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Multimedialità
e processi cognitivi
Il computer come "dispositivo
filosofico" per ripensare noi stessi e gli spazi del nostro dialogare
con i bambini.
0uesto mio intervento è dedicato all'esame del
fenomeno della multimedialitàe delle sue
attuali ripercussioni nella formazione dei linguaggi e delle dinamiche
cognitive dei bambini. Va dunque inteso come preliminare ad un
ragionamento pedagogico-didattico sull'utilizzazione scolastica di questa
risorsa, semiotica prima che tecnologica: un ragionamento che è
ancora in buona parte da costruire, in quanto ha bisogno, per essere impostato
e sviluppato adeguatamente, del conforto non solo di idee ma anche e soprattutto
di pratiche. Per ora, ribadendo quanto ho affermato nel libretto Tre
ipertesti su multimedialità e formazione (Laterza, 1998) e
poi nella revisione dell'altro testo, sempre per Laterza, 1998, diventato
Nuovo manuale di didattica multimediale con cd-rom, è
bene che ci si sforzi di vedere nel computer un "dispositivo
fìlosofìco", e che quindi si colga l'occasione,
che esso ci offre, di pensare (di ripensare) noi stessi, il nostro rapporto
con la realtà e i processi di simbolizzazione, gli spazi del nostro
dialogare con i bambini.
• L'aspetto principale che intendo prendere qui in considerazione
e, nei limiti del possibile, interpretare, consiste nel recente, impetuoso
sviluppo commerciale dei prodotti multimediali
destinati alla fascia di bambini tra i tré e gli otto anni: si
tratta di un fenomeno di indubbia consistenza, nei paesi tecnologicamente
più evoluti (ma già significativo nel nostro contesto),
che ci permette di considerare questa dei "soggetti modestamente
alfabetizzati" come una delle fasce privilegiate dell'affermazione
della multimedialità.
Il ragionamento andrebbe condotto non solo sul piano economico, ma anche
e soprattutto su quello "artistico",
essendo la multimedialità destinata a questo tipo di utenza, per
forza di cose, poco centrata sulla scrittura e sui suoi parametri di ordinamento
del sapere (essendo dunque, per quanto detto prima, interessante da un
punto di vista filosofico, di filosofia del conoscere).
In altri termini, quel che mi preme mettere in evidenza è che la
multimedialità infantile non costituisce una versione semplificata
ed "adattata" della multimedialità adulta, come awiene
nel campo della stampa, dove il libro infantile è percepito e talvolta
prodotto come un prodotto semplificato; ma, al contrario, può fungere,
in quanto punto alto dell'elaborazione dell'artigianato multimediale,
da "paradigma" per la multimedialità adulta.
Letta con questa prospettiva, la produzione di cd-rom per "bambini
piccoli" costituisce una sorta di avanguardia artistica (l'avanguardia
della multimediale come arte), ossia un luogo entro il quale si sperimentano
soluzioni stilistiche, organizzative, grammaticali e retoriche in buona
parte originali, perché non garantite (meglio, non totalmente garantite)
dalla centralità (o addirittura dall'esclusività) delle
forme classiche della scrittura.
Si potrebbe obiettare, a questo proposito, che anche nei cosiddetti "libri
di prelettura" l'immagine fa da padrona sulla scrittura, e che quindi
la novità di cui sto parlando, a proposito della multimedialità,
non è assoluta. Ma, io credo, non dovrebbe risultare troppo difficile
mostrare che in quei libretti la lingua verbale, pur non comparendo nella
forma scritta, svolge comunque un ruolo determinante, se pur nascosto
(parzialmente o totalmente), esattamente come avviene con il "ritmo
sonoro" nel cinema muto, e che la verbalizzazione attivata dall'adulto
o dallo stesso piccolo lettore a partire dalla pagina illustrata rappresenta
la legittimazione (l'attualizzazione) di questa struttura (virtuale) di
ordinamento. Nel caso dell'opera multimediale, invece, il codice verbale
non è nascosto, ma agisce assieme agli altri (iconico, audio, audiovisivo),
senza che questi siano di servizio o di supporto ad esso, ed anzi assumendo,
questi codici "altri", in non pochi casi, quel carattere di
"metacognizione" (e quindi di organizzazione consapevole del
sapere e dell'esperienza) che fin qui eravamo abituati ad attribuire esclusivamente
al codice verbale (e in particolare alla sua versione scritta). Insomma,
il multimediale infantile non nasconde la scrittura, pur riservandole
una funzione centrale, come avviene nelle opere a stampa, ma la accoglie
in superficie e la fa dialogare con gli altri codici, ridimensionandone
il ruolo.
