|
Il curricolo per la scuola primaria 2000
Il Curricolo di scuola: ripresa di un dibattito pedagogico
..."a
volte ritornano"... si potrebbe dire parafrasando il titolo di una
serie di noirs di qualche anno fa: questa volta il riferimento
è alla questione curricolo che, nel contesto italiano, ha
a che fare con una serie di innovazioni i cui cardini sono rappresentati
dalla legge 59/97 sull'autonomia scolastica e dalla legge 30/00 sul riordino
dei cicli.
Dico che si tratta di un ritorno, perché di questa questione la
letteratura e la ricerca pedagogica in Europa si sono occupate negli anni
'70 e perché da quel dibattito in quasi tutti i paesi del vecchio
Continente sono uscite le riforme della fine del secolo: riforme che,
puntualmente in ritardo nel nostro Paese, si affacciano sulla scena sociale
soltanto ora e per di più con notevoli ostacoli e difficoltà
già frapposti da molti sul loro cammino.
In queste pagine il concetto di curricolo è assunto nella sua duplice
accezione di "corso degli studi", ovvero di cammino formativo
della persona durante un certo arco di vita (che nella fattispecie si
riferisce al ciclo primario, così come delineato dalla legge 30/00)
e di "percorso culturale", ovvero di navigazione guidata
tra le diverse forme di conoscenza (o saperi) così come
si vengono delineando nella epistemologia e nella antropologia culturale
del nuovo millennio.
Il fatto che si parli di curricolo in questo senso rappresenta, per la
riflessione pedagogica e la pratica politica (nel senso di policy
, non di politic), una vera e propria rivoluzione culturale, di
cui, per la verità, ho l'impressione che l'intellettualità
italiana non sia assolutamente consapevole.
Si tratta in sostanza della fine di quel sistema di governo dei servizi
educativi scolastici che da dopo Gentile hanno caratterizzato le politiche
italiane della formazione: vale a dire il cosiddetto doppio canale, da
una parte i programmi con la loro presunzione di modernizzazione
didattica e culturale delle scuole (peraltro mai verificata, se non in
un minimo caso al riguardo di quelli del 1985 per la scuola elementare)
e dall'altra gli ordinamenti, che rispondevano, ovviamente, a logiche
di tutela dei posti di lavoro degli insegnanti e di compatibilità
con strutture e sistemi pregressi, senza nessuna connessione degli uni
con gli altri.
•
La questione curricolo è correttamente posta se e solo se entrambi
questi due aspetti, quello della organizzazione del servizio (corso degli
studi) e quello della qualità pedagogica degli insegnamenti (percorsi
formativi), non solo nascono insieme, ma costituiscono un progetto unitario
e coerente.
É mia convinzione che ciò non può avvenire per la
via di una sorta di "grande disegno" politico - strategico del
potere legislativo: ciò fu possibile con Gentile, in Italia, e
negli anni '80 in alcuni paesi europei a forte coesione sociale (Gran
Bretagna, Svezia, Olanda); oggi, come dice giustamente Husèn, padre
della riforma svedese, non si può pensare di riformare i sistemi
scolastici dal "centro", al massimo si può pensare che
i diversi "centri" guidino i processi di innovazione che le
istituzioni più vicine alle cangianti esigenze dei cittadini e
delle comunità (le istituzioni scolastiche autonome) pongono in
essere mediante i rispettivi Piani dell'Offerta Formativa (POF).
Ora, è chiaro che al centro dei POF non può che esserci
il curricolo di scuola, il quale - secondo il Regolamento n. 275/00
- non può che costituire l'interfaccia tra il bisogno di tenuta
del sistema nazionale della formazione e le condizioni di esercizio dello
stesso rispetto alla domanda sociale di istruzione espressa dalle realtà
locali.
•
Proprio per le ragioni che ho appena esposto, le riflessioni che seguono
si articolano in due parti: l'una che discute la questione del cursus
e l'altra quella della ratio degli studi.
