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Ars cogitandi
“Parler vrai” avec
les ateliers philo. Une occasion pour permettre une parole authentique
aux élèves des écoles élémentaires et moyennes.
Durante lo stage estivo organizzato dal GVEN (Groupe
Valdôtaine d’Éducation Nouvelle) a Châtillon (Institut Gervasone
28-29-30 agosto 2000), Philippe Lahiani ha presentato l’esperienza
condotta da 14 classi di scuola materna ed elementare nel REP (Réseau
d’Éducation Prioritaire) de Planoise Île de France, Besançon.
Un’équipe, si è riunita per un anno per programmare, monitorare e
valutare un’attività nata dai contributi teorici di Agnès Pautard,
IUFM de Lyon e di Jacques Lévine, psicologo e psicanalista. La ricerca
è stata condotta da una coordinatrice e da due animatori del REP, da un’ispettrice,
da due consiglieri pedagogici e da un rieducatore dell’educazione
nazionale.
DIRITTO ALLA PAROLA ED EDUCAZIONE
ALLA CITTADINANZA
Qualcuno potrà sorridere, o manifestare dubbi e perplessità, sentendo
parlare di un laboratorio di filosofia indirizzato a bambini e preadolescenti.
Una sperimentazione biennale tuttavia, offre del materiale su cui vale
la pena riflettere.
E’ opportuno, innanzi tutto, chiarire il senso dell’espressione
“atelier philo”. Non si tratta della semplificazione di un’attività
seminariale, né di uno spazio per dibattere o contendere, per negoziare
o concertare, per chiacchierare o conversare.
Non è un’assemblea o un salotto. E’ un’attività scolastica,
concepita e attuata per creare un ambito “privilegiato”, in
cui bambini o adolescenti possono formulare e confrontare idee, opinioni
e ipotesi su problemi esistenziali, di relazione con gli altri o di autoanalisi.
Una breve descrizione dello svolgimento di un incontro può chiarire la
natura e la portata di un’attività di questo tipo.
All’inizio l’insegnante-conduttore,
meneur du jeu, presenta con chiarezza e brevità il tema o problema oggetto
della discussione.
Invita quindi i bambini, seduti in cerchio, a riflettere ed esprimersi
sull’argomento proposto. Tutti hanno il diritto di pensare e di parlare.
Ha la parola chi lo richiede. Gli interventi vengono registrati. L’insegnante
non esprime alcun giudizio o commento su quanto viene detto. Si limita
a passare il microfono ed a garantire i tempi della seduta la cui durata
tassativa è di dieci minuti. La natura del confronto sta tutta nel fatto
che i ragazzi, anche se per pochi minuti, affrontano con discernimento
grandi questioni. Essi scoprono che possono assumere un ruolo importante
e sono in grado di trattare con serietà e competenza argomenti impegnativi.
Ciascuno si mette alla prova sfruttando uno scenario normalmente assente
dalla scuola e si cimenta con la propria capacità di ascoltare, meditare,
ragionare e dissertare. Il laboratorio diventa così un’ottima palestra
per imparare ad esprimere i propri pensieri, per scoprire l’esistenza
di idee e punti di vista diversi su un problema dato, a vagliarli e a
farli propri criticamente.
Pourquoi des ateliers de philosophie
à l’école maternelle et élémentaire ? |
La philosophie n’est pas matière à apprentissage
telle que le transmettent les enseignants en référence aux programmes
traditionnels de l’école primaire ; aussi il n’est pas
question de présenter des concepts philosophiques tout faits mais
d’entraîner les enfants à réfléchir sur les grands problèmes
de la vie, de leur faire découvrir qu’ils sont capables de
penser et de les préparer à une évolution de leur façon de penser.
La philosophie c’est “ L’ensemble des études, des
recherches visant à saisir les causes premières, la réalité absolue
ainsi que les fondements des valeurs humaines, et envisageant les
problèmes à leur plus haut degré de généralité ” (Le Petit
Robert).
Tous les êtres humains se questionnent sur les problèmes de l’existence
de par leurs relations avec les mystères de la nature et du vivant.
Les enfants cherchent naturellement et spontanément à avoir accès
à ces mêmes réalités. Ils ont besoin d’être encouragés à les
formuler, à faire passer dans la parole ce qui est déjà présent
dans leur corps sous forme d’émotions et bien souvent d’angoisses.
Ils ont besoin de vivre des moments où l’on découvre le plaisir
de réfléchir ensemble, avec les moyens qui sont les leurs, à des
questions par lesquelles ils construisent leurs relations au monde,
aux autres et à eux-mêmes.
L’atelier de philosophie donne la priorité à l’expérience
que l’enfant fait de sa propre pensée, et non à l’utilisation
de la pensée comme outil. Avant de se poser des questions dans tel
domaine scolaire, l’enfant a besoin de découvrir sa capacité
à s’interroger sur la vie au-delà du scolaire, de se donner
le droit à “l’intelligence des situations”.
Des ateliers philo pour permettre une parole authentique
On demande souvent à l’enfant d’entendre, mais quel est
son entendement ?
On demande à l’enfant d’écouter, mais quel impact cela
va-t-il avoir dans sa pensée ?
Des ateliers philo pour consentir à la confrontation
La parole personnelle est socialisatrice : c’est parce que
je peux dire ma pensée, sans opprobre ni dévalorisation, que je
peux entendre celles des autres.