Provo a dirlo in un altro modo: stando nel multimediale
"buono" (cioè ad elevato tasso di interattività)
l'utente può essere messo nelle condizioni di interagire
con i suoni e le immagini, fisse e in movimento, manipolando e riorganizzando
la loro confezione; può insomma "scrivere" suoni e immagini.
Tutto ciò rivoluziona il campo della riproduzione-produzione di
conoscenza e nello stesso tempo crea una nuova utenza, la cui matrice
cognitiva risulta diversa da quella che presiede all'utente di lingua
scritta, basandosi, diversamente da questa, centrata sulla forma chiusa
"testo", sulle forme aperte della reticolarità, dell'ipertestualità,
del connessionismo semantico: forme tipiche del "navigar per suoni
e immagini" (si pensi ai materiali onirici), che inevitabilmente
si trasferiscono al "navigar per scritte" (si pensi ai materiali
pubblicitari).
• Che dire, a proposito di questo fenomeno dell'arte multimediale
per bambini? Solo che è la manifestazione di una "logica di
mercato" o che esprime un adeguamento forzato ai dogmi del precocismo
pedagogico? O non sarà invece il caso di mettere alla prova nuove
categorie interpretative, destinate a proiettarsi sulla produzione multimediale
destinata ad un'utenza più matura? Io sono per la seconda soluzione,
Navigando dentro la migliore produzione multimediale per la prima infanzia
(non le meccaniche traduzioni di libretti o, Dio non voglia, di sussidiar!
in cd-rom, ma, per esempio, i software infantili di grafica e di produzione
sonora, le raccolte di giochi di produzione, oggi disponibili anche in
rete, come è il caso del sito "bambino" di Seymour Paperi:
http://www.mamame dia.com/home/superdoorway/home.html) si entra in contatto
con forme e stili di pensiero che fino ad ora avevano potuto albergare
soltanto nelle zone interne della sensibilità individuale (le aree
fluide, caratterizzate da un simbolismo mobile, dell'immaginazione libera,
dei meccanismi inconsci del sogno, del gioco di parole, ecc.) e che oggi
vengono a galla in modo socialmente "codificato" (o codificabile),
se pur sulla base di codici diversi da quelli imperanti dentro le aree
della tradizionale conoscenza "garantita", "oggettiva",
"scomponibile", ecc. Insemina, ci si trova a contattare un pensiero
"debole" (per richiamare Vattimo) o "morbido", "femminile"
(per richiamare la Turkle), che poi è lo stesso tipo di pensiero
che troviamo nel videogioco, nella navigazione in Internet, nello zapping
televisivo.
É una fenomenologia del disordine, quella
di cui sto parlando? Sì, se ci si propone di confrontare
questi spazi con un'idea "forte" di ordine. No, se essi vengono
interpretati come l'espressione bambina (del bambino e della parte bambina
dell'adulto) di un'altra forma di ordinamento del sapere, basata meno
sugli elementi e più sulle loro connessioni (come fa l'analista
con i frammenti di sogno e come fa il pubblicitario con i frammenti di
segni).
E' così che cerco di "leggere" il fenomeno della multimedialità
dei bambini, e da qui, conscguentemente, traggo una serie di indicazioni
per lo sviluppo dell'azione scolastica, e della riflessione pedagogica
generale.
