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Il Curricolo per la scuola primaria 2000(2)
Quali
i criteri per costruire un percorso culturale che orienti la persona verso
l'appropriazione delle conoscenze della civiltà cui appartiene.
Ciclicità,
modularità, ricorsività
Se
nell'ultimo paragrafo dell'articolo precedente ci siamo occupati del curricolo
nella sua accezione materiale di "corso degli studi", ora la
prospettiva è quella di osservare la scuola di base dal punto di
vista del percorso formativo mediante il quale gli alunni dai 6
ai 12 anni sono chiamati all'incontro culturale con i saperi. Si tratta
di riflettere su alcuni possibili criteri di distribuzione degli apprendimenti
lungo un "percorso culturale" adeguato ai bisogni degli alunni
e, ad un tempo, rispettoso del patrimonio di conoscenze, significati e
procedure con cui le civiltà hanno elaborato i propri sistemi di
valori e di convivenza umana. Non è questa la sede per discutere
del concetto di "progresso" e della relativa accezione di "progressione
curricolare" nel campo dei saperi; quello che mette conto rilevare
è che chiunque ponga mano alla rielaborazione dei curricoli, intesi
in questo senso, si trova di fronte a domande quali: ci sono dei saperi
che vengono prima ed altri dopo nel percorso formativo di una persona?
Quali sono i criteri per stabilire ciò che è primario e
ciò che è secondario nei processi di acculturazione? Nella
costruzione di percorsi culturali per la formazione esistono "gerarchie"
nelle conoscenze?
Cominciando da quest'ultima questione si può senz'altro affermare
che, allo stato attuale del dibattito, nessuno è più disposto
a condividere le posizioni filosofiche ed epistemologiche che si sono
propagate sino alla prima metà del nostro secolo: ovvero che i
saperi (e le relative discipline scientifiche) si dispongono in modo gerarchico
rispetto al criterio di verità in virtù del quale esse sono
nate e si sono sviluppate. Oggi piuttosto che di gerarchia delle conoscenze
e delle scienze, si tende a parlare di "reti", di "modelli",
di "domini", segnalando, con metafore più o meno
significative, la natura "pervasiva" delle culture e
la sottomissione funzionale del rigore metodologico e semiologico della
ricerca alla costruzione di un universo dotato di senso per l'uomo e la
sua comunità di convivenza.
E, allora, se così stanno le cose, con quali criteri è possibile
costruire un percorso culturale che orienti la persona verso l'appropriazione
delle conoscenze della civiltà cui appartiene?
Una
volta escluso che la rotta possa essere determinata da criteri di valore
delle conoscenze, occorre andare alla ricerca di una procedura di legittimazione
culturale che assuma il punto di vista del soggetto e della comunità
di appartenenza come fonte per la ricostruzione dei suoi processi di crescita
culturale e formativa. In questo senso si spiega il concetto di "primarietà"
della scuola di base: ovvero di una scuola dei fondamenti, dell'essenziale,
dell'indispensabile rispetto alla ricerca di spiegazioni e di significati
che i singoli e i gruppi esprimono quotidianamente, e a maggior ragione,
in un modo insieme globale e locale, come appare questo in cui vivono.
Allora vuol dire cercare di farsi insieme, in quel laboratorio di riflessione
che è la scuola di base, le domande ultime che sono anche le prime!,
e cercare le risposte che le culture si sono date nel tempo e nello spazio,
con le procedure ed i codici che le scienze hanno elaborato; con le regole
e i valori che la fatica della convivenza umana ha via via consolidato.
In conclusione, per costruire una "progressione culturale primaria"
il punto di riferimento è l'uomo, non nel senso astratto di "umanità"
ma in quello concreto di cittadino partecipe delle conquiste e dei problemi
delle comunità di vita cui appartiene. Assumendo questa logica
di progressione, il curricolo della scuola primaria diventa un accompagnamento
della persona verso la maturazione del suo sistema di valori basato sulla
conoscenza e non sul pregiudizio, sulla solidarietà e non sulla
competizione, sulla integrità del suo essere nel mondo e non soltanto
sull'apparenza e sulla precarietà delle situazioni.
Certo che, per fare questo, occorre rimuovere alcune pregiudiziali organizzative
con cui è stato sino ad ora governato il sistema scolastico. Primo
fra tutti il "codice cumulativo": quello che ha fatto sì
che, man mano che nuove forme di conoscenza si affacciavano all'orizzonte
della cultura, i curricoli incorporassero nuove materie di studio e, quindi,
ulteriori tempi di frequenza alla scuola da parte di bambini ed adolescenti
che, in ogni caso, non erano in grado di sopportarne i carichi di lavoro.