Entrambe sono trattate in forma di ricerca di criteri che il "centro"
potrebbe fornire alle scuole autonome affinché pervengano da una
parte alla articolazione, dall'altra alla progressione dei
processi di formazione mediante curricula scolastici capaci ad un tempo
di tener ferma l'identità nazionale del sistema e dall'altra di
renderla compatibile con le infinite variazioni di una società
differenziata e variegata qual è quella italiana; non solo per
l'esplodere delle soggettività e dei particolarismi propri dei
nostri tempi, ma anche, a maggior ragione, per una radicata propensione
al "particolarismo" che caratterizza da sempre il nostro modo
di convivere.
In altri termini la mia è la proposta di un "curricolo leggero",
fatto cioè di criteri e di regole, piuttosto che di contenuti e
prescrizioni: il che postula un sistema di accompagnamento (consulenza,
supervisione, formazione) alle scuole nella fase di costruzione, prima,
e di realizzazione, poi, dei loro progetti curricolari.
Continuità,
discontinuità, articolazioni
La
scelta del legislatore di raccogliere il percorso formativo primario in
un "ciclo lungo", oltre ad essere in linea con le tendenze di
riforma dei sistemi scolastici europei, appare estremamente coerente con
la concezione del diritto allo studio come "diritto al successo",
piuttosto che come semplice garanzia delle condizioni materiali della
frequenza degli alunni.
Infatti, avendo davanti un tratto di scolarizzazione settennale, le scuole,
nella loro autonomia, sono in grado di articolare con maggiore flessibilità
e migliore adeguatezza i ritmi del processo formativo di base: sia per
quanto attiene all'interfaccia con i cicli precedenti e successivi a quello
di base, sia per quel che riguarda le articolazioni interne del percorso
di alfabetizzazione culturale in relazione alla diversificazione dei ritmi
e degli stili di insegnamento-apprendimento.
Ciò significa che le scuole, nella loro autonomia organizzativa
e didattica, avendo davanti un percorso di studi di sette anni, sono messe
nelle condizioni di distribuire su tempi distesi e ritmi diversificati,
gli itinerari culturali proposti ai loro studenti; non solo, ma anche
il senso di appartenenza e di responsabilità reciproche degli "attori"
del processo formativo (alunni, genitori, amministratori locali ecc.)
ricevono un significativo impulso, che si traducono in progetti di più
lungo respiro e, di conseguenza, in un sistema di relazioni e di partnership
più coinvolgenti e diffuse.
•
Naturalmente, il rischio del ciclo lungo è quello della indeterminatezza
e della perdita di identità del segmento scolastico primario, specie
nel momento in cui esso prende la forma, nella percezione dell'opinione
pubblica, nell'"accorpamento" tra la scuola elementare e media
inferiore: per cui è necessario che il settennio sia articolato
al suo interno mediante significative scansioni che diano il senso della
progressione nel processo formativo proposto agli alunni ed alle famiglie,
senza rinunciare a quegli elementi di flessibilità e di distensione
che ne rappresentano il patrimonio in senso educativo.
Occorre, quindi, pensare ad un corso di studi che, ad un tempo, dia il senso della continuità e della differenziazione; ciò può essere fatto lavorando:
-
sulla
distribuzione temporale del settennio;
-
sulla
identificazione di snodi interni al percorso unitario mediante la
progressione delle competenze richieste agli alunni;
-
sulla
articolazione dei saperi secondo un criterio di ciclicità e
di approfondimento delle conoscenze richieste man mano che lo studente
progredisce nel corso di studi primario.
•
Riguardo al primo criterio, il dibattito che ha accompagnato la
Riforma dei Cicli si è prodigato in una straordinaria messe di
proposte per la scansione interna dei sette anni, inventando cicli interni
di tre e di quattro anni, ovvero identificando il primo e l'ultimo anno
nelle "annualità ponte" rispettivamente collocate in
continuità con la scuola dell'infanzia ed il ciclo secondario (che,
ricordiamolo, contiene un biennio pure obbligatorio), ed, infine, proponendo
una articolazione basata su un primo anno di interfaccia con la scuola
dell' infanzia e su tre cicli biennali (o due triennali) che si completano
con il quarto biennio d'obbligo collocato nel ciclo secondario.