Va insomma interpretata e capita la ragione di questo successo, di questo
fenomeno ormai colposo: quello del costituirsi di un rapporto di
familiarità forte, di confidenza, di intimità tra
il bambino di tre-otto anni e il linguaggio di dialogo della "macchina
computer", un medium che invece una
parte degli adulti si ostina a leggere nei termini di un dispositivo per
"calcolare", "ordinare", "formalizzare",
dunque per garantire il massimo della sofisticazione intellettuale.
• Cosa c'è che non funziona in questa
disparità di vedute? Come mai questa macchina che molti
vedono come l'emblema dell'intelligenza formale, poi di fatto trova un
alleato così diretto, così spiritualmente e materialmente
coinvolto nel bambino "analfabeta", cioè non ricattato
dall'alfabetismo?
Insomma, c'è qualcosa che non funziona, nella concettualizzaxione
del problema proposta da alcuni (ho il sospetto, talvolta, che questi
vedano il computer "da lontano", dall'esterno, non accettando
di intrattenere con esso un positivo rapporto di scambio): non funziona
il loro modo di interpretare la macchina. Se è vero che il computer
segna, dal punto di vista del meccanismo interno di funzionamento, della
sua organizzazione "ingegneristica", uno degli stadi più
avanzati della nostra intelligenza tecnologica, è altrettanto vero
che una delle caratteristiche fondamentali del suo "agire" in
rapporto con l'uomo (soprattutto quello piccolo, e quello che sa "farsi
piccolo") sta nel pattuire un'interfaccia, un modo di porgere e di
porgersi all'utente che azzera ogni "inutile precauzione", fa
giustizia di ogni forma di complicazione, "paria" in modo diretto
("umano", verrebbe da dire). Il bambino, ovviamente, si ferma
all'interfaccia, non va al di là di questa "superficie",
ma con essa fa una gran quantità di cose, e il più delle
volte riesce a farne più di quante generalmente riesca a farne
l'adulto: pensate al successo dei videogiochi presso il pubblico infantile,
al fatto che non c'è adulto die non si trovi in una situazione
di difficoltà, di svantaggio, addirittura di handicap, una volta
messo o messosi a raffronto con un bambino, dentro un ambiente videoludico.
• Se il bambino riesce a fare queste cose
prima e più dell'adulto, e riesce a farle meglio di lui,
evidentemente c'è una caratteristica, nell'interfaccia, nel modo
di porgere e di porgersi della macchina, che ci deve fare pensare, che
va interpretata.
Qual è questa caratteristica? L'ipotesi che ho proposto rimanda
al fatto, solo apparentemente paradossale, che la macchina (per quello
che è oggi) sfugge al ricatto dall'esclusività della scrittura.
Beninteso, ciò non significa che il suo linguaggio di superficie
prescinda sempre, sul piano materiale, dalla centralità e dalla
rilevanza della scrittura: sarebbe sciocco sostenerlo, e se qualcuno volesse
farlo, verrebbe subito smentito da un rapido giro in Internet, e in parte
dei prodotti multimediali, anche per l'infanzia, dove il dato materiale
della scrittura è ben presente. Significa un'altra cosa: che non
sempre ad essa, alla scrittura, tradizionale regina incontrastata della
conoscenza-coscienza, viene riattribuita quella barra di governo della
cognizione (e della consapevolezza) che fin qui ha sempre avuto (o quasi:
si pensi alla significativa eccezione rappresentata dall'arte visiva e
sonora).
Se questo è vero, andrebbe sviluppato un adeguato ragionamento
su quel che comporta, in sede pedagogica, accogliere
la scrittura non più come codice assoluto, ma come codice relativo,
che "lotta per la sopravvivenza" con i codici "altri",
ciascuno dei quali ha un suo livello di metaconoscenza (quello, per intenderci,
che garantisce, dentro la multimedialità, di capire e far capire
come funziona il suono agendo sul suono stesso, e di capire o far capire
come funziona l'immagine, fissa e in movimento, agendo sull'immagine stessa;
oltre a tutto, pagando pedaggi minimi alla lingua verbale).