La parole personnelle est régulatrice car elle facilite les transformations
: dire sa pensée c’est la sortir de soi, la “mettre sur
la table” comme objet d’observation et d’interaction.
Des ateliers philo pour faire l’interaction la source des apprentissages
Seul on ne possède que des certitudes, parler ensemble parce que
cela pemet d’entendre la différence, de pointer les divergences,
de chercher le sens : conditions de l’émergence de la pensée
critique. |
Questo esercizio permette
di acquisire coscienza di sé e del proprio valore in quanto persona, così
come una maggiore consapevolezza del proprio rapporto con la realtà e
gli altri.
E’ su questo terreno che i bambini imparano a misurarsi con se stessi
e sperimentano l’arte dell’argomentare le proprie idee e di
prendere in considerazione quelle degli altri.
Progressivamente essi percepiscono che quanto dicono ed ascoltano si permea
di senso e diventa il loro reale motore di conoscenza. Il confronto alimenta
la loro curiosità; il loro desiderio di interagire si trasforma in piacere
e meraviglia di scoprire e di scoprirsi.
Affrontare i problemi diventa condividere idee e quindi rendere sempre
più ricca, varia e precisa la comunicazione verbale. Per i ragazzi partecipare
al laboratorio vuol dire: accettare le regole del gioco, sperimentare
un contesto di comunicazione “reale”, in cui l’ascolto
e il rispetto dell’altro costituiscono la condizione indispensabile
per la disanima dei problemi.
Questi si decontestualizzano perché dalla riflessione comune non emergono
più soluzioni uniche, valide una volta per tutte, ma delle ipotesi di
soluzione. L’attività di laboratorio porta ad un’apertura critica
sulla realtà e determina delle ricadute significative, a volte imprevedibili,
sui comportamenti.
La pratica sistematica e finalizzata del laboratorio ha come obiettivo
il conseguimento di alcune finalità ampiamente richiamate dai Programmi
didattici per la Scuola elementare del 1985:
• “La scuola [...] sollecita gli alunni a divenire consapevoli
delle proprie idee e responsabili delle proprie azioni, [...] ha il compito
di sostenere l’alunno nella progressiva conquista della sua autonomia
di giudizio. (Premessa generale - 1ª parte “Caratteri e fini della
scuola elementare”).
• Invita a “potenziare nell’alunno la capacità di porsi
in relazione linguistica con interlocutori diversi [...] e in diverse
situazioni comunicative, usando la lingua nella sua varietà di codici,
di registri e nelle sue numerose funzioni.” E ad “offrire mezzi
linguistici progressivamente più articolati e differenziati per portare
ad un livello di consapevolezza e di espressione le esperienze personali”.
[...] “Ciò comporta che l’insegnante sappia sollecitare il dialogo,
dargli ordine (anche abituando l’alunno a chiedere la parola, ad
attendere il suo turno se altri l’hanno chiesta prima di lui, a tenere
conto nel suo intervento di ciò che gli altri hanno detto, ecc.), tutelando
gli spazi comunicativi di ciascuno e la significatività degli interventi
in rapporto all’argomento”.
Anche i programmi ministeriali della Scuola media per l’insegnamento
dell’educazione civica auspicano:
• “la conquista della capacità critica [...] nell’intento
di porre l’alunno nella condizione di analizzare i vari aspetti dei
problemi e di tendere all’obiettività del giudizio”;
• “la crescita della volontà di partecipazione come coscienza
del contributo che ciascuno deve portare alla risoluzione dei problemi
dell’uomo...”.
Il laboratorio di filosofia apre al mondo e concorre a costruire una identità
comunicativa e relazionale.
Acquisire il diritto di parola e dibattere dei problemi permette ai ragazzi
di uscire dai consueti “clichés” scolastici, per scoprire chi
sono loro, chi sono gli altri e accorgersi delle loro difficoltà ma anche
delle loro potenzialità.
Le rôle du meneur de jeu |
On pourrait penser que le “ meneur de jeu “
ne sert pas à grand chose. Or il est là, bien que quasi silencieux,
au cœur de l’expérience : responsable du cadre, il cueille
la parole, encourage du regard ceux qui n’osent pas.
Il est là en tant qu’adulte, investi du savoir, ayant le pouvoir
de trouver, ou faire trouver, des solutions aux problèmes du quotidien.
Il donne, par sa présence silencieuse et encourageante, la confiance
nécessaire aux enfants pour qu’ils osent donner leur avis,
leurs pensées, leurs interrogations, pour qu’ils osent réfléchir
comme une grande personne, sur les énigmes de la vie, pour qu’ils
se risquent au changement de place en entrant dans le mode de penser
qui est effectivement celui des grandes personnes.
Après l’atelier, pour chaque entretien, il retranscrit les
interventions des enfants et tente une classification des “
actes de langage “. Pour chaque entretien il observe le contenu
de la réponse (E pour Exemples, D pour Définitions, RS pour Rappel
du Sujet) et la forme de la réponse (A pour Assertion, Q pour Questions,
N pour Négations). |
MODALITA’ E STRUMENTI DELL’ATELIER PHILO. GLI INSEGNANTI
DELLA SCUOLA ELEMENTARE SI INTERROGANO
Durante l’anno scolastico 2000-2001 alcune insegnanti, favorevolmente
colpite e sollecitate dagli “ateliers de philosophie” presentati
da Philippe Lahiani nel corso dello Stage estivo 2000 organizzato dal
GVEN in collaborazione con il GFEN di Besançon, hanno deciso di portare
l’esperienza nelle scuole di Chambave, Châtillon, Moron e Pollein
coinvolgendo nel complesso tutte le cinque classi e dove possibile, anche
le altre insegnanti del modulo.