Ciascuna di queste ipotesi ha le sue motivazioni (più o meno fondate e plausibili): resta il fatto che nessuno pensa ad una scansione del ciclo primario basata soltanto su un criterio di mera ingegneria temporale.
Quel che è certo è che occorre dare agli alunni che frequentano
la scuola primaria la possibilità di collocarsi in continuità
con la precedente esperienza scolastica (tanto più che la norma
prevede la "generalizzazione" della frequenza alla scuola dell'infanzia)
e nella prospettiva di un obbligo che si conclude con un biennio secondario
di orientamento ed un ulteriore triennio di "obbligo formativo",
non necessariamente svolto nelle aule scolastiche.
Nello stesso tempo gli alunni e le famiglie devono potersi rendere conto
che la formazione acquisita nel corso del settennio ha una sua progressione
che, non potendo più essere identificata nel passaggio dalla scuola
elementare alla media (che non ci sono più), deve poter essere
riconoscibile attraverso scansioni interne assicurate, più che
da definizioni temporali astratte, dai criteri di "intensificazione"
e di "estensione" con i quali vengono sviluppati i processi
di articolazione dei saperi e delle competenze. Quel che può essere
validamente sottolineato da una ipotizzabile articolazione interna del
ciclo primario è il fatto che non deve assolutamente richiamare
alla mente degli operatori e degli utenti della scuola una struttura di
"sommatoria" tra elementare e media (come sarebbe nel caso si
prevedessero articolazioni rigide su due segmenti interni): ciò
per la semplice ragione che potrebbero essere indotti nel sistema comportamenti
ed atteggiamenti culturali di tipo "trasformistico" (in fondo
non è cambiato nulla!), ovvero sentimenti di privazione e/o di
rivincita in chi si sente defraudato di una parte del proprio ciclo di
appartenenza, ovvero ritiene di essere scampato da tale rischio.
•
Il secondo ed il terzo criterio, proposti per l'articolazione
interna della scuola primaria, ovvero lo sviluppo delle competenze e la
progressione dei saperi, sembrano dare maggiori garanzie di flessibilità
e personalizzazione dei percorsi formativi interni al ciclo, oltre ad
assicurare una maggior autonomia (e, quindi, responsabilità) alle
scuole che sono chiamate alla progettazione didattica conseguente alla
offerta formativa dichiarata nei POF.
In particolare, l'attenzione allo sviluppo delle competenze rimanda a
percorsi formativi centrati su abilità, capacità ed atteggiamenti
in possesso degli alunni nelle varie età con cui si affacciano
a questo settennio di studi: in altra parte del documento si fornisce
una definizione ampia del concetto di competenza, in questa sede mette
conto sottolinearne la natura di progressività che è data
dal "dominio" cognitivo, emotivo e sociale con cui ciascuna
persona entra in contatto con il mondo, ne elabora le esperienze ed infine
ne interpreta i significati ed i valori.
Naturalmente questi tre elementi di sviluppo (la relazione, l'elaborazione
e l'interpretazione) non si strutturano secondo un processo lineare e
tassonomico: infatti non esistono fasi della vita in cui si impara a relazionarsi,
seguite poi da momenti di riflessione e infine da altri di presa di coscienza.
Si può parlare, semmai, di punti di attenzione, di messe a fuoco
diversificate, di centrature su determinati processi in determinate circostanze
e di altre in situazioni diverse: resta il fatto che, nei paesi europei
nei quali si è giunti prima di noi alla creazione di "cicli
lunghi di scolarizzazione", in qualche misura si è cercato
di definirne le articolazioni interne utilizzando una progressione di
competenze che vede la dominanza osservativa e percettiva in un primo
momento, la dominanza rappresentativa in un secondo, quella riflessiva
in un terzo ed infine la dimensione orientativa come sintesi delle precedenti.
Quel che è certo è che non si possono predeterminare i tempi
di tali scansioni, anzi, essi sono legati proprio a quelle differenze
sia di stili di apprendimento che di esperienze culturali e sociali che
sono collocate al centro dell' attenzione dell'attuale sistema formativo
scolastico.
