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La
riforma dei cicli: dall'ideazione alla pratica
Il
10.02.2000 è nata, sulla carta, la nuova scuola di base. Come farla
crescere? Quali le modalità operative più congrue in cui
possono riconoscersi e comporsi le due attuali scuole dell'obbligo?
È
riduttivo indicare la legge n. 30 del 10 febbraio 2000 come "la legge
dei cicli". In realtà essa ridisegna e riordina tutto il sistema
di istruzione e di formazione del nostro Paese, la cui architettura generale
risulta caratterizzata da due linee direttive:
1
La formazione dell'uomo oggi si estende a forme di apprendimento e a situazioni
di studio diversificate e molteplici. É totale e continua, multidirezionata
e complessa. La scuola riconosce di non esaurire tutte le possibilità
che ha un giovane di formarsi. Riconosce di concorrervi per una parte,
precisamente per quella parte che viene dichiarata "istruzione"1
e che si attua nei tre segmenti della "scuola dell'infanzia",
"ciclo primario" (o "scuola di base" ) e "ciclo
secondario" . Accanto a questi, c'è il sistema di "formazione"
più specificamente professionale e di lavoro. Le due aree
(di istruzione e di formazione) non solo non si ignorano più, ma
anzi si aiutano e si integrano a vicenda. Il sistema dei crediti
e dei debiti garantisce il passaggio dall'una all' altra.
2
Correlata a tale principio c'è la consapevolezza che non è
più tempo di scuola a vocazione elitaria. Se l'intero sistema
formativo, interno ed esterno alla scuola, deve operare armonicamente
e sinergicamente, non si possono stabilire gerarchie e satellizzazioni.
•
Con questo si mette definitivamente da parte l'impianto istituzionale
e amministrativo, vecchio di oltre 140 anni, delineato all' epoca del
Regno di Sardegna con la legge Casati del 1859, anche se poi riordinato
nel 1923, sotto il regime fascista, principalmente per opera del ministro
Gentile2.
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A differenza degli altri paesi occidentali dove, a cominciare dagli anni
'70 e '80, furono introdotte modifiche e riforme dirette a dare a tutti
una formazione generale comune di grado elevato, in Italia non si è
riusciti a cambiare l' impianto tradizionale. I provvedimenti di riforma
si sono limitati a toccare singoli punti3, facendo sì
che il sistema nel suo complesso finisse per risultare ancora più
disorganico e inadeguato, tanto che gli osservatori dell'OCSE, nel loro
rapporto del 1998, lo dicono ancora caratterizzato "da un accumulo
straordinario di questioni e problemi rimasti senza risposta" 4.
La riforma, dunque, mira ad adeguare il nostro sistema scolastico e formativo alle necessità della società moderna.
A ragione, quindi, il prof. Visalberghi scrive che «rifiutarne la sostanza significa voler ritornare al punto di partenza; cioè a una scuola arretrata, sclerotizzata, che mal si colloca nel quadro dei paesi avanzati» 5.
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Quanto detto fin qui serve a ricordare in modo sintetico lo scenario culturale
e politico in cui ci muoviamo.
La legge 30/2000 peraltro viene a dare risposte nuove a specifici problemi
dell'antica organizzazione scolastica, problemi per i quali da diversi
decenni si erano pure fatti vari tentativi di soluzione senza tuttavia
ottenere apprezzabili risultati.
Mi riferisco a uno in particolare e cioè al numero considerevole
di alunni che nel passaggio da un ordine di scuola all'altro, e in particolare
nel passaggio dalla scuola elementare alla scuola media, veniva respinto
o allontanato.
In un sistema che deve essere unico e unitario (le due scuole sono entrambe
scuole dell' obbligo), un settore (la media) non riconosce valido -
o non lo riconosce del tutto valido - il lavoro fatto da un altro settore
(l'elementare). I progetti per combattere la dispersione scolastica
e, dopo la legge 148/90 (riforma dell'elementare), le iniziative per la
"continuità" hanno contribuito ad attenuare il fenomeno,
non a eliminarlo. Oggi la mortalità scolastica (abbandoni
e bocciature) non raggiunge più le cifre di qualche anno addietro
(punte del 15%), ma è sempre pesante e rende comunque difficile
e accidentato un percorso di formazione che dovrebbe essere uniforme e
senza interruzioni.
L'integrazione delle due scuole fin oggi esistenti in una scuola unica
di 7 anni - scuola di base o ciclo primario - serve proprio a costruire
per tutte le bambine e le ragazze e per tutti i bambini e i ragazzi quella
possibilità di sviluppo armonico, in tempi distesi e senza strozzature
burocratiche, che abbiamo inseguito per tanti anni senza riuscirci
appieno.
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Ora l'integrazione fra le due scuole non può avvenire in forme
che riproducano la storica divisione tra scuola elementare e scuola media
all'interno della nuova struttura organizzativa. Per tale motivo non ci
appare opportuno parlare di scansioni interne (2+2+3, o altrimenti) né
procedere per accostamenti e aggiunte. Piuttosto che sommare un pezzo
all'altro pezzo, occorre ridisegnare tutto il percorso. Le articolazioni
previste dalla legge (art. 3), interne a un corso di studi settennale
che è definito "unitario" , dovranno essere motivate
e legittimate da ragioni squisitamente didattiche, non ordinamentali.
