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Mi è capitato, forse con maggior frequenza quest'anno, di visitare tanti paesi di montagna, sulle Alpi e sull’Appennino. Uno degli indici di vitalità di ciascuna delle comunità visitate è sempre stata la presenza o meno di una scuola, perché questo è il primo indicatore della natalità. I "tagli", resi draconiani da passate Finanziarie dello Stato, hanno agito pesantemente sulle zone montane, che lamentano giustamente un progressivo contrarsi della presenza dei servizi pubblici. Un mortificante stillicidio - scuola, sanità, trasporti, telecomunicazioni, poste - che rischia di trasformare la piaga dello spopolamento nel dramma finale della desertificazione.
Solo l'autonomia speciale ha salvato i valdostani da una serie di misure che avrebbero penalizzato le nostre vallate e i piccoli comuni che "presiediano" il nostro territorio. Ma questo non vuol dire affatto non porsi il problema nel contesto italiano e in quello europeo, dove oggi mi trovo a lavorare dall'interessante punto d'osservazione del Parlamento europeo.
La scuola, infatti, resta, per gli Stati membri, una competenza da tenersi stretta nella logica comprensibile, ma ormai vecchia, dello Stato-nazione. L'integrazione europea, invece, incarna due logiche valide anche per la scuola: una spinta europea che tende ad abbattere le frontiere nella scuola, nella formazione, nelle professioni e innesca una sana competitività fra i sistemi e, in secondo luogo, una crescente attenzione verso la necessità di mantenere l'originalità dei livelli regionali, transfrontalieri e alle similitudini territoriali.
Nel "caso valdostano" ci siamo perfettamente in questi ambiti e l'appartenenza al mondo della montagna corrisponde ad una serie di problemi che possono così essere enumerati.
Anzitutto il fatto che le zone montane, da noi sulle Alpi come in larga parte del mondo, racchiudono la presenza di minoranze linguistiche o nazionali ovvero di culture particolari da tutelare e valorizzare. In secondo luogo, la montagna racchiude mestieri, savoir-faire, conoscenze legati al territorio, che obbligano anch'esse ad un approccio differenziato.
Diamo ora discontinuità al discorso. Cos'è la scuola per i valdostani? Direi, a caldo, le radici. Basta leggere la storia delle scuole di villaggio, commovente e assieme efficace. Basta guardare l'architettura delle scuole costruite nei primi dell'autonomia per capire non solo il gusto di inserirle nell'ambiente, ma anche la scelta di spendere lì i pochi soldi che c'erano.
Bisognerebbe scrivere la storia di chi lasciava il suo paese per il Piccolo Seminario o per il Convitto Chabod o le storie di pendolarismo verso Aosta ed Ivrea di tante generazioni, così come, in controluce, si potrebbero vedere quelle storie minori delle "nostre" Superiori: il Classico, lo Scientifico, il Manzetti e tutti gli altri. Sarebbe bello scavare nelle storie che portarono alla scrittura delle norme statutarie sulla scuola e poi - alcune cose le ho vissute - le norme statali e il loro coordinamento con la nostra Valle.
Ma poi ci sono le persone e i loro volti. In passato nei Messager Valdôtain c'era l'elenco di tutti gli insegnanti della Valle. Un piccolo mondo antico, che ancora vive fra memorie e ricordi nel cuore di tutti noi e magari certi aneddoti, in Valle più che altrove, alimentano le serate nostalgiche dei coscritti.
La scuola, insomma, non è un prodotto astratto delle leggi e dei sistemi educativi, ma una materia vivente che, di questi tempi, osservo nella fatica quotidiana dei miei bambini - nella scuola di villaggio di Moron - dove generazioni di bambini hanno imparato a mettere in fila le lettere e a ripetere la sequenza dei numeri. Ora, invece, è tempo di nuove tecnologie e forse questa rivoluzione informatica e telematica, assieme all'apprendimento plurilingue, può diventare la sfida dei prossimi anni, applicata a quel piccolo numero di nostri studenti, un campione delicato come i fiori di campo. O meglio, d'alpeggio.

Luciano Caveri
Deputato al Parlamento Europeo
Presidente del Comitato Italiano dell’Anno Internazionale delle Montagne 2002

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