Si tratta allora di affidare alle scuole autonome questi criteri e di
accompagnarle nella loro attività di programmazione curricolare
in modo da renderle esperte ed abili nel riconoscere i tempi giusti della
proposta di sviluppo culturale, sociale ed emozionale dei soggetti in
apprendimento: il che è reso possibile da un' idea di "progressività"
non studiale, ma ricorsiva e ciclica, come si dirà di seguito.
•
Anche il riferimento allo sviluppo dei saperi è stato utilizzato
nel dibattito pedagogico come utile indicatore per cercare di determinare
una ragionevole articolazione interna dei cicli di scolarizzazione: tutti
ricordano il dibattito accesosi dopo i Programmi del 1985 della scuola
elementare sul "pre-disciplinare" ed il "disciplinare"
ed ora ripreso in occasione di questa Riforma.
Facendo riferimento a teorie eziogenetiche della conoscenza, alcuni studiosi
hanno ritenuto di identificare regole di sviluppo e di differenziazione
dei saperi nel concetto di "specializzazione" progressiva, cosicché
i diversi cicli o segmenti scolastici avrebbero dovuto ripercorrere le
tappe di questo processo inserendo nei propri curricoli forme di conoscenza
sempre più specialistiche man mano che gli alunni progrediscono
nel loro percorso formativo.
Ma le conquiste della ricerca nel campo dell' ermeneutica e delle "teorie
della mente" hanno dimostrato come l'idea di uno sviluppo lineare
dei modi della conoscenza, sia in senso individuale che storico-culturale,
siano da superare in nome di una logica che, anziché della specializzazione,
vada nella direzione della complessificazione.
Tant'è vero che questi due anni di "sperimentazione dell'
autonomia scolastica" hanno messo in luce quanto siano apparse stimolanti
e foriere di innovazione in campo metodologico le didattiche "integrate"
o, per usare una terminologia più vicina al linguaggio degli insegnanti,
le "conoscenze trasversali" , quelle, per intenderci,
che tendono ad unire i saperi, anziché differenziarli per specializzazioni
sempre più raffinate.
In altre parole, le scuole che hanno messo mano ai rispettivi curricoli
in questo periodo hanno inteso "usare" le discipline con il
loro patrimonio di significati e di codici elaborati per favorire la ricerca
di risposte culturalmente fondate alle domande essenziali che tutti gli
uomini (e, a maggior ragione, i giovani) si fanno.
Per questa via i saperi vengono ricondotti alla loro natura antropologica
di spiegazione e costruzione di senso e, conseguentemente, riportati al
dominio della competenza intesa come "motore di ricerca" delle
spiegazioni che ciascun uomo, con la propria comunità di appartenenza,
dà di sé, del mondo in cui vive, dei valori che testimonia.
•
La "costruzione del senso" come scopo della cultura e, quindi,
della formazione non sembra dare suggerimenti utili a risolvere il nostro
problema che è quello della articolazione interna del corso degli
studi primari, perché essa pone il problema della "progressione"
dei saperi, non della loro eventuale articolazione, cosa che, invece,
sembra possibile nel ciclo secondario mediante il concetto di "indirizzo".
Tanto più che il concetto di primarietà è comunemente associato a quello di essenzialità, fondamentalità, irrinunciabilità delle conoscenze, piuttosto che a quello di elementarità o di semplificazione.
•
Fino ad ora si è fatta una riflessione sulla articolazione del
corso degli studi primari andando alla ricerca di criteri intrinseci al
processo formativo (i saperi, le competenze, i cicli temporali) e si è
addivenuti ad una concezione "debole" dell'articolazione, il
che significa una scansione che si ritiene necessaria per le ragioni dette,
ma anche flessibilmente adattabile ai contesti programmatici delle scuole
autonome.
Vi sono tuttavia altri strumenti, più legati alla dimensione organizzativa
del servizio scolastico e, quindi, alle condizioni materiali e formali
dell'espletamento del servizio, che permettono di orientare le scuole
verso una articolazione interna del ciclo primario in senso funzionale.