Spingono verso l'unitarietà le migliori esperienze dalla scuola
elementare e della scuola media che sono spesso caratterizzate da una
qualità didattica simile se non identica, fondata essenzialmente
su pochi ma sicuri principi: il principio della centralità del
soggetto che apprende e la correlata attenzione alle tematiche relazionali;
la funzione formativa delle discipline collegate all'esperienza,
al fare e alla ricerca; il principio della collegialità
dei docenti e quello del collegamento con il territorio, il coinvolgimento
delle famiglie e la considerazione del territorio come risorsa formativa.
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Ma per un curricolo unitario non basta descrivere percorsi didattici e
campi disciplinari. É necessario definire anche modalità
operative congrue in cui possano comporsi le due espressioni culturali
che caratterizzano oggi le due scuole dell'obbligo.Per realizzare, da
queste due culture, una "cultura didattica" unitaria la nuova
scuola deve avere un assetto operativo non discriminante6 capace
di mettere insieme le competenze diverse (degli insegnanti elementari
e di quelli della scuola media), in maniera non burocratica e formale.
La struttura operativa in cui questa composizione di competenze può
avvenire quasi per necessità naturale, o almeno senza suscitare
eccessivi malumori, resistenze e reazioni, è quella del "laboratorio".
Esso è per sua natura un luogo di sintesi e di collaborazioni non
sempre paritarie; richiede interventi diversificati e modalità
di lavoro articolate e flessibili. Per esempio, in un laboratorio di ricerca
storica serve lo storico ma anche il bibliotecario, il tecnico della registrazione
sonora o audiovisiva (per raccogliere le interviste), l'informatico, ecc.
In un laboratorio di attività motoria, anche nei primi anni della
futura scuola di base (con bambini di 6 o 7 anni) possono lavorare insieme
l'insegnante elementare e il diplomato dell'ISEF.
Analogamente, in un laboratorio di educazione musicale può intervenire
il diplomato del conservatorio insieme all'insegnante dell'ambito linguistico;
in un laboratorio di educazione scientifica, può intervenire il
professore di scienze naturali, il personale tecnico non docente, ecc.
Anche il docente di lettere o di matematica dell'attuale scuola media
avrebbe possibilità di operare con bambini "piccoli",
costruendo giochi linguistici, calcoli, problemi, algoritmi, ecc.
Per un altro verso, l'insegnante dell'attuale scuola elementare può
svolgere ruoli di grande interesse anche per il 6° o 7° anno della
futura scuola di base in ambiti fortemente interattivi (rapporti con la
cultura ambientale e familiare, apprendimenti intersettoriali, attività
teatrali, redazione del giornalino, costruzione di un videotape, ecc.)
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Sappiamo che una volta approvata la legge, non siamo affatto alla
riforma. Fra qualche mese dovrà essere presentato in Parlamento
il piano di fattibilità e, ancora, dovranno essere disegnati curricoli,
ipotesi organizzative, criteri per l'impiego delle risorse umane e materiali,
e per la distribuzione delle scuole sul territorio, ecc. Da un punto di
vista amministrativo e giuri-dico/formale non si è neanche a metà
dell'opera.
Ma intanto, il fatto stesso che un provvedimento legislativo sia stato varato, non è privo di effetti sulla vita quotidiana delle scuole. Che non sono ancora le scuole della riforma, è vero, ma si sentono già coinvolte nel processo di riforma, e alcune sono pronte a partire da subito.
Voglio dire che le scuole aspettano un segnale di chiamata. Non
accettano di rimanere in una situazione di inerzia passiva, del tipo:
"Non parlate al manovratore: lui sa la strada e ve la dirà
quando avrà fatto la sua istruttoria" .
Siamo arrivati a un punto tale che non dico una inversione di marcia ma soltanto il silenzio può produrre disastri: non dichiarati magari, ma profondi.
Gli insegnanti si aspettano di essere rassicurati sugli sviluppi futuri
e sul percorso immediato; vogliono sapere fin da oggi che cosa succederà
il 1° settembre 2001, ma anche cosa essi stessi fin da oggi possono/devono
fare.
É ragionevole pensare che occorre lavorare per far partire, a quella
data o a un'altra, almeno le prime tre classi del ciclo contemporaneamente
(queste classi, infatti, non dovrebbero, a regime, essere molto diverse
dalle attuali, salvo una qualche "accelerazione" nel secondo
e terzo anno). A patto che ne sia subito coinvolta la scuola media.
Ci dovrebbero essere insegnanti ex media impegnati già da subito nel primo o nei primi due o tre anni. Per esempio, educazione fisica, lingua straniera, musica, ecc.
Meglio se si riuscisse a impostare una didattica per laboratori dove diverse
competenze e specializzazioni possono operare insieme. In ogni caso, è
bene porre all'ordine del giorno, fin da ora, questo problema.
