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Intervista a Enrico Camanni
In passato e anche ora
che dirigi LAlpe, quale contatti o rapporti hai avuto con il mondo
della scuola? In che modo pensi che la scuola tenga conto delleducazione
alla "montagna?
A pensarci bene, in circa venticinque anni di attività giornalistica,
ho avuto ben pochi contatti con il mondo della scuola. Ho fatto quattro
o cinque chiacchierate nelle scuole medie e nei licei, ma prendendo spunto
dai miei libri sulla Grande Guerra (La guerra di Joseph) e sulle
Alpi (La nuova vita delle Alpi): sono state esperienze interessanti,
ma isolate.
Credo che la scuola vada sensibilizzandosi alla montagna man mano che
ci si avvicina alle valli (Valle dAosta, Valtellina, Trentino, Sud
Tirolo) e diventi completamente insensibile nelle grandi città. Lì occorre
la mediazione di qualche insegnante particolarmente attento e coinvolto,
che inviti degli esperti da fuori come è capitato a me. Nella cultura
italiana in generale, e in quella scolastica in particolare, manca quasi
completamente lidea che lItalia è un paese fatto prevalentemente
di montagne e che, per quanto riguarda le Alpi, nessun altro paese europeo
può vantare un simile arco di montagne. Nemmeno la Svizzera.
Noi ci consideriamo ancora un popolo di santi e navigatori, anche se non
è affatto vero. Per qualche oscura ragione la montagna continua a essere
abbinata al mondo del passato, al territorio della nostalgia, anche se
la città è salita in montagna ormai in molte vallate, con gli effetti
più o meno devastanti che abbiamo sotto gli occhi. Credo che la questione
si colleghi a due problemi fondamentali, che sicuramente influenzano anche
il mondo scolastico e pedagogico in genere: il problema ambientale e quello
delle culture minoritarie.
Ho notato che la montagna viene recepita e compresa là dove il sentimento
della natura è ancora qualcosa di autentico, di vissuto, per vicinanza
storica e geografica. Diversamente diventa un universo lontanissimo, astratto,
paradossalmente più "innaturale" di Internet e della nostra
società informatica, là dove lambiente naturale non fa più parte
dellorizzonte quotidiano. Ma ancora più subdolo e complesso è il
rapporto tra i ragazzi e una cultura per esempio quella alpina
che viene recepita come sottomessa e perdente rispetto a quella
della città. Allora sembra di parlare di un mondo perduto come quello
delle riserve indiane, e non di una possibilità di elaborazione intellettuale
ed economica alternativa a quella consumistica delle pianure. Mancano
quasi le "parole per dirlo".
Qual è la tua idea di
"montagna" da proporre ai giovani? In che misura può essere,
per loro, maestra di vita e di valori?
E una faccenda complicata, perché la montagna diventa maestra
di vita là dove propone valori oggi impopolari come la sobrietà, la lentezza,
la "naturalità", la liberazione dallautomobile, eccetera.
Sono convinto che tali valori abbiano un grande futuro davanti a loro,
proprio per le nuove generazioni, ma è molto difficile trovare il modo
di proporli ai giovani oggi senza passare per conservatori
e retrogradi. Probabilmente è soprattutto un problema di linguaggio: se,
accantonando ogni approccio moralistico, si riuscisse a girarli in positivo
(non come vettori di povertà, ma di ricchezza) il gioco sarebbe fatto.
Eppure è ancora un tentativo molto arduo, perché i ragazzi vengono bombardati
quotidianamente da valori (o disvalori) contrari, anche se mi pare
la scuola fa molti sforzi per passare messaggi positivi. Ci vuole
del tempo, bisogna insistere e avere fiducia nella capacità visionaria
di chi non è ancora inserito nei processi produttivi e che spesso
per la verità sembra più conformista dei quarantenni o dei cinquantenni.
Secondo te, come presentare
ai giovani la crisi culturale delle Alpi e come affrontare il concetto
di sviluppo sostenibile?