Oltre all’aumento delle discipline (dovuto anche alla loro specializzazione
per differenziazione progressiva: quante "chimiche" ci sono
oggi? E quante biologie? E quante letterature?), la nostra scuola ha vissuto
anche l'accumulazione interna di nuovi saperi: basti pensare alla estensione
che hanno avuto le conoscenze matematiche e scientifiche nei curricoli
della scuola elementare e media negli ultimi anni, oltre a quelle linguistiche
e scientifiche... Il fatto è che il codice con cui queste nuove
e rilevanti forme di conoscenza sono state inserite è, per l'appunto,
quello cumulativo, ovvero della aggiunta di nuovi saperi; mentre la strada
da percorrere avrebbe dovuto essere quella della integrazione, vale a
dire quella del perfezionamento degli orizzonti di conoscenza significativa
rispetto alle domande fondamentali che caratterizzano la ricerca di senso
dell'umanità. In questa prospettiva la progressione del curricolo
della scuola di base esclude sia "nuove materie" che "nuovi
contenuti" dentro le materie tradizionali, ma la riformulazione di
percorsi di ricerca per temi, strutture e problemi a partire dalle questioni
di fondo che hanno caratterizzato la ricerca culturale degli uomini. Altra
pregiudiziale organizzativa tipica della scuola è stata quella
di identificare le materie di studio con le "cattedre" degli
insegnanti: ciò ha determinato indebiti automatismi procedurali
in virtù dei quali la gerarchia dei saperi dipendeva dalla quantità
di ore assegnate a ciascuna materia in ciascuna classe, ovvero una articolazione
del curricolo in saperi essenziali e secondari e, infine, l'idea che l'insegnante
è esperto di una o più materie, non del processo di insegnamento.
Ebbene, almeno quest'ultima pregiudiziale è definitivamente sepolta
dalla riforma del sistema universitario di formazione dei docenti, ma
se non si definisce in maniera chiara e inequivoca il percorso culturale
dei curricoli - sia della scuola primaria che secondaria - l'ambiguità
dell'insegnante "tuttologo" e di quello "iperspecializzato"
continuerà a produrre i suoi effetti negativi. Non solo, ma se
non si riescono a trovare dei criteri di aggregazione delle forme di conoscenza
plausibili, i curricoli della scuola saranno sottoposti in continuazione
alla suggestione delle nuove forme di conoscenza che avanzano in misura
sempre più impellente, senza poter disporre di criteri di discriminazione
e di selezione dei contenuti culturali, con i conseguenti effetti di "ipertrofia"
culturale, di cui i Programmi della scuola elementare sono un esempio
tipico.
Analogamente a quanto si è detto a proposito della articolazione
interna del ciclo settennale della scuola di base (il cui criterio guida
sembra essere quello dello sviluppo delle competenze), sembra ragionevole
proporre una modalità di analisi della progressione culturale del
curricolo primario che muova da una teoria eziogenetica delle conoscenze
scientifiche. Se si fa riferimento agli studi sui processi di concettualizzazione,
al di là delle differenti accentuazioni dei risultati delle ricerche,
si trova una costante interpretativa dei fenomeni connessi con lo sviluppo
delle conoscenze che va nella direzione della "specializzazione"
dei saperi. Questa, a sua volta, si articola in due diverse ramificazioni:
da una parte le conoscenze si differenziano per il grado di approfondimento
con cui vengono studiati i medesimi fenomeni (specificazione); dall'altra
per l'incorporazione di fenomeni ritenuti diversi e distinti in medesime
categorie interpretative (estensione). Se le cose stanno così possiamo
dire di aver trovato i criteri di sviluppo dei processi di formazione
culturale nei curricoli di scuola primaria. Infatti sarebbe possibile,
incrociando l'articolazione dei sistemi di competenza dei soggetti, con
le procedure di estensione e di intensificazione delle conoscenze, giungere
a definire i gradienti di sviluppo dei percorsi culturali. Ancora una
volta occorre evitare di fare ricorso ad una "teoria dei gradi"
(o degli stadi) che sarebbe incompatibile con il paradigma della complessità
e della essenzialità che abbiamo posto alla base della nostra indagine:
del resto la didattica contemporanea utilizza dei descrittori di questa
progressione che a tutto fanno pensare tranne che ad uno sviluppo lineare
ed ordinato delle conoscenze. Il riferimento va alle cosiddette "didattiche
modulari", alle "teorie dei cicli", ai "modelli di
ricorsività" cui si ispirano le scuole che sperimentano nuovi
curricoli di scuola. Utilizzando le categorie di progressività
curricolare della estensione e della intensificazione (o specificazione)
sopra richiamate, possiamo dire che il modello ciclico rimanda alla prima,
mentre quello ricorsivo alla seconda. Un discorso a parte merita la questione
della modularità, che, come dice la parola stessa, ha a che fare
con la "modulazione del curricolo", ovvero con la sua articolazione
per unità tematiche, concetti o problemi. Già si è
detto che l'individuazione di percorsi tematici (concettuali o problematici)
costituisce il punto di partenza (a nostro parere) del curricolo di scuola
(il curricolo locale, in realtà, consiste nella ricerca delle risposte
territoriali alle domande nazionali o universali, che stanno alla base
dell'opzione culturale dei curricoli): essi, tuttavia, in ragione dei
vincoli materiali della scolarizzazione - i tempi, gli ambienti, le strutture
e le risorse umane - vanno poi decostruiti in percorsi delimitati nel
tempo e nello spazio e progettati sulla base delle competenze professionali
e delle risorse disponibili in ogni scuola autonoma; questo è il
senso della didattica modulare o della organizzazione dell’insegnamento
per progetti.