Un discorso a parte meritano gli istituti comprensivi. Si calcola che, dal prossimo anno scolastico, il 25, 30% delle scuole di base (materna, elementare e media) sarà costituito da istituti siffatti. Non è pensabile che continuino a operare separatamente come tre entità distinte.
Già dal prossimo 1° settembre si può cominciare ad avere
qualche idea di "ciclo primario" magari sperimentale (non solo
programmazione congiunta dei tre collegi, ma anche impiego dei docenti
nelle varie classi a prescindere dall'ordine di scuola a cui appartengono,
ecc.).
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Infine, sia per coinvolgere le scuole da protagoniste nel processo di
implementazione della riforma, sia per evitare attuazioni di tipo "selvaggio"
, parrebbe cosa ottima incoraggiare iniziative di tipo sperimentale, debitamente
assistite, in modo da verificare fin dall'anno scolastico 2000/2001 come
si può costruire, giorno dopo giorno, un curricolo per tutti gli
anni del ciclo.
La verifica sul campo è un'ottima garanzia di successo.
Alberto Alberti
Ispettore tecnico a riposo, insegna
Storia della scuola all' Università "Roma Tre" .
Presente ai processi di riforma della scuola italiana, in particolare
del grado elementare, ha partecipato alla stesura dei programmi dell'85,
nella Commissione Fassino, e all'attuazione della legge 148/90.
Ha pubblicato numerosi articoli, saggi e libri. Collabora alle riviste
"Vita Scolastica" , "Proiezioni" , "L'educatore"
. É condirettore della rivista "Quaderni dell' autonomia"
.
Note
1 Art. 1 della legge 30/2000. La denominazione
non ci convince, ma come tutte le etichette va accolta per il contenuto
che designa e non per il significato lessicale dell' espressione. Come
si evince dalla lettura degli articoli in cui si parla di curricoli, il
compito della scuola non è affatto ridotto alla " istruzione"
in senso nozionistico.
2 " La legge Casati nel 1859 dopo le elementari prevedeva
due canali: una secondaria che portava all' università (il ginnasio
classico) e una serie di scuole tecniche e professionali destinate a preparare
alle diverse professioni. La riforma Gentile del 1923 si limitò
a rafforzare il carattere selettivo dell' ordinamento degli studi riducendo
la pressione degli studenti sulla scuola media liceale, ... Si trattò
di un' autentica repressione di massa delle istanze culturali e professionali
di larghissimi settori della nostra società, cui il fascismo nel
1939, con la Carta sulla Scuola di Bottai, tentò di dare una risposta
demagogica e di facciata, che rimase peraltro sostanzialmente inattuata"
, dal Comunicato ministeriale del 2.2.2000, diffuso attraverso Internet,
sito: istruzione.it
3 Nella scuola di base (compresa la materna) gli interventi
più significativi riguardarono i programmi e gli orientamenti (1979
per la media, 1985 per l' elementare, 1991 per la materna). La riforma
della scuola elementare del 1990 (legge 148) fa parte di questi provvedimenti
settoriali che hanno ulteriormente diversificato il sistema. Per la scuola
secondaria di secondo grado, i tentativi di riforma fallirono ripetutamente
in Parlamento nel 1979 e nel 1993. Si è perciò proceduto
per " aggiustamenti" dei vari indirizzi scolastici esistenti
attraverso le sperimentazioni assistite dalle varie Direzioni generali.
Uno dei più rilevanti progetti di sperimentazione di quel periodo
è stato senza dubbio il progetto '92, avviato per gli istituti
professionali nel 1988 e passato a " regime" nel 1994. Sempre
in quel periodo, caratterizzato dalla caduta di ogni progetto di una organica
riforma di sistema, opera la Commissione ministeriale denominata "
Brocca" , dal nome del sottosegretario che la presiede, incaricata
di rinnovare i programmi e piani di studio prima del biennio e poi del
triennio della scuola secondaria superiore.
4 OCSE, Esame delle politiche nazionali dell' istruzione: Italia,
Roma, 1998, p. 13
5 A.Visalberghi, Una scommessa per la scuola, su " La
Repubblica" , a. 25, n. 68, 23.3.2000, p.17
6 Sicuramente, per i prossimi anni, ci sarà un problema
di formazione unitaria dei docenti della scuola di base. Ma intanto abbiamo
265.000 maestri elementari e circa 160.000 insegnanti dell' attuale scuola
media che vanno in qualche modo ricollocati nella nuova scuola. Un ricollocamento
per successioni di anni bienni, trienni e quant' altro (i primi 3 o 4
anni ai maestri, gli altri 4 o 3 ai professori) riprodurrebbe l' attuale
divisione. La giusta considerazione delle diverse potenzialità
di apprendimento presenti alle varie età, non può essere
usata per dividere surrettiziamente la nuova scuola in due o più
tronconi. Anche il riferimento ai titoli di studio posseduti dai docenti
(che non sempre corrispondono alle competenze professionali effettivamente
acquisite) rischia di produrre cesure di tipo formale e burocratico.
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