azioni per il controllo.
Heracleum mantegazzianum
L’Heracleum mantegazzianum (pànace di Mantegazza) attualmente è confinato in poche località, in particolare nei comuni di Ayas, Valtournenche (Breuil) e Courmayeur, ma presenta potenziale invasivo estremamente elevato anche in altre aree geografiche a clima simile. Oltre ai rischi legati all’invasività ci sono quelli legati alla salute: la pànace ha un forte effetto irritante per contatto, in grado di provocare ustioni anche gravi.
Il poligono del Giappone (presente in Valle d’Aosta nella forma ibrida Reynoutria x bohemica) è una pianta conosciuta in tutto il mondo per la sua invasività, che continua a causare ingenti danni alla diversità biologica degli ecosistemi invasi e ricadute economiche negative in ambienti agricoli e lungo strade e fiumi. Anche in Valle d’Aosta la specie è presente ed abbondante, in particolare presso la Dora e nei comuni del fondovalle fino a Nus, che con tutta probabilità è la località da cui è iniziata la diffusione della specie.
Infine, il senecio sudafricano (Senecio inaequidens), nonostante l’aspetto poco vistoso, ha una capacità di diffusione enorme, grazie alla fioritura prolungata fino a novembre e alla grande quantità di semi prodotti e trasportati dal vento. Nonostante trovi le condizioni ottimali in ambienti sassosi e secchi, è in grado di colonizzare densamente anche i pascoli. Essendo specie tossica per il bestiame, la qualità dei pascoli, del latte e dei prodotti derivati potrebbe risentirne, con ricadute molto pesanti sull’economia agro-pastorale della regione.
Le azioni da intraprendere per contrastare l’invasione di specie esotiche devono essere calibrate secondo le caratteristiche di ciascuna pianta. Come sopra ricordato, l’Amministrazione regionale già da diversi anni interviene attivamente per il controllo di alcune invasive nei luoghi critici. È fondamentale, tuttavia, il contributo della collettività, con la segnalazione e la sorveglianza sui terreni privati. Spesso, ancor più che azioni attive, si tratta di osservare poche regole dettate dal buon senso e da un’adeguata informazione, quali non coltivare né acquistare come specie ornamentali per parchi e giardini le piante esotiche di cui sia accertata l’invasività, limitare il più possibile gli incolti e i terreni abbandonati e prestare attenzione nel movimento di terra che contenga semi o altri propaguli.
PANACE DI MANTEGAZZA
(HERACLEUM MANTEGAZZIANUM SOMMIER & LEVIER)
FAMIGLIA: Ombrellifere
ORIGINE: Caucaso
COME RICONOSCERLA?
Grande pianta erbacea, può raggiungere i 3 m di altezza, con fusti robusti e cavi (fino a 10 cm di diametro).
Le foglie sono grandi da 50 a 300 cm, divise profondamente in 3 o 5 segmenti, con margine dentato e acuminato e picciolo puntinato di rosso.
I fiori bianchi molto numerosi, formano caratteristiche ombrelle di diametro fino a 50 cm. La fioritura avviene a luglio e agosto; una pianta produce fino a 10.000 semi!
Per via delle dimensioni, è difficile confonderla con altre specie.
DOVE SI TROVA?
Coltivata nei giardini, si diffonde in ambienti disturbati e semi-naturali (es. incolti, scarpate stradali e torrenti).
MINACCE PER L’AMBIENTE:
forma popolamenti molto densi che escludono la flora autoctona
MINACCE PER LA SALUTE:
contiene sostanze fortemente irritanti (furanocumarine fototossiche), che provocano lesioni anche gravi, specialmente dopo l’esposizione al sole.
CHE COSA SI PUO’ FARE?
Prevenzione: evitare di coltivarla nei giardini. È vietata l’introduzione negli ambienti naturali. ( L.R. 45/2009)
Contenimento: il taglio del fusto fiorale, quando le ombrelle si trovano al picco della fioritura, evita in primo luogo la maturazione e dispersione dei frutti e dovrebbe successivamente portare alla morte dell’individuo.
