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E comme
école
Ho letto come, credo, molti insegnanti, gli articoli
apparsi su Repubblica nel mese di gennaio a seguito del primo, provocatorio,
di Mario Pirani dal titolo “Tornate al 7 in condotta”.
Ho condiviso alcune delle riflessioni proposte e non mi sono riconosciuta
in altre. Dall’articolo di Pirani un collega si chiedeva “Negli
ultimi anni non riesco a capire cosa sia successo.
Più aumenta la disponibilità nei confronti degli studenti,
più aumenta il loro disinteresse”. In un fax di un altro
collega una prima spiegazione “Un tempo la scuola era un luogo dove
si acquisiva status, studiare significava emanciparsi socialmente, oggi
non ci sono più queste garanzie, è necessario stare sui
banchi ma non è sufficiente, per questo i ragazzi sono più
indifferenti”; penso che questa riflessione possa spiegare una parte
del fenomeno di disadattamento, quella meno vistosa.
Benedetto Vertecchi afferma “è difficile insegnare l’etica
quando la società è arruffona, proliferano i ladri e i profittatori”,
e quando dice questo mi trova, ahimé, d’accordo. Sempre nella
stessa intervista lancia messaggi tranquillizzzanti, e ricorda che la
gravità della situazione italiana non è neppure paragonabile
a quella degli Stati Uniti dove all’ingresso delle scuole sono in
funzione dei metal detectors. Queste considerazioni sono peraltro in parte
contradette dallo stesso Vertecchi, che parla poi di progressiva omogeneizzazione
dei comportamenti giovanili a seguito della globalizzazione. La forza
della scuola è poca cosa, la sua pressione oraria, la sua appetibilità
non è paragonabile in nessun modo alla massa d’urto dei messaggi
consumistici di cose e persone che ci circondano. Si cresce imitando,
si imita ciò che piace, nella lotta per piacere vince chi condiziona
più abilmente, chi seduce con più forza e per più
tempo. Per apprezzare un buon vino si dice che bisogna avere il boccato.
Come è possibile oggi riuscire a “farsi il boccato”
alla scuola? E’ come preferire una fetta di pane nero ad uno chantilly.
Eppure, nel campo dell’alimentazione oggi mi sembra di poter dire
che la genuinità stia per trionfare sull’immagine, meglio
una mela non perfettamente tondeggiante, ma certificata (parola che ritorna
anche nella scuola) come naturale, che un prodotto apparentemente perfetto,
ma sulla cui storia genetica ed evolutiva non si sa tutto.
Perché la società non pone la stessa attenzione al processo
educativo, a quanto alimenta le teste dei nostri ragazzi? L’articolo
di Marco Lodoli mi ha suggerito una possibile risposta : i ragazzi sembrano
assumere i modelli più consumistici e violenti che li circondano,
non perché ammirano il mondo degli adulti, ma perché “lo
subiscono, lo ripetono”. Indecisi, combattuti tra i miti faciloni
del successo e della violenza e gli inviti alla ricerca, alla problematicità,
allo spirito critico i giovani possono essere conquistati non da un astratto
insegnamento, ma da insegnanti che abbiano saputo far loro le parole che
dicono, che ricompongano davanti ai loro occhi un’immagine intera
di uomo o donna, non ipocrita, perché, ricorda Lodoli “L’in-segnante
insegna soprattutto ciò che è lui, momento dopo momento”.
A conferma di queste riflessioni trovo un fax di uno studente: “I
sacrosanti valori di cui la nostra società andava fiera non sono
andati perduti a causa nostra. L’affermazione di una società
iperconsumista non è forse la vostra creatura”. Non ho apprezzato,
anzi mi hanno infastidito, invece, le affermazioni facilone dell’ex-ministro
Berlinguer, che si dichiara contrario al ritorno al 7 in condotta, e mi
può star bene, ripetendo, novità, che i ragazzi vanno coinvolti
e responsabilizzati e assicurandoci che lui sta con i moderni contro i
nostalgici! Della stessa forza le affermazioni di De Mauro che ironizza
sul fatto che chi vuole il 7 di condotta forse intende riesumare anche
20 anni di dittatura fascista! Che cattivo gusto! Una situazione complessa
merita almeno riflessioni complesse e non slogan.
Non possiamo dimenticare, poi, che c’è chi pensa di risolvere
i problemi del pianeta scuola con un semplice acrostico di tre i! Sarà,
ma quando penso al mestiere che ho scelto la prima vocale che mi viene
in mente è la e di educazione, (sicuramente non la i di istruzione),
e potrei continuare : e come esempio, come esperienza, come espressione,
e, perché no, come etica. Mi piace pensare con Lodoli che possibili
esche per agganciare i nostri ragazzi, per restituire loro la speranza
in una società di equilibri sociali e cognitivi sono l’integrità,
la dirittura, il coinvolgimento, in poche parole la qualità umana
degli insegnanti, quella che da sempre fa da collante alla nostra scuola.
Forse la scuola avrebbe bisogno, per rinforzare la sua immagine, per rilanciare
la sua vocazione di un Montalbano insegnante, ironico, critico, osservatore,
sapiente, integro. Ci sarà, da qualche parte, un Camilleri anche
per noi?
Bonne école
Giovanna Sampietro
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