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Tanti tipi di parlato nell'era di Internet
La particolare
'mobilità' che caratterizza, oggi, lesprimersi in italiano, e la
progressiva autonomia del 'parlato' rispetto allo 'scritto', spingono
gli studiosi ad approfondire la questione più generale dell'oralità'.
Il parlato è mobile
Ponete di dover svolgere
il compito seguente. Vi è stato chiesto di "ammodernare" la
traduzione dei dialoghi di Via col vento. Siete nella parte finale
del film quando Rhett è ormai deluso da Rossella e ha deciso di andarsene
per sempre. Siamo sulla porta della lussuosa abitazione. Il problema è
come rendereste oggi il "Francamente me ne infischio" con cui
Rhett si sottrae alle domande di Rossella sul suo futuro? Lo lascereste
o lo cambiereste, oggi?
Non è un problema semplice e coincide con la nostra sensibilità non solo
per la bella o per la brutta lingua, ma per la questione più generale
delloralità oggi. Oggi infatti loralità è cambiata perché
sono contemporaneamente cambiate molte altre cose. Fra le tante una coinvolge
direttamente litaliano. Quando le persone facevano la fila per vedere
il film di David Selznick (era limmediato dopoguerra, il 1949),
litaliano non cera ancora nel nostro Paese almeno a stare
alle statistiche che confermano come la maggioranza dei cittadini nelle
nostre regioni parlasse allora dialetto.
Oggi i dati sono diversi e litaliano è entrato nelle abitudini linguistiche
quotidiane anche se si tratta di una lingua molto diversa, mistilinguisticamente
disponibile ad accettare termini e modi di dire esterni. Ma è soprattutto
diversa la disponibilità delle nuove generazioni - di bambini e di adolescenti
- verso loralità. A questo riguardo, qualche studioso - ad esempio
Walter Ong - ha parlato di "oralità secondaria" proprio per
intendere un tipo di oralità in cui si mescolano elementi di varia natura,
quella sorta di "oralità scritturale" così trionfante nei messaggini
che tende alla brachilogia e al pensiero scarsamente pianificato. Qualcun
altro ha dipinto con felice sintesi questo stato di cose proprio in riferimento
alla nostra lingua:
"Facciamo un passo
indietro. Anni Settanta. La situazione fotografata dai linguisti è molto
chiara: presenta una lingua articolata in più varietà, ciascuna delle
quali ha le sue caratteristiche, il suo ambito d'uso, i suoi utenti privilegiati.
C'è l'italiano aulico, per le grandi occasioni, monopolizzato dai "parlatori
ufficiali" (le autorità, gli accademici, gli alti burocrati), e c'è
l'italiano popolare', monopolio incontrastato dei ceti inferiori;
c'è l'italiano regionale veneto e c'è l'italiano regionale sardo, c'è
il registro formale e quello colloquiale, e così via. [...] Anni Novanta.
Il repertorio linguistico italiano sembra sempre più aggrovigliato. Varietà,
stili e registri si incrociano, si sovrappongono, coesistono a volte nello
stesso discorso. Nessuna pertinenza sociolinguistica è più sicura"(1).
E oggi, nel nuovo millennio?
Limpressione è che il tratto di "aggrovigliamento" individuato
da Alberto A. Sobrero si sia stabilizzato disegnando nel contempo nuove
abitudini linguistiche (ad esempio riferitevi sempre al problema
di traduzione iniziale -, con una larghissima diffusione di quello che
qualche anno fa si sarebbe definito "linguaggio triviale").
Parlare è dire?
La situazione linguistica
delloralità nel dopoguerra è dunque segnata da una particolare mobilità
che pare contrassegnata da un tratto culturale di tipo generale: la progressiva
autonomia del "parlato" rispetto allo "scritto" nel
senso che non è più la lingua scritta (di stampo tradizionale, diciamo
"letteraria") a fornire i modelli di buon comportamento linguistico.