Qui sta la forza dirompente del mezzo, nel fatto di collocare dentro la
scena del rapporto di comunicazione con e tra gli individui dei dispositivi
pre e post-scritturali, strumenti che appartengono a quel patrimonio,
da salvaguardare e da innovare continuamente, che potremmo chiamare della
"cultura orale", intendendo per esso non tanto la vocalità
e la nostra produzione verbale, ma l'insieme di quegli elementi che caratterizzano
il nostro essere corpi, sentimenti, esperienze, conoscenze empiriche,
al di fuori, al di sopra e al di sotto di tutto ciò che può
essere comunicato verbalmente, e soprattutto tramite la ragione della
lingua scritta. Provo a fare un esempio, su un fronte che fin qui è
stato prerogativa dell'adulto: quello delle "regole
del gioco".
Nell'ambiente del videogioco il bambino si atteggia in modo differente
dall'adulto. Come si configura, questo fenomeno, in rapporto all'individuazione
e all'uso delle regole?
L'adulto, posto di fronte ad una situazione problematica, generalmente
sente il bisogno di pattuire o di veder pattuite delle norme: se c'è
un manuale (una via codificata per uscirne) se lo va a consultare; se
gli sembra di aver capito qualcosa di un particolare passaggio del gioco,
cerca di formalizzare questa sua comprensione attraverso una norma, verbalizzabile
e proiettabile su altre situazioni; insomma, l'adulto, l'adulto colto,
ovviamente, ama procedere per deduzione, una volta ipotizzata o trovata
una regola.
Il bambino va in modo totalmente diverso, si immerge nella situazione,
si proietta in essa, la vive, e così facendo sviluppa un'intelligenza
di tipo tattile, empirico (ricordate? l'intelligenza "operatoria
concreta" del buon Piaget, da intendersi non come uno stadio da abbandonare
il più rapidamente possibile, ma come una prerogativa del pensiero
"libero", "intuitivo", "contestuale", una
caratteristica da alimentare costantemente, anche e soprattutto dopo l'affermazione
dell'intelligenza "operatoria astratta"): perché no?
un'intelligenza di tipo orale, quella che
gli consente di procedere per integrazione degli elementi, per associazione,
per prove ed errori. Così "lavorando" il bambino trova
il più delle volte la via di uscita: e una volta che l'ha trovata,
non ne fa un dramma, se il passo successivo gliela falsifica.
E così, il vincolo di adulto abituato (condannato?) a definire
sempre una regola, può rappresentare per lui un fattore di handicap,
se egli si pone in un rapporto immersivo con le tecnologie multimediali.
Il suo giocare non è mai, o troppo raramente è un "mettersi
in gioco". Il bambino che gioca, invece, si mette sempre in gioco.
La multimedialità (quella "buona")
ti mette in gioco, mette in gioco la tua visione del mondo, del
mondo della conoscenza: "tira fuori" il tuo mondo intemo.
Il computer è dunque un dispositivo perturbante per l'adulto poco
disposto a mettersi in gioco. Perché valorizza tutte le intelligenze.
Non solo la forma di intelligenza consacrata da una tradizione culturale
eccessivamente centrata sull'esclusività della lingua scritta,
ma anche le altre forme di intelligenza, quelle che fino ad ora sono state
relegate, confinate nelle zone "buie" del mondo dell'arte: la
poesia delle parole, la forza d'urto dei significanti (e la debolezza
dei significati), l'estetica (intesa propriamente come "forma di
conoscenza") dei suoni e delle immagini, le prerogative del corpo,
le dinamiche delle azioni.