Inizialmente ognuna di noi ha introdotto gli “ateliers” nella
classe dandosi un calendario proprio e delle modalità di conduzione e
di tabulazione degli atti linguistici quanto più fedeli possibili alle
indicazioni riportate sul documento di Lahiani, ma pur sempre frutto di
una libera interpretazione.
L’esigenza di incontrarsi tra noi è sorta proprio nel momento in
cui la buona volontà e l’attenzione al come venivano condotti i laboratori,
si sono scontrate con le difficoltà d’interpretazione e tabulazione
degli atti linguistici che non sempre apparivano facilmente identificabili
e con la presa di coscienza che ogni “atelier” richiamava a
più precise e chiare modalità di conduzione.
Tutte eravamo inoltre interrogate sul piano del vissuto emozionale e relazionale
nostro e dei bambini perché in alcuni casi questi ultimi apparivano particolarmente
disinibiti o fatalmente bloccati davanti al microfono, alla continua ricerca
di uno sguardo e di un cenno da parte delle insegnanti.
Abbiamo quindi dato il via ad un gruppo di lavoro che aveva come obiettivi
principali quelli del confronto e dello scambio d’informazioni tra
noi, il vissuto, per dirsi come si stava vivendo quest’esperienza
e, parallelamente, quello del darsi un terreno comune d’azione, a
partire dalle modalità di conduzione, di trascrizione della parola orale,
fino all’individuazione, faticosa e complessa, di un comune significato
degli atti linguistici e della ricerca di uno strumento di tabulazione
funzionale ed efficace per ogni situazione.
Come si potrà intuire il lavoro svolto insieme è stato soprattutto propedeutico
a quello di approfondimento e analisi sui processi formali e d’elaborazione
dei contenuti che sono tra gli obiettivi degli “ateliers philo”.
In ogni caso e con la dovuta attenzione a non attribuire a quanto viene
scritto un valore definitivo ed esaustivo, possiamo proporre alcune riflessioni
a quanti fossero interessati all’iniziativa.
Anche noi, come peraltro risulta dagli studi di Lahiani, ci siamo rese
conto che il pensiero dei bambini tendeva, via via che si proseguiva negli
incontri, a farsi più articolato da un punto di vista dei contenuti, passando
dalle numerose esemplificazioni e brevi definizioni dei primi “ateliers”
ad un uso più vario ed articolato anche da un punto di vista formale negli
ultimi incontri. Gli interventi dei bambini diventavano più numerosi dopo
due o tre laboratori e, più avanti, pur assestandosi numericamente si
facevano più complessi.
Non sempre così chiare ci sono apparse invece le modalità di conduzione.
In alcuni casi di fronte al quasi mutismo di molti bambini durante i primissimi
incontri, all’innaturale rigidità degli interventi o all’eccessiva
esuberanza, alcune di noi hanno deciso di intervenire fornendo ulteriori
spiegazioni agli alunni circa la finalità degli “ateliers”.
Questi interventi di “regolazione” non possono lasciarci indifferenti:
come mai ad alcuni bambini non viene spontaneo parlare di temi, quali
l’amicizia, la felicità, la scuola ed altri, che invece sappiamo
riguardarli tanto da vicino? Forse l’impatto con il microfono non
è da tutti facilmente sormontabile, è vero; ma come interpretare lo sguardo
che si posa su di te, insegnante? Ricerca di conferma? Bisogno d’aiuto?
Paura di essere giudicati?
Personalmente mi sono chiesta quanto, durante le nostre attività quotidiane,
ascoltiamo in modo attivo ciò che i bambini hanno da dirci e quanto spazio
dedichiamo a praticare l’ascolto e, soprattutto, come pensiamo e
strutturiamo questi momenti nella nostra didattica? A volte liquidiamo
i loro interventi con un “adesso no, non c’è tempo, dopo...”
ma dopo quando? Se non c’è tempo adesso, quando e dove lo troveremo?
In altre occasioni gli “ateliers” hanno “sforato”
il limite temporale di dieci minuti perché l’insegnante-conduttore
riteneva che l’interazione e il contenuto della stessa fossero particolarmente
interessanti e coinvolgenti per i bambini.
La difficoltà del “chiudere” e porre termine all’“atelier”,
perché si percepisce che c’è molto da dire, da capire, da ascoltare
e da imparare è speculare per certi versi a quanto esposto sopra e perciò
appartenente allo stesso ordine di problema: il tempo.
Credo che gli “ateliers” favoriscano il riappropriarsi da parte
del bambino e dell’insegnante di un tempo lento che è dato non dalla
durata in sé, dieci minuti ricordiamolo, ma dalla qualità di quella durata,
dalla serietà con la quale i bambini si dispongono a partecipare, dall’attenzione
degli sguardi che seguono chi sta parlando, dall’entusiasmo con il
quale richiedono di riascoltarsi e ti ricordano che è il momento - è tempo,
appunto - degli “ateliers”.