Bruciare i resti, in particolar modo le ombrelle. Impedire la dispersione dei semi, evitando di depositare i resti in giardino, nel compost o gettandoli nell’ambiente.
Il semplice taglio delle parti vegetative (foglie, fusti in sviluppo) non uccide la pianta, ma al contrario ne prolunga la vita, ritardando la fioritura.
Eradicazione: è possibile estirpare manualmente solo le piante giovani. Per l’eliminazione definitiva degli individui si deve tagliare la radice ad almeno 15 cm di profondità sotto il colletto.
L’intervento precoce sulla pianta ancora poco sviluppata garantisce maggior successo e riduce i rischi di lesioni per l’operatore.
Per eliminare la specie è anche possibile utilizzare erbicidi, ma in generale è sconsigliabile, specialmente per stazioni piccole, nelle quali l’intervento manuale è più efficace.
MANEGGIARE CON CAUTELA!
Quando si interviene su
H. mantegazzianum è fondamentale dotarsi di adeguate protezioni (guanti, maschera che protegga il volto intero, maniche e pantaloni lunghi).
Distribuzione in Valle d'Aosta
POLIGONO DEL GIAPPONE IBRIDO
Ibrido naturale tra Reynoutria japonica Houtt. e Reynoutria sachalinensis (F. Schmidt) Nakai
(REYNOUTRIA X BOHEMICA CHRTEK & CHRTKOVÁ)
FAMIGLIA: Poligonacee
ORIGINE: l’ibrido è stato scoperto alla fine del ‘900 in Europa. Le specie da cui si è originato provengono dall’Asia Orientale e sono state introdotte in Europa nel XIX sec.
COME RICONOSCERLA?
Pianta erbacea di grandi dimensioni (2-3 m) con fusti simili al bambù, punteggiati di rosso. Costituiscono popolamenti molto densi, poichè si formano a partire da una fitta rete di fusti sotterranei (rizomi), che raggiungono anche 2 m di profondità.
Foglie cuoriformi alla base, acuminate, lunghe mediamente 20 cm.
Fiori bianchi, piccoli, in pannocchie. Si formano in tarda estate (agosto).
Frutti rosso-bruni, circondati da tre ali membranose biancastre. I frutti, però, sono generalmente privi di semi; la dispersione è quindi legata alla capacità di propagazione vegetativa.
DOVE SI TROVA?
Cresce lungo i corsi d’acqua, ai margini delle strade e delle ferrovie, nei terreni incolti, ma sta invadendo anche alcuni prati.
MINACCE PER L’AMBIENTE:
impedisce lo sviluppo della flora autoctona a causa dell’ombreggiamento.
In autunno-inverno, in seguito alla morte delle parti aeree, restano ampie zone prive di vegetazione, facilmente soggette ad erosione.
DANNI ALLE INFRASTRUTTURE:
provoca spaccature nelle pavimentazioni e nei muri.
CHE COSA SI PUO’ FARE?
Prevenzione: NON FAVORIRNE IN ALCUN MODO LA DIFFUSIONE!
È vietata l’introduzione negli ambienti naturali. ( L.R. 45/2009).
Non coltivarla per ornamento. La crescita e la diffusione sono molto rapide ed è molto difficile da estirpare. Queste sue caratteristiche sono determinate dai fusti sotterranei che riescono a crescere anche in profondità e, se spezzati, sono in grado di rigenerare da ciascun frammento un nuovo individuo. Evitare soprattutto il prelievo e l’utilizzo di terra che potrebbe contenere parti della pianta.
Contenimento: il taglio frequente e il pascolo regolare indeboliscono la pianta e portano ad una riduzione del popolamento. Bruciare tutti i resti dopo il taglio: non depositare in giardino, non gettare in discariche o nei contenitori di raccolta dei rifiuti organici.