Il computer ci mostra (qualcuno, errando, direbbe "ci dimostra"),
invece, che questa intelligenza concreta, manipolativa, "orale",
fluida (propria degli spazi acustici, per rendere omaggio a McLuhan) è
un patrimonio da dover salvaguardare anche nell'adulto; il quale adulto,
imparando dal e col bambino, condividendo con lui un'intimità di
rapporto con la "macchina multimediale", potrà recuperare
quella capacità di associare, integrare, insomma "tessere",
e quindi rivedere continuamente le sue posizioni e i suoi assunti, che
un'esposizione troppo rigida e ricattatoria ai dogmi della "razionalità
occidentale" (o scrittoria) lo ha costretto troppo rapidamente e
troppo drasticamente a sacrificare. Se non fa così, non solo davanti
al computer, ma anche davanti e nella vita, non ci saranno per lui adulto
garanzie di creatività, di innovazione, di "gioco" (in
senso serio): quegli elementi, insomma, che danno sostanza all'intelligenzaa
mobile, fluida, discorsiva,
dialogica (richiesta, oggi, anche dal mercato!).
Per questa ragione, noi tutti, e in particolare chi di noi è responsabile
della formazione di bambini e ragazzi, dovremmo sempre mostrarci capaci
di mettere in crisi i nostri stessi schemi e quindi renderci disponibili
a queste forme di pensiero dirompente, che "rompe le righe",
che esce dagli schemi: lo spirito di ricerca (quello vero) consiste proprio
in questo, nella capacità di assumere provvisoriamente e contestualmente
degli schemi, per metterli costantemente in discussione.
Posto nello scenario multimediale, il bambino sente valorizzate alcune
prerogative importanti, legate al suo senso di identità ("sono
io a fare questo!") e quindi instaura con la macchina un
rapporto di fiducia che è al tempo stesso un rapporto di
fiducia nelle sue possibilità.
Dall'altra parte, ci può essere un adulto che, se accetta il gioco,
certamente non insegna al bambino il "giusto" rapporto con la
macchina, ma anzi ne ricalca, ne segue, ne condivide i movimenti, e fa
suoi l'occhio, l'orecchio e la mano del bambino, anche per rivisitare
i suoi stessi territori di adulto.
• Quale può essere il "che fare"
della scuola, di fronte a un tale sconvolgimento epistemologico,
antropologico, psicologico?
Per la prima volta ci troviamo di fronte ad un plateale squilibrio nei
rapporti: chi dovrebbe insegnare sa meno e "sa diverso" di chi
dovrebbe ricevere l'insegnamento, che a sua volta non è "tabula
rasa" ma un terreno brulicante di cose, conoscenze, abilità,
capacità; l'apprendimento sopravanza l'insegnamento, e coinvolge
individui sempre più "competenti", autonomamente competenti,
non nelle cose che il maestro è abituato a insegnare, ma nel dominio
di un ambito generale di conoscenza e di esperienza all'intemo del quale
comunque questo maestro dovrebbe riuscire ad entrare, se è sua
intenzione porsi in sintonia con il vastissimo repertorio di cognizioni
del suo allievo, e portare lì il suo lavoro di insegnante/coadiuvante
dell'apprendimento.
Questo è, ammettiamolo, uno scenario completamente
nuovo: nessun bambino è fin qui arrivato a scuola così
competente nell'uso della lavagna o nell'uso del foglio come è
oggi competente nell'uso del foglio elettronico, in senso metaforico,
cioè del computer; e nessun bambino si è trovato così
maestro come è oggi il bambino nei confronti del suo maestro in
carne ed ossa, che diventa suo allievo.
Se ciò può inorgoglire i bambini, certamente preoccupa la
scuola: è onesto riconoscere che essa si trova in una condizione
di crisi d'identità, di fronte all'ingresso massiccio del computer.
L'esempio più evidente di questo disagio è la generale diffidenza,
che si traduce in una difficoltà a trattare adeguatamente la "bestia"
-macchina, anche sul versante materiale. Per esempio, dove collocarla?
Vicino, dentro al luogo naturale dell'azione didattica, la classe, o lontano
da esso, dentro uno spazio specifico?