In qualche modo questi laboratori ci invitano a vivere il tempo della
parola come risorsa e non solo come vincolo e ci spingono a misurarci
con quegli stessi limiti e a superarli spegnendo il registratore e consentendo
alla conversazione di continuare, permettendo ai pensieri di dipanarsi,
di trovare la strada per fluire nel rispetto del ritmo di tutti e di ciascuno.
Diverso invece il discorso riguardo alle modalità di tabulazione degli
atti linguistici e, quindi, all’elaborazione di uno strumento adatto
a rappresentare la realtà molteplice e dinamica degli interventi.
Noi siamo arrivate ad individuare due modalità di lettura e interpretazione
che utilizzano entrambe i codici già proposti da Lahiani.
La prima, centrata sull’individuo, ne segue il percorso annotando
volta per volta il numero degli interventi e la qualità formale e d’elaborazione
del contenuto, con il vantaggio di chiarire i progressi e le modalità
d’intervento di ogni bambino.
La seconda, invece, pone al centro della ricerca il gruppo classe e ne
annota e osserva gli interventi nel tentativo di studiarne i processi
d’interazione, con l’obiettivo di chiarire le modalità d’intervento
che si dà e i progressi che compie il gruppo.
Precisiamo che questa attività non ha trovato riscontro sul documento
di valutazione dei bambini, sia per il carattere sperimentale dei laboratori,
sia per la natura di questo strumento che come introduce Lahiani: “donne
la priorité à l’expérience que l’enfant fait de sa propre pensée,
et non à l’utilisation de la pensée comme outil".
Inoltre ricordiamo che gli “ateliers philo” hanno conseguito
successo tra i bambini che settimanalmente ne richiedevano la realizzazione
e questa è un’altra delle ragioni, se non la migliore, per continuare
su questa strada.
Est-ce que les animaux sont comme
nous ? (extraits) |
Grande Section REP
de Planoise île de France
- pac’que pac’que
les animaux i’ z’ont une queue et que les enfants i’
z’on pas une queue ;
- i’ s’bat pou’ avoi’ une femelle ;
- hé ben les animaux i’ z’ont des poils et les gens
i’ z’ont pas d’poils ;
- pac’que les loups i” z’ont des oreilles pointues
mais pas les hommes ;
- ... l’...les les dinosaures i’ sont nés très longtemps
et pi les femmes i’ sont nées depuis pas longtemps ;
- les dinosaures avant i’ vivaient mais là maintenent i’
vivent plus ;
- les animaux i’ z’ont quatre pattes mais les zens i’z’ont
pas quatre pattes ;
- ben les ours quand i’ sont assis i’ z’ont quatre
pattes et quand i’ sont debouts i z’ont deux pattes
comme les gens ;
- les lions i’z’ont des dents pointues et pas nous ;
- les chiens i’ disent ouaf et nous on dit ... on sait pas
dire comme les animaux ;
- les chiens i’ mangent tout cru les poissons mais pas les
gens... les gens i’ mangent pas tout cru les poissons ;
- nous on a des montres... et pas les animaux ;
- nous on parle au micro mais pas les animaux ;
- les gens i’ peuvent jouer à la philosophie mais pas les
animaux ;
- des fois les chats i’ peuvent parler.
Classe 5^, Moron (a. s. 2000/2001)
Alunno 1. - Per me
gli animali sono come noi perché sono esseri viventi come noi,
camminano... muoiono, hanno un cuore e comunque sono esseri viventi
e mangiano e bevono come noi.
A 2. - Per me gli animali sono uguali a noi però, sono uguali
a noi però, hmm, sono un po’ diversi, penso in senso che
hanno il pelo e noi non ce l’abbiamo...
A 3. - Sì che ce l’abbiamo!
A 2. - Vabbè, però, e poi anche hanno il naso lungo e non so!
A 4. - Anche noi abbiamo i peli e poi non è vero che tutti gli
animali hanno il naso lungo, solo le scimmie.
A 2. - Per me un animale particolare è uguale a noi: la scimmia.
Perché noi eravamo delle scimmie poi siamo diventati più umani
in senso perché le scimmie sono quasi intelligenti come noi.
A 5 - Secondo me gli animali sono come, sono come noi solo che
hanno caratteristiche diverse.
A 2. - Per me gli animali sono uguali a noi perché, perché sono
uguali a noi però certe volte son diversi, perché noi mangiamo
con le forchette, loro mangiano con il muso.
A 5 - Io non mangio con le forchette mangio con la bocca!
A 2. - Ho capito! Però loro cercano il cibo e noi no; lo compriamo
noi!
A 6. - Per me gli animali sono come noi perché loro hanno i loro
linguaggi e noi abbiamo il nostro.
A 4. - Per me gli animali sono come noi perché anche loro si sposano
o fanno una vita da soli.
A 2. - Per me... ehmm... come dice J. però c’è un animale
che si sposa però poi va... e non... l’orso ecco, hmm, hmm,
si sposa fa i figli però poi si divide da tutto, da tutta la famiglia.
A 7. - Secondo me gli animali non sono come noi perché non parlano.
A 2. - Invece sì che parlano, però in un altro, in un altro modo,
abbaiano e tutto, soltanto che... se noi facciamo un po’
d’attenzione parlano.
A 1. - Non parlano la nostra lingua!
A 4. - Certi animali sì!