Si pensi, ad esempio, al problema della tradizionale articolazione in
classi dei corsi di studio: gli elementi di flessibilità, personalizzazione
e differenziazione introdotti nel dibattito sui sistemi scolastici - non
solo nel nostro Paese - fanno sì che, se si può continuare
a considerare la classe come unità di misura per il calcolo degli
organici (ma ormai la tendenza è a spostare l'attenzione sui "corsi")
e come modalità base per il raggruppamento degli alunni che prendono
parte ad un corso di studi, non si può certo pensare che tale modo
di "imparare insieme" sia l'unico ed il più efficace.
L'idea di "gruppo di apprendimento" sta gradualmente
sostituendo quella di "classe", intesa come raggruppamento con
meri criteri anagrafici degli alunni, e ciò in ragione della ricerca
di una organizzazione efficace del processo di insegnamento/apprendimento.
Pertanto, se si deve dire che il ciclo primario dura sette anni, non si può legittimamente dire (dal punto di vista della progressione interna del percorso formativo degli alunni) che la loro permanenza a scuola sia scandita in sette cicli di formazione, magari corrispondenti a sette livelli diversi di formazione.
Ne consegue che la partecipazione al percorso formativo di base degli alunni deve durare sette anni, ma che non è detto affatto che tali sette anni si esplichino mediante la frequenza a sette cicli diversi di formazione.
In altre parole è possibile articolare il percorso settennale in
livelli diversi che possono essere maggiori, minori o uguali ai sette
anni previsti, fermo restando l'obbligo di sette anni.
Tant'è vero che ormai l'unità di misura del tempo scolastico
tende ad essere non più rapportata al numero degli anni, ma al
numero complessivo delle ore di frequenza per ciascun ciclo.
D'altra parte, da sempre gli insegnanti sanno che i tempi (oltre che le
modalità) di apprendimento degli alunni sono assai diversi e, di
conseguenza, si sono dati criteri di raggruppamento diversificati, introducendo
nella organizzazione didattica la pratica delle classi aperte, dei gruppi
di livello, dei gruppi opzionali, ecc.
Anche in virtù di queste considerazioni è opportuno considerare
il settennio articolato su un anno di continuità con la scuola
dell'infanzia ed in tre bienni la cui modulazione interna sia affidata
alla progressione curricolare, piuttosto che ad una rigida scansione di
ammissione annuale alla classe successiva.
La questione ora sollevata rimanda ad un altro criterio organizzativo con il quale è possibile orientare la programmazione educativa e didattica della scuola di base: si tratta del sistema di valutazione.
Dopo anni di dibattito e di ricerche intorno a questo tema difficile e
complesso, è accertato che la valutazione scolastica assolve a
tre scopi precipui: da una parte serve agli insegnanti per riorientare
i propri progetti didattici rispetto agli apprendimenti degli alunni;
dall'altra serve a certificare le competenze (capacità, abilità,
atteggiamenti) acquisite dagli alunni nel corso degli studi; dall'altra
ha il compito di statuire il conseguimento di un titolo di studio al termine
di un determinato percorso formativo scolastico (non per niente l'esame
di "licenza media" e di "maturità", hanno assunto
il nome di "esami di stato").
In altra parte del documento si discuterà delle possibili soluzioni
tecniche che il nuovo sistema dei cicli impone: qui si tratta solo di
annotare l'importanza del secondo tipo di valutazione (quello della certificazione
delle competenze) ai fini della articolazione interna del ciclo di base;
va segnalato, peraltro, che questo sistema esiste già in uscita
dall'obbligo scolastico al compimento del quindicesimo anno di età
degli studenti.
L'introduzione della certificazione delle competenze acquisite dopo un
segmento interno del percorso formativo di base permetterebbe la mobilità
interna al sistema degli alunni e, ad un tempo, la comparabilità
funzionale e non solo amministrativa, tra i corsi di studio seguiti nelle
diverse scuole autonome del Paese.
Italo Bassotto
Ispettore Tecnico presso la Dir. Scol. Reg. Lombardia.
Dirige il Centro Servizi per l'autonomia scolastica
nelle province di Cremona e Mantova.
Ha lavorato per il M.P.I. per l'attuazione della riforma della scuola
elementare.
Fa parte del Gruppo Nazionale per lo studio della fattibilità
della legge sul Riordino dei Cicli e dirige l' associazione Corus
|
|
|