Quasi tutte le scuole hanno adottato come ipotesi unica quella di relegare
la bestia nel laboratorio (appunto per "addomesticarla":
pia illusione!), senza che si riflettesse sul fatto che mettere i computer
esclusivamente nel laboratorio è come considerare il libro uno
strumento degno di esistere soltanto all'interno della biblioteca; mettere
il computer nel laboratorio e chiamare questo "laboratorio informatico"
sarebbe come mettere i libri esclusivamente nella biblioteca e rinominare
questa "laboratorio tipografico". Il computer è vissuto
dall'attuale organizzazione della scuola come un oggetto perturbante.
Occorre però fare uno sforzo per capire che tale turbativa può
costituire anche un fattore di crescita: possiamo, dobbiamo far diventare
questa un'occasione di rilancio, trasformazione, quindi sviluppo della
consapevolezza pedagogica complessiva della scuola: un'occasione che mette
in campo i temi del che cosa insegnare e del come valorizzare l'apprendimento
(informale e formale) degli allievi.
• Per concludere, credo che ci sia
da ripensare drasticamente, profondamente, coraggiosamente il rapporto
tra oralità e scrittura. Per anni abbiamo vissuto il ricatto del
precocismo pedagogico, cioè dell'accesso anticipato alla lingua
scritta.
Credo che di fatto oggi dovremmo ribaltare questa posizione, e posticipare
l'accesso alla scrittura, intesa nella sua versione formale. Parallelamente,
si dovrebbe stimolare l'accesso ad un uso giocoso, e integrato con altri
codici, dell'aspetto fisico dei segni di scrittura: si tratta quindi non
di ritardarne l'impiego materiale, ma di rallentare l'affermazione dell'idea
che la scrittura possa e debba diventare lo strumento esclusivo della
conoscenza.
C'è tutta una fase, che io terrei aperta, dai tre agli otto anni
(ma la terrei sempre aperta, fino ai novantanove), dove con l'aspetto
fisico della scrittura si "gioca", e dove essa si afferma non
come "literatura", come dicevano i latini, cioè contenuto,
testo, significato, ma come segno, superficie, immagine, disegno, insomma
come "scriptio".
Il significato della scrittura dentro la nostra civiltà passa ora,
è del tutto evidente, non solo tramite i supporti della stampa,
ma anche tramite i monitor dei televisori e dei computer, ed è
una scrittura sempre più sonora, visiva, proteiforme, mobile: dalle
"parolibere" della pubblicità, ai grafismi dei titoli
delle trasmissioni tv e dei Ioghi dei prodotti commerciali, ambiti di
conoscenza e di coscienza che l'uso intelligente del computer permette
di valorizzare, operazionalizzare, gestire in modo costruttivo, attraverso
la scelta dei caratteri, la loro disposizione nello spazio, l'instaurazione
di un dialogo con i suoni e le immagini, ecc. Quale ambiente-autore è
oggi più sofisticato e virtuoso, oggi, di un software come Word
o PowerPoint?
Insomma, dovremmo riuscire a rilanciare la scrittura attraverso la sua
stessa negazione, cioè la messa in discussione delle sue parti
formalistiche e scolasticistiche.
In questo io credo che il mercato, alludo alla produzione di cd-rom infantili,
ci possa essere di grandissimo aiuto. Per fare che cosa? Per rendere la
scuola uno dei luoghi privilegiati, che la società dovrebbe privilegiare,
del processo collettivo di "interpretazione dei segni".
Roberto Maragliano
Docente di Tecnologie dell'Istruzione e dell'Apprendimento
Università Roma Tre. É responsabile del Laboratorio di Tecnologie
Audiovisive del dipartimento di Scienze dell'Educazione e direttore del
corso di perfezionamento a distanza in Tecnologie per l'insegnamento.
Ha pubblicato Tre ipertesti su multimedialità e formazione
(1998) e Manuale di didattica multimediale (1998 e 2000), ambedue
per Laterza.
Su gentile concessione dell'autore Tratto dal sito:
www.geocities.com/athens/forum/9897
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