A 3. - Il pappagallo [suggerito sottovoce]
A 4. - Il pappagallo!
A 2. - Ah, hmm... per me gli animali sono tutti uguali però altri
animali possono parlare come, come...non so adesso non mi viene
in mente.
A 5. - Non è vero che il pappagallo parla come noi, solo se glielo
insegni.
A 1. - È quello! Non è che parla: ti copia! Se non sente te parlare
lui mica parla.
A 2 - Per me gli animali sono uguali a noi perché noi se, se non
ci laviamo, se non, come dire? Se non facciamo cose da umani diventiamo
anche noi animali, come, come...
Classi 1ª media, Saint-Vincent (a.s. 2000/2001)
Alunno 1. - Per me,
siamo animali perché i nostri antenati sono derivati dalla scimmia
che è un animale.
A 2. - Per me siamo diversi dagli animali, gli animali agiscono
d’istinto mentre noi no, pensiamo...
A 3. - Secondo me gli animali, in un certo senso, sono come noi
e in un certo senso no perché gli animali più o meno hanno il
nostro stesso comportamento: mangiano, bevono, corrono, giocano...
Sono diversi da noi perché loro agiscono in modo diverso: loro
hanno un territorio con un capo... invece noi no, ne abbiamo tanti...
A 4. - M. ha detto che loro hanno un territorio con un capo ma
anche noi, per esempio, l’Italia è un territorio con un capo:
il capo dello Stato. Io direi che gli animali sono uguali a noi
solo che loro sono meno evoluti. Anche noi eravamo degli animali...
A 5. - Io volevo dire che gli animali sono uguali a noi, però
come intelligenza no. Perché noi siamo più intelligenti, noi costruiamo
le case per vivere... invece loro vivono di quello che trovano...
A 6. - Volevo dire... secondo me siamo un po’ sì, un po’
no uguali agli animali perché siamo tutti esseri viventi, poi
come aspetto saremo diversi, perché abbiamo tutti cose in comune
e la mentalità sarà un po’ diversa, certi ce l’hanno
meno sviluppata di noi altri di più come il delfino e altri animali.
Ma comunque anche loro si costruiscono le tane, fanno un po’
la stessa vita di noi. Secondo me, quello che ha detto T. non
è tanto vero che noi non agiamo istintivamente, perché tutte le
persone lo fanno!
A 7. - Secondo me anche gli animali pensano perché tipo il leone
che prima di prendere la sua preda prima ci pensa, la guarda e
poi la sbrana.
A 3. - Volevo dire che, secondo me, gli animali non sono meno
intelligenti di noi, perché anche loro sanno costruirsi una casa,
sanno procurarsi il cibo, tipo gli uccelli che si costruiscono
un nido, ci sono degli uccelli piccoli che si costruiscono dei
nidi grandissimi... molto belli. Poi gli animali hanno imparato
come procurarsi il cibo e poi quando prendono un uccello, ad esempio,
prima lo spiumano poi se lo mangiano.
A 5. - Gli animali sono esattamente uguali a noi perché noi siamo
degli animali e però, come tutti gli animali, compresi noi abbiamo
delle caratteristiche diverse, tipo l’aquila sa volare, il
leone no, però il leone sa correre, l’aquila no. Noi sappiamo
scrivere e il leone e l’aquila no. Però noi siamo sempre
animali come gli altri.
A 6. - Volevo dire che, secondo me, gli animali sono uguali a
noi perché, come noi siamo mammiferi... potevamo anche essere
uccelli, rettili o ogni altro tipo di animale... E comunque non
c’entra la diversità di cibo perché noi, come animali, ad
esempio come il leone, uccidiamo altri animali per cibarcene.
A 8. - Per me gli animali non sono uguali a noi perché, per esempio,
il leone sa ringhiare e noi sappiamo parlare...
A 6. - Volevo dire che, secondo me, noi siamo uguali agli animali
perché, come noi abbiamo un certo linguaggio, anche loro ne hanno
uno proprio. E quindi fra razze si possono capire... anche con
un solo sguardo.
A 5. - Noi però pensiamo di essere meglio di loro, di saper fare
più cose di loro; però loro pensano... Noi pensiamo che il modo
di vivere è questo che viviamo noi, però loro pensano che il modo
di vivere è come fanno loro. |
Temi affrontati negli “ateliers philo”
- Qu’est-ce que c’est être
content ?
- Les rêves qu’est-ce que c’est ?
- Qu’est-ce qu’une grande personne ?
- La peur.
- Est-ce que les animaux sont comme nous ?
(Esemplificazione riportata nella tabella qui sopra)
- Heureux / Malheureux.
- Qu’est-ce que c’est aimer ?
- A-t-on le droit de tout faire ?
- Est-ce que tout le monde est pareil ?
- A quoi sert l’école ?
- Le rire.
- L’intelligence c’est quoi ?
- Justice / Injustice.
- Vivant / Non vivant.
- La beauté.
- Les ateliers de philosophie c’est quoi ? Ça sert à quoi ?
(Esemplificazione riportata nella tabella qui sotto)
Che cosa sono gli ateliers philo?
A che cosa servono? |
Classe 5^, Moron (a. s. 2000/2001)
A 1 - Secondo me
gli AP servono a essere più creativi, in senso... con le parole...
parlare più con la gente. [...]
A 1 - Secondo me gli ateliers sono delle conversazioni che fanno
tutti: i bambini, anziani, giovani e servono proprio per parlare
di più, non stare...
