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Di chi sono le parole a scuola

"Il linguaggio non serve come espressione di un pensiero già bello e pronto. Il pensiero, trasformandosi nel linguaggio, si riorganizza e si modifica. Il pensiero non si esprime ma si realizza in una parola". Vygotsky, Pensiero e linguaggio, p. 336.
Non conoscevo questo testo, quando, adolescente, con la testa e la bocca piena di parole, cercavo il confronto con chiunque e mi costruivo il mio universo di riferimento, affastellando frasi ascoltate, rubate, intuite, fraintese. Ascoltavo, ripetevo, riformulavo, traducevo, domandavo e chiedevo, credevo di non fare, come tutti, a volte, avevo solo la sensazione di perdere il mio tempo.
In realtà con le parole stavo ponendo le fondamenta alla capacità di orientarmi nel mondo e di decodificare i suoi messaggi. Dice ancora Vygostky: "abbiamo visto che la relazione tra pensiero e parola è un processo vivente di nascita del pensiero nella parola"... "il legame della parola col pensiero non è dato una volta per tutte, compare nel corso dello sviluppo e si sviluppa con esso", p. 395. Le parole dette o ascoltate, allora, non sono fuggite, ma hanno strutturato le categorie che ancora oggi mi guidano nell’azione e nella riflessione.
Ma non solo nei momenti di libera interazione con gli altri i giovani organizzano e creano le proprie conoscenze, anche durante le attività scolastiche questo, qualche volta, avviene (meno male!). Non sempre, però, in risposta lineare ad un nostro intervento, la tranquillizzante sequenza causa-effetto non è l’unica possibile. Ed è proprio durante le molteplici interazioni verbali che vengono scambiate a scuola che i nostri alunni producono pensieri e costruiscono sapere e noi insieme a loro. I messaggi orali, così apparentemente fragili e aerei, meno strutturabili e strutturati dei testi scritti, risultano, al contrario, più organizzatori ed incisivi nelle fasi dell’apprendimento attivo. Affinché si realizzino condizioni ottimali di comunicazione e di costruzione di senso "è però necessario che l’insegnante conosca le variabili che intervengono nella situazione comunicativa, vale a dire chi parla a chi; di che cosa parla; perché parla; gli interlocutori, l’argomento, il compito; e poiché la comunicazione in classe è in buona misura eterodiretta, un’ulteriore importante variabile è quella del ruolo assunto dall’insegnante stesso" (Daniela Bertocchi, Vademecum di educazione linguistica, a cura di Dario Corno, La Nuova Italia, p. 72). E che gli insegnanti siano coscienti, riflettano e cerchino di tenere sotto controllo le modalità comunicative in classe è testimoniato dalle pagine di questo numero della rivista, per costruire il quale abbiamo riflettuto insieme sullo spazio e la funzione attribuiti all’orale nei diversi gradi di scuola e nelle diverse discipline, orale come strumento della costruzione dei saperi, in particolare, non come strumento della comunicazione regolativa.
"L’azione educativa centrata sullo sviluppo dei bambini, diretta a produrre un cambiamento concettuale rispetto alle conoscenze di partenza, richiede innanzitutto che l’adulto accetti le idee dei bambini per trasformarle in oggetto del discorso, costruendo così una conoscenza condivisa tra i partecipanti all’interazione. Avvicinandosi al modo di pensare degli alunni, l’insegnante non li guiderà più su di un percorso precostituito nella sua mente di adulto, ma tenderà a favorire in loro l’elaborazione di un processo cognitivo che li porterà ad appropriarsi di nuove conoscenze" (La comunicazione, modelli teorici e contesti sociali, Bruna Zani, Patrizia Selleri, Dolores David, p. 177). Sorvegliare le interazioni verbali, restituire le parole agli alunni, creare gruppi di lavoro tra pari dove la comunicazione circoli liberamente e nasca nuova conoscenza intorno ad un tema sono azioni didattiche poste al cuore del lavoro disciplinare, che per la loro valenza euristica sono profondamente educative. Un insegnante, che si pone come organizzatore di comunicazione, consulente e sistematizzatore della conoscenza costruita dal gruppo, non solo contribuisce a far crescere il sapere dei suoi alunni, ma soprattutto, allontanandosi da modelli impositivi anche per quanto riguarda i contenuti disciplinari, e praticando un rispetto profondo dei tempi e delle competenze di tutti, realizza spazi di apprendimento democratico e consente l’esercizio dello spirito critico. Forse che a scuola le parole che contano sono solo quelle dell’insegnante?

Giovanna Sampietro

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