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Notre
temps
Un limite della rivista è,
purtroppo, una certa mancanza di "contemporaneità", e
mi spiego.
Lesiguità della redazione e il fatto che la pubblicazione
esca ogni due mesi comportano che la progettazione dei numeri si faccia
in tempi lunghi e abbastanza lontani dal momento della stampa. I cambiamenti
veloci, gli sconvolgimenti repentini del nostro mondo temo facciano sembrare
le riflessioni, da noi proposte, scollegate dalla realtà, quasi
arbitrarie, peregrine. Così non dovrebbe essere. Ma purtroppo è
successo, ad esempio, in occasione del numero scorso, limpostazione
degli articoli è avvenuta tenendo presente la riforma dei cicli
e gli ultimi documenti dellallora ministero De Mauro, in particolare
"Indirizzi per lattuazione dei curricoli". Ci sono state
poi le elezioni e il nuovo ministro ha cancellato con un colpo di spugna
il lavoro di approfondimento che centinaia di esperti, improvvisamente
non più reputati tali, avevano condotto e la scuola si è
ritrovata ancora una volta senza tetto e in piena corrente daria.
A settembre, poi i fatti sconvolgenti di New York hanno ridisegnato i
confini del bene e del male. È probabile che i nostri articoli,
le nostre semplici suggestioni possano apparire quasi atemporali, schegge
di un vecchio mondo anacrosticamente riapparse dopo un nuovo diluvio.
Anche se un ancoraggio alla realtà contestuale, ancora una volta
ben triste, era rappresentato nel 53 scorso dallesperienza didattica
sul dopo alluvione. Ho fin qui espresso un limite della rivista, dovuto
sia a cause interne, organizzative, che esterne, limprevedibilità
e, senza voler proporre un giudizio, ma presentando una constatazione,
lincoerenza del nostro mondo, scolastico e no. Che fare?
Due visioni estreme mi vengono alla mente e penso che solo nella loro
tensione possa trovare spazio larticolazione del nostro lavoro.
La prima ipotizza al centro del lavoro di programmazione e di scelta dei
temi da trattare la capacità di selezionare, in base a elementi
conosciuti, quelle che saranno le tendenze che acquisteranno dimensione
di realtà, saper cogliere, cioè, nel flusso delle informazioni
i segnali che marcheranno il futuro prossimo. Mi spiego: quale impalcatura
di scuola il nuovo governo vorrà costruire? Quale cittadino intenderà
formare e per quale società? Più in generale, a quale pedagogia
(a quali pedagogisti?) si ispirerà il nostro ministro-manager?
Cercare di dare risposte realistiche a queste domande e orientare di conseguenza
la selezione dei materiali, per portare supporti, spendibili nella nostra
dimensione regionale, potrebbe essere una soluzione. Ma, postulando di
avere noi, o meglio i nostri collaboratori, tale capacità divinatoria,
dubito che tale impostazione risponda appieno al compito della rivista,
anche se garantirebbe una "contemporaneità" maggiore
alle nostre proposte, realizzerebbe una certa assonanza con le vicende
del grande mondo della scuola, perlomeno.
Un altro taglio mi sembra possibile, meno ministero-centrico, quindi non
necessariamente anticipatore o organico rispetto alle tendenze nazionali,
ma più vicino al nostro procedere attuale: selezionare gli argomenti
e approfondire riflessioni in base a ciò che, con i nostri collaboratori,
giudichiamo importante, strutturante per la scuola che giorno dopo giorno
ognuno di noi contribuisce a costruire. Questo secondo tipo di scelta
corre il rischio di una minore "contemporaneità". Non
è detto, infatti, che le nostre priorità siano quelle che
vanno di moda.
Dino Canestrini, direttore dellEducatore, riflette nelleditoriale
del settembre 2001 sulle funzioni delle riviste scolastiche e ne individua
cinque: "diffondere informazioni, dare approfondimento, sfondo e
prospettive alle singole notizie, alimentare la riflessione culturale
adottando il punto di vista della pedagogia, fornire servizi professionali
agli operatori scolastici, facilitare la comunicazione interprofessionale
in modo integrato con le enormi possibilità attualmente offerte
dalle reti".
Molto modestamente anche noi tentiamo di assolvere alcuni di questi compiti.
Parlavo dunque di un limite della rivista, la distanza che intercorre
tra il momento della scelta dei temi e la lettura e ho individuato nella
tensione tra due estremi il nostro spazio di lavoro: tra antenna parabolica
e lente di ingrandimento.
A volte però nella geometria contraddittoria della realtà
gli estremi non sono più in tensione e si toccano. Nello scorso
editoriale riflettevo sul valore del linguaggio come ordinatore di emozioni
e sullimportanza che a scuola si imparino " le parole per dirlo",
per raccontare e contenere cioè il proprio disagio.
Mai come adesso (e purtroppo questo avverbio acquista il senso di una
contemporaneità tragicamente lunga: la traduzione dallamericano
dellaggettivo duratura lo testimonia) noi e i nostri ragazzi, insieme,
dobbiamo ritrovare, nello scambio e nellassunzione di parole, spazi,
se non di pace, almeno di quiete interiore e di fiducia in un futuro migliore.
Bonne école !
Giovanna Sampietro
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