A 2 - Per me gli AP servono anche per dire delle cose che tu non
sai e quando le senti te le insegnano e quando le senti capisci
il significato e... e sai cosa significano.
A 3 - Secondo me gli AP servono a... servono a sapere cose che...
cioè... ci sono degli argomenti che noi può darsi che non sappiamo
però dobbiamo esprimere delle cose... dobbiamo esprimere quel
che sappiamo noi.[...]
A 4 - Secondo me gli AP è, è un’attività... hmm, come dire?
Cioè è divertente però t’insegna anche a parlare un po’...
un po’ meglio.
A 2 - Secondo me l’attività di philosophie serve a muoversi...
ad esempio se tu vai in cose inutili, saper parlare bene perché
se parli un “pescilingua” sbagli tutto...
A 5 - Parli un po’...?!?
A 2 - Ehm...
A 5 - Un po’...?!?
A 2 - Un po’ strano, un po’ male.
[...]
A 1- Come ha detto M., può essere anche un argomento ragionevole,
cioè tu ragioni ma nello stesso momento parli.
A 4 - Secondo me gli AP sono... è un modo per, per aprirsi, per
parlare un po’ di più, non rimanere sempre chiusi nella loro
mente, pensare, pensare poi... ed esprimersi con gli altri. Magari
hai un problema e lo puoi risolvere con... con questa, con quell’AP
perché ne puoi parlare e magari l’altro ti può aiutare.
A 1 - Sì, proprio come hai detto anche tu, è vero N. però anche,
anche per esprimere emozioni, non soltanto...
A 2 - Una volta a me è capitato di restare solo a casa, ho preso
il registratore e mi sono registrato delle canzoni e ho visto
che sono uscite fuori delle frasi che non hanno senso.
Classi 2ª media, Saint-Vincent
(a.s. 2001/2002)
Il laboratorio di filosofia è utile?
“Sì perché è un momento in cui pensi solo a quello che stai
facendo.” (Christian)
“Il laboratorio di filosofia è molto utile. E’ un momento
di concentrazione in cui si può riflettere senza essere disturbati.”
(Flavio)
“Sì, il laboratorio di filosofia è utile perché insegna a
pensare e a cercare nella tua mente quali sono i tuoi pensieri,
le tue paure, le tue gioie, ma soprattutto a capire quali sono
i sentimenti dei compagni.” (Valentina)
“Il laboratorio di filosofia è utile perché permette a tutti
di esprimere il proprio parere su argomenti talvolta impegnativi
e quindi di riflettere a lungo.” (Mattia)
“Sì, è utile perché ti fa pensare, ragionare, ti ferma su
cose di tutti i giorni per capirne il senso, ma anche per ascoltare
i compagni.” (Anaïs)
“A mio parere il laboratorio di filosofia, ci aiuta ad imparare
ad esprimerci meglio e a partecipare a una discussione attiva.”
(Rhoy)
“Il laboratorio serve ad imparare, a discutere su uno stesso
problema che non ci riguarda direttamente, ma ci aiuta ad esprimerci
meglio parlando tutti insieme!!!"(Danilo)
“Il laboratorio serve per conoscere le opinioni di tutti
su un problema che la prof. ci pone.” (Maurizio)
Io, che cosa ho imparato a fare?
“In questo laboratorio ho imparato delle cose che mi serviranno
sempre: esprimermi in un modo chiaro e abbastanza originale e
ad avere della logica, quindi poter riflettere per poter dare
una giusta opinione.” (Nastasia)
“Ho imparato a riflettere su che cosa penso di determinati
argomenti, ai quali normalmente non penso.” (Valeria)
“Ad ascoltare gli altri mentre parlavano.” (Alessandro)
“Ho imparato a riflettere anche su argomenti apparentemente
facili, ma che poi si sono rivelati complicati.” (Flavio)
“Io ho imparato a capire i compagni ed a esprimere le mie
idee.” (Valentina)
“Durante il laboratorio ho imparato a lavorare molto bene
su argomenti impegnativi, ad utilizzare al massimo le mie capacità
e ad esprimere con chiarezza le mie idee.” (Mattia)
“Credo di aver imparato a discutere con altre persone a usare
meglio il mio italiano e ad ascoltare meglio i discorsi altrui.”
(Rhoy)
Cerco di spiegare che cosa ho provato o pensato durante
il laboratorio
“Quando la Prof. ci ha proposto questo laboratorio ero entusiasta
e curiosa. E lo sono ancora adesso prima che ci ponga la domanda
cui dovremo rispondere. E’ una delle attività che mi piace
di più.” (Valeria)
“Durante il laboratorio di filosofia mi diverto a conoscere
non solo i miei pensieri, ma anche quelli dei miei compagni.”
(Erica)
“E’ una cosa nuova delle medie, una delle tante; è bello
poter dire i propri pensieri anche se solo per dieci minuti sull’argomento
proposto dalla professoressa. E’ bello scambiarsi opinioni
e magari se uno di noi che ha un problema, quando meno se lo aspetta,
si sente esporre le soluzioni degli altri.”(William)
“Durante il laboratorio passo dei momenti intensi, nei quali
sono da sola con i miei pensieri. Provo sensazioni mai vissute
prima. E’ stato veramente interessante, un modo per scoprirmi
e per scoprire gli altri.” (Valentina)
“Non provo niente di particolare, ma penso quanto è bello
riuscire a pensare e a comunicare con gli altri.” (Luca)
“Ho pensato che il laboratorio è molto utile, interessante
ed è una attività diversa rispetto alle solite che svolgiamo in
classe perché è un modo per confrontarci e per vedere le idee
insieme. Mi sono sentita coinvolta, interessata, concentrata,
ascoltata e apprezzata dai compagni nelle ore di laboratorio.”