Eradicazione: alcune esperienze condotte all’estero hanno mostrato una certa efficacia dell’applicazione di erbicida (glifosate) tramite spray fogliare (2 volte: inizio e fine stagione) o tramite iniezione nel cavo dei fusti di piante a fine fioritura (settembre-ottobre).
Distribuzione in Valle d'Aosta
L’aspetto e il comportamento sono molto simili a quelli della specie parentale R. japonica, inserita nella lista delle 100 specie esotiche più invasive e più dannose del mondo (Invasive Species Specialist Group, IUCN).
SENECIO SUDAFRICANO
(SENECIO INAEQUIDENS DC.)
FAMIGLIA: Composite
ORIGINE: Sudafrica
COME RICONOSCERLA?
Pianta erbacea alta fino a 60 cm, con fusto eretto, striato, ramoso a partire dalla base. Le foglie non hanno picciolo e sono larghe da 2 a 4 mm e lunghe 6-7 cm, acute. I fiori sono gialli, in capolini, con diametro di 2 cm circa. La fioritura è prolungata, da giugno a tutto ottobre. Un singolo individuo produce fino a 30.000 frutti con pappo piumoso, dispersi dal vento.
DOVE SI TROVA?
Si riscontra più facilmente su incolti sassosi, greti e canali artificiali, muretti a secco, massicciate ferroviarie e bordi di strada; a partire da questi ambienti si diffonde con facilità nei pascoli, sottraendo spazio alle specie foraggere.
MINACCE PER L’AMBIENTE: riduce la biodiversità vegetale.
MINACCE PER L’ECONOMIA: tossica per l’uomo e per il bestiame, invade i pascoli e li rende inutilizzabili.
CHE COSA SI PUO’ FARE?
Prevenzione: NON COLTIVARE COME ORNAMENTALE. La grande quantità di semi prodotti ogni anno rende molto difficile contenerne la diffusione. Si raccomanda quindi la rimozione immediata degli esemplari avvistati quale forma migliore di prevenzione. È vietata l’introduzione negli ambienti naturali (L.R. 45/2009).
È importante monitorare le aree percorse da incendi, poichè costituiscono superfici di espansione preferenziali.
Contenimento ed eradicazione: il metodo di eradicazione più semplice ed efficace è l’estirpazione manuale. È determinante la tempestività dell’intervento poichè le singole piante, ramificandosi, incrementano di anno in anno il numero di fiori e quindi di semi. Raccogliere e bruciare le piante estirpate, poiché possono ancora produrre e rilasciare semi per 2-3 giorni. L’utilizzo generico di mezzi meccanici è inutile e dannoso: la pianta è in grado di ricacciare con grande vigore e diffondersi ancora più velocemente. Il
pascolamento della specie è da evitare: la pianta è tossica per il bestiame anche affienata: nell’area originaria (Sudafrica) si sono verificati decessi di capi attribuibili ad essa, oltre alla contaminazione del latte. Tra i trattamenti chimici, il glifosate è il prodotto più indicato; in prove condotte all’estero, l’applicazione di 15 l/ha (120 g/l) ha dato buoni risultati in tutti gli stadi vegetativi. Il trattamento non danneggia i semi, perciò andrà ripetuto ogni anno fino all’esaurimento della banca semi. L’intervento chimico è applicabile su terreni incolti (massicciate ferroviarie e bordi strada), mentre è sconsigliato nei pascoli, per evitare il danneggiamento della cotica erbosa autoctona.
Distribuzione in Valle d'Aosta
GRUPPO DI LAVORO
Servizio aree protette: Santa Tutino, Cristiano Sedda, Claudia Linty - Dipartimento di Biologia vegetale Università di Torino: Consolata Siniscalco, Dario Masante, Elena Barni - Institut Agricole Régional: Mauro Bassignana, Annalisa Curtaz - Museo regionale di Scienze naturali: Isabella Vanacore Falco, Laura Poggio.