É
solo il caso di dire che la modulazione dei curricoli è soggetta
alle regole di progressività sopra richiamate; ovvero che i moduli
didattici possono essere estesi o intensificati nel corso degli studi,
a seconda dei bisogni degli alunni e della "copertura" degli
standard di apprendimento previsti dal curricolo nazionale. I "cicli"
e le "ripartenze" definiscono, invece, le dimensioni
di estensione e ricorsività del curricolo nella scuola primaria.
Il concetto di ciclo rimanda alla teoria bruneriana del "curricolo
a spirale", ovvero ad una progressività che ritorna su se
stessa per ulteriori approfondimenti dei campi di conoscenza. Un classico
esempio di questo modello di organizzazione dei saperi è rappresentato
dagli studi di storia in cui l'intero percorso delle civiltà è
articolato su tre segmenti scolastici (primario, secondario inferiore
e superiore) utilizzando i medesimi oggetti culturali, ma con l'intensificazione
progressiva dei domini di conoscenza degli stessi. Qualcosa di simile
succede ai curricoli di matematica (si pensi allo studio del sistema numerico)
e di geografia (se impostati su un approccio strutturale allo studio dei
paesaggi, piuttosto che ad uno descrittivo sulle "regioni" ).
Al contrario il criterio della "ripartenza" rimanda ad una progressione
curricolare basata sulla ricorsività degli oggetti culturali ed
alla estensione dei loro domini di conoscenza: quando nella scuola elementare
troviamo la progressione dell'insegnamento dell'aritmetica che prevede
in prima lo studio della decina, in seconda del centinaio in terza del
migliaio, ecc., che cosa si sottintende se non il fatto che la progressione
è data dal fatto che i numeri gradi sono più complicati
dei piccoli? E così in lingua, quando la progressione è
data dalla lunghezza dei testi, piuttosto che dalle operazioni di comprensione
richieste agli studenti? Naturalmente nella tradizione curricolare del
nostro Paese queste due componenti della progressione culturale convivono
senza essere governate da alcuna logica criteriale che non sia la tradizione
e, di conseguenza, la pubblicistica didattica (dalle riviste ai libri
di testo), sia all'interno di ciascuna materia di studio sia come diverso
modo di articolare i propri contenuti da parte delle diverse discipline
di studio.
Ma, se il punto di partenza della progressione curricolare a partire dagli
oggetti culturali è la ricerca delle domande di senso, insieme
ultime e prime, dell'umanità (e, quindi, delle persone, qualsiasi
sia la loro età), occorre partire da queste per identificare il
curricolo "focale": ed allora ecco presentarsi le dimensioni
della comunicazione, dell'azione e dell'interazione come "conoscenze
essenziali" per l'individuo e le comunità. Queste, a loro
volta, tendono ad ulteriori specificazioni man mano che le esperienze
dei soggetti in apprendimento si estendono e si approfondiscono, dando
origine ad ulteriori "campi" o "domini": così
la comunicazione diventa comprensione di linguaggi specifici, di lingue
diverse e di sistemi di comunicazione mediatica; l'azione diventa ragionamento,
tecnologia e movimento, l'interazione, ambienti, civiltà e istituzioni
per poi specializzarsi in ulteriori forme di conoscenza fino a raggiungere
le forme di rigore ed oggettività proprie di ciascuna singola scienza.
É solo il caso di segnalare, come si è già detto
in precedenza, che i costrutti di metodo, i codici e gli strumenti concettuali
conquistati dalle scienze non possono che costituire il patrimonio culturale
con cui le questioni sottese ai diversi campi di conoscenza delineati
sopra possono essere progettati assumendo come punto di vista la loro
potenza ermeneutica nei riguardo delle esperienze culturali degli alunni.
Fine
2/2
Italo Bassotto
Ispettore Tecnico presso la Dir. Scol. Reg. Lombardia.
Dirige il Centro Servizi per l'autonomia scolastica nelle province di
Cremona e Mantova.
Ha lavorato per il M.P.I. per l'attuazione della riforma della scuola
elementare.
Fa parte del Gruppo Nazionale per lo studio della fattibilità della
legge sul Riordino dei Cicli e dirige l'associazione Corus.
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