(Anaïs)
“Sono sollecitato dagli argomenti del laboratorio di filosofia,
specialmente perché dopo aver espresso la propria opinione c’è
sempre qualcuno che in parte ti contraddice aggiungendo lui stesso
qualcosa di giusto.” (Rhoy)
“Durante il laboratorio sono molto coinvolto e tendo ad intervenire
spesso, (la prima volta ero anche emozionato), perché i problemi
proposti mi appassionano!!!” (Danilo)
“Si prova una sensazione piacevole perché ci si siede tutti
in cerchio e si discute.” (Maurizio)
“Durante il laboratorio di filosofia mi sento sicuro e intervengo
molto spesso; soprattutto per ribattere quello che dicono i miei
compagni.” (Fabio) |
FILOSOFIA ALLA SCUOLA MEDIA? UNA SCELTA LEGITTIMA
A chi chieda conto dell’opportunità di istituire il laboratorio di
filosofia e ponga la domanda: “E’ una carta da giocare ?”
E’ dovuta una risposta immediata ed essenziale.
“Sì, la posta in gioco è alta, ma i risultati ci sono e possono essere
colti anche da chi, come noi insegnanti, è abituato a ricavare da quanto
fa, solo piccoli, impercettibili riscontri e per giunta sulla lunga durata.
Lo confermano anche le reazioni degli alunni e gli argomenti con cui essi
commentano il loro vissuto”.
“Ma ne vale la pena?” potrebbe ancora insistere qualcuno. “Sì,
se si accetta un terreno di gioco generalmente sconosciuto alla scuola,
che può però attirare insegnanti e alunni disposti ad accettare regole
e compiti nuovi”.
A titolo esemplificativo è utile riflettere sul funzionamento e gli esiti
dell’“atelier philo” avviato l’anno scorso in una
prima media e continuato quest’anno con gli stessi alunni.
Prima di esplicitare gli argomenti d’ordine pedagogico e didattico,
per chiarire la natura, la portata e la ricaduta di tale attività, è bene
riservare un po’ di spazio all’analisi del ruolo e del grado
di coinvolgimento dell’insegnante nell’organizzazione, nella
conduzione e nella valutazione del laboratorio.

Occorre innanzitutto precisare
che chi decide di attivarlo lo fa per mettere al centro della scena i
ragazzi, per offrire loro la possibilità di interrogarsi su problemi d’ordine
etico - esistenziale in modo libero e personale attraverso le modalità
comunicative a loro più congeniali.
L'insegnante, "meneur du jeu", accetta di farsi carico della
raccolta e della lettura dei dati, (registrazione e trascrizione degli
interventi; lettura, analisi e classificazione del contenuto e della forma
delle singole affermazioni; valutazione complessiva del livello di trattazione
dell’argomento e delle modalità espositive; valutazione dei progressi
cognitivo-linguistici dei singoli alunni) operazioni che richiedono un
tempo e un impegno di lavoro decisamente maggiori rispetto a quelli della
programmazione.
Seguire l’evoluzione e gli esiti degli incontri vuol dire per l’insegnante
vivere una duplice implicazione: una, centrata sull’osservazione
e il controllo degli aspetti tecnici - organizzativi, l'altra più attenta
alla rilevazione dei difformi, a volte sorprendenti meccanismi dell’interazione:
silenzi, suggerimenti, pause, riprese, interruzioni...
Nella fase finale, sulla base dei dati raccolti con le osservazioni e
le registrazioni, egli valuta il raggiungimento degli obiettivi, l’acquisizione
delle competenze logiche e critiche e lo sviluppo di quelle linguistiche
ed espressive.
Dall’esperienza condotta l’anno scorso e ancora in atto, è stato
possibile registrare un significativo sviluppo delle competenze comunicative,
un sensibile potenziamento della capacità di ascolto e di concentrazione
ed un lento ma progressivo consolidamento della capacità di esemplificare,
di formulare pensieri e definizioni, di elaborare valutazioni e confronti.
E’ quindi legittimo affermare che l’“atelier philo”
ricopre una funzione davvero fondamentale nella formazione intellettuale
e comunicativa dei ragazzi. L’approccio e la trattazione di problemi
“aperti” riattiva la naturale inclinazione degli studenti a
porre e a porsi quesiti.
La scuola, che tende gradualmente ad affievolire o - addirittura - a spegnere
tale curiosità, può in parte recuperare l’attitudine ad interpellarsi
direttamente sugli aspetti più complessi e misteriosi dell’esistenza,
promuovendo iniziative, come appunto il laboratorio di filosofia, capaci
di stimolare i ragazzi, dispensandoli dalle troppo sollecite risposte
degli insegnanti o dalle altrettanto facili e semplificatorie schematizzazioni
dei mass media.