Credo sia difficile proporre la crisi delle Alpi a chi non ne ha vissuto,
almeno di striscio, la ricchezza passata. E un po come spiegare
che si muore di fame a chi ha troppo da mangiare. Invece mi pare si possa
partire dalla crisi dellattuale modello di sviluppo, che i ragazzi
hanno tutti i giorni sotto gli occhi. Si può insegnare loro che il nostro
pianeta dispone di risorse limitate, che gli errori di oggi possono compromettere
per sempre la vita di domani, che il "tutto e subito" arricchisce
forse una generazione ma impoverisce tutte quelle che seguono. Le Alpi
sono un laboratorio esemplare di questo, con fenomeni simbolici come lo
scioglimento dei ghiacciai, limpossibilità di unagricoltura
intensiva, le contraddizioni del turismo di massa che cannibalizza la
risorsa stessa da cui trae sostentamento: la qualità ambientale. Sulle
Alpi è tutto più chiaro e percepibile.
Valgono ancora, pedagogicamente
parlando, i temi dello spopolamento dei "Vinti" di Nuto Revelli?
Quale uso può essere raccomandato per le testimonianze dirette?
Il "mondo dei vinti" ha rappresentato una tappa fondamentale
nel processo di denuncia e sensibilizzazione, ma credo che oggi bisognerebbe
provare piuttosto a parlare di "mondo dei vincenti". Bisogna
ritrovare lorgoglio della diversità, della ricchezza interiore,
dellautonomia da un mondo falso e omologato. Ciò non toglie che,
sul piano didattico e formativo, le testimonianze di chi quasi
tutti vecchi, ormai ha vissuto le gioie e le difficoltà della cultura
contadina restino una grande opportunità per i giovani. Lattuale
generazione scolastica è forse lultima che potrà beneficiare di
queste testimonianze dirette: mi sembra doveroso approfittarne, specie
in zone privilegiate come la Valle dAosta dove il divario tra città
e montagna non è ancora così marcato.
Valgono ancora, sociologicamente
parlando le distinzioni tra cittadini e popolazioni locali nella frequentazione
della montagna?
Il problema non è più, come un tempo, che i ragazzi di montagna hanno
meno risorse di quelli di città. Semmai è lopposto: troppi soldi
e poca cultura, unindigestione di beni senza gli strumenti per digerirli.
Anche in questo i ragazzi di montagna e quelli di città si assomigliano
sempre di più, tanto da rendere obsoleta la definizione stessa di "montanaro".
Ecco un altro punto cruciale: valligiani disillusi che prendono la strada
della città e non tornano più indietro; cittadini idealisti che decidono
di salire in montagna per rilanciare vecchie attività con idee nuove,
beneficiando anche delle tecnologie computer e modem che
riducono i tempi e le distanze. Sono forse più "montanari" questi
pionieri che scelgono di vivere in un ambiente difficile spinti da una
forte motivazione etica ed ecologica, o i nativi che non hanno scelto
di venire al mondo nel chiuso di una valle e dalletà della ragione
non sognano altro che scappare via? Si è montanari per nascita o per vocazione?
Credo che nel prossimo futuro, per il bene delle persone e per il bene
dellambiente alpino, si sarà sempre più montanari per scelta. Tanto
più la montagna sarà capace di comprendere la cultura globale reinterpretandola,
tanto più la montagna sarà padrona di sé. Naturalmente non penso a chi
imita acriticamente lo stile di vita urbano e non fa altro che estendere
le patologie della città alla montagna. Penso al montanaro consapevole,
che ha sperimentato i benefici e i limiti del modello urbano, e che sulle
Alpi sogna di tentare nuove vie: lagricoltura biologica, lallevamento
a misura duomo e di animale, la sobrietà dei consumi, la qualità
dellabitare, una felicità "sostenibile".
Non penso all"eremita tecnologico" che si isola in una
centralina computerizzata per lavorare fuori dal mondo (molte esperienze
di questo genere, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, hanno dimostrato
che lautomazione accresce la solitudine fino a soglie inaccettabili).
Penso a donne e uomini sufficientemente colti e sufficientemente creativi
per unire tradizione e innovazione, esperienza di ieri e tecnologia di
domani, gusto per il bello che è stato e il bello che sarà.
Enrico Camanni
Giornalista e alpinista.
Ha fondato il mensile Alp nel 1985 e oggi dirige la rivista internazionale
LAlpe. Ha pubblicato numerosi saggi sulla letteratura e la storia
dellalpinismo e uno sulla geologia delle Alpi. Da Bollati Boringhieri
è appena uscito il suo libro La nuova vita delle Alpi. Ha scritto anche
due romanzi storici: Cieli di pietra e La guerra di Joseph.
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