In queste situazioni il pensiero dei ragazzi si dipana naturalmente: essi
percepiscono di muoversi su un terreno nuovo, sgombro dagli abituali dispositivi
scolastici, e di esprimersi liberamente, senza alcun vincolo di codice
o di registro. Scatta per loro una implicazione totale, un “plein
emploi de l’intelligence générale” secondo la felice espressione
di Edgard Morin.
Trattasi di una circostanza estranea al normale lavoro scolastico, quasi
sempre basato su pratiche ricorrenti di comprensione - memorizzazione
- rielaborazione, e non su attività propedeutiche all’attivazione
del pensiero divergente. Mentre di solito l’insegnante è dispensatore
di materia di conoscenza, che gli alunni scompongono e ricompongono in
un tessuto di apprendimento più o meno fitto, nel laboratorio di filosofia,
il processo conoscitivo prende le mosse dagli apporti dei ragazzi.
Essi elaborano in uno spazio non contaminato da alcun contribuito magistrale,
i loro pensieri, il loro vissuto: le intuizioni, le affermazioni di ciascuno
si intersecano, si saldano o differenziano.
Come in un alambicco, le rappresentazioni individuali si susseguono in
un imprevedibile e appassionante confronto e, progressivamente per graduale
decantazione, si trasformano in una costruzione mentale nuova, proprio
come avviene in una lenta ed accurata azione di distillazione.
In questo caso è possibile parlare di atti di pensiero, di costruzione
mentale collettiva, avente valore in sé e per sé ma anche riflesso speculare
della comune cultura d’appartenenza degli studenti.
L’“atelier philo” è infatti la restituzione ampia e variegata
delle opinioni, delle credenze, dei dubbi ma anche delle scelte e dei
valori prodotti dai contesti familiari, sociali... I ragazzi elaborano
idee, esaminano problemi, affrontano e dibattono a partire da un sistema
di proiezioni personali ma anche da un ampio repertorio di saperi, che
il mondo rimanda loro e alla cui forza di persuasione e di condizionamento
sono sottoposti.
E’ sicuramente importante che la scuola, motrice d’informazione
e di ricerca, dispensatrice di indirizzi e strumenti, offra agli alunni
reali occasioni di confronto, attraverso le quali, e in modo autonomo,
essi imparino a misurarsi con la loro capacità di pensare.
Il pensiero in tale contesto è prodotto e non strumento di conoscenza
e i ragazzi, consapevoli del fatto che dispongono di un margine di iniziativa,
sfruttano al meglio la loro capacità di fornire contributi personali e
di individuare soluzioni originali.
Occorre dunque riflettere sui modi per mettere a profitto le acquisizioni
e le competenze sviluppate all’interno del laboratorio saldandole
a quelle delle altre attività scolastiche.
L’obiettivo prioritario di chi voglia condurre quest’esperienza
è quindi riuscire a trasferire la motivazione, il coinvolgimento e l’esercizio
di alcune specifiche abilità, in altri ambiti di ricerca inserendo così
l’“atelier philo” in un contesto d’apprendimento multiforme
e specializzato.
Molti sono i campi d’indagine aperti dalla pratica dell’atelier
philo; all’insegnante che li conduce, il compito di scegliere quali
studiare e dotarsi degli strumenti necessari per individuare nuove piste
di lavoro e più consolidate strategie d’intervento.
L’esperienza maturata in questi anni insegna tuttavia che il lavoro
d’équipe facilita il confronto sui punti problematici e permette
l’individuazione di criteri d’interpretazione più attendibili
e l’elaborazione di una casistica complessiva.
Invito! |
Tutti coloro che fossero interessati a ricevere informazioni
più dettagliate sulla metodologia e la gestione degli Ateliers philo
e dei Conseils de classe potranno confrontarsi con gli insegnanti
sperimentatori durante un incontro ipotizzato per il mese di maggio
2002.
Per conoscere data e luogo di tale incontro, rivolgersi al GVEN
Tel: 0165/236466
E-mail: gven.ao@libero.it |
Serenella Brunello
Laureata in Materie Letterarie presso l’Università
Cattolica di Milano. Insegnante alla Scuola media di St-Vincent. Distaccata
dal 1991 al 1997 presso il Servizio Ispettivo Tecnico in qualità di
coordinatrice dei Progetti
Bilingui nella Scuola media. Formatrice per l’insegnamento della
Storia, dell’Ed. Civica e dell’Éducation au Patrimoine. E’
membro del Consiglio Scolastico Regionale e del Direttivo del GVEN (Groupe
Valdôtain d’Éducation Nouvelle).
Sandra Scafandro
Insegnante di Scuola
elementare.
Formatrice in Educazione alla pace e gestione dei conflitti, titolo
conseguito presso il Centro Psicopedagogico per la pace di Piacenza.
E’ membro del Direttivo del GVEN.
Bibliografia
Lipman M. (1991), Thinking
in Education, traduit en français sous le titre
À l’école de la pensée, De Boeck, 1995
Gareth, Matthews, Harvard (1980), Philosophy and the Young Child, et Dialogues
with Children, 1984, où sont retranscrites les discussions des enfants.
Poucet B. (1999), Enseigner la philosophie. Histoire d’une discipline
scolaire, 1860-1990, Paris, CNRS.
Houssaye J. (1988), Pratiques pédagogiques, Berne, Peter Lang.
Houssaye J. (1999), Éducation et philosophie. Approches contemporaines,
Paris, ESF.

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