Dietro alle nuove modalità di comunicazione sta invece un mescolamento
impressionante dei registri linguistici semplicemente perché sono aumentate
in misura considerevole le occasioni per parlare e perché la regina dei
media (la tv) tende a diffondere nelle nostre case una cultura decisamente
e schiettamente "oraleggiante". A questo si aggiunga la disponibilità
di Internet per un tipo di inglese molto orale - una sorta di lingua scritta
per essere parlata senza voce - e per la comunicazione molto "spezzata"
come quella delle chat.
Se ora ci trasferiamo nella scuola, l'educazione linguistica ha tenuto
conto di questi mutati parametri comunicativi? Si insegna nelle scuole
a tener conto di questa vivacità "orale" (o "oraleggiante")
di fondo della nostra cultura? La sensazione è che si debba rispondere
di no: l'educazione linguistica è saldamente centrata sullo scritto (a
parte ovviamente poche e segnalate eccezioni) e su una cultura molto "a
test" (si pensi alle prove a risposta multipla
). Paradossalmente
gli studenti parlano poco a scuola.
Benché nella scuola si sia diffuso un atteggiamento grammatical-linguistico
che tende didatticamente verso le abilità, la sensazione è che si discuta
ancora molto poco delloralità e soprattutto manchi un atteggiamento
grammaticale (di tipo "retorico", ma nel senso buono della parola)
verso il "parlare". In più sul parlato permane una certa confusione
terminologica, visto che si continua a pensarlo come a una "abilità".
In realtà, parlare non è un'abilità, ma una specifica modalità semiotica,
cioè un modo del tutto particolare(2) di gestire la lingua "in presa
diretta": quando si parla, si parla sempre in un contesto e in una
situazione concreta, per cui il parlato intercetta più codici contemporaneamente,
da quello visivo a quello prossemico, da quello gestuale a quello linguistico-verbale.
In breve, quando si parla, il gesto, lo sguardo e le "cose"
presenti nell'evento comunicativo fanno sentire tutto il loro peso nell'organizzazione
delle informazioni. Per provarlo, ecco alcuni esempi(3) di studenti che
stanno rispondendo ad alcune domande sui loro gusti musicali:
(1) Bennato mi piace
per come canta e anche come spiega le canzoni [e cioè per il contenuto
dei suoi testi].
(2) Mi piace la musica sia classica che moderna [pausa] la
classica è razionata. Cioè alcuni tipi sì e altri no. Cioè alcune musiche
quelle che risaltano subito.
(3) Mi piacerebbe sapere di più dove abito [e cioè studiare di
più la geografia e la musica del paese in cui si vive e non di altri].
(4) A me piace le musiche che hanno [pausa] ma anche le musiche
di Baglioni mette delle belle parole.
Al di fuori di qualsiasi
ragionevole dubbio, questi esempi indicano che il parlato dovrebbe essere
introdotto nell'educazione linguistica per svariate ragioni, sia di tipo
linguistico, sia di tipo più cognitivo e didattico. È che il parlato presenta
alcune particolarità che potrebbero esser rese oggetto di lezione.
Gli esempi dimostrano qualcuna di queste peculiarità del parlato: la sua
frammentarietà (come in 2), il mutamento di progetto discorsivo (come
in 4), l'errata contestualizzazione dei lessemi (come in 1, 2 e 3) e in
genere l'alto tasso di "implicito", e cioè di conoscenze date
per "note" (presenti un po' in tutti gli esempi considerati).
Ma come provvedere a rendere i discorsi meno frammentari, i progetti discorsivi
più sicuri, la contestualizzazione più adeguata e l'implicito meno presente?
Benché si tratti di problemi che sembrerebbero riguardare più il "parlare"
come abilità che non il parlato, un'ipotesi è che queste 'difficoltà discorsive'
si presentino anche perché manca una consapevolezza dei tratti caratteristici
del parlato, in quanto tale. Probabilmente è l'estrema "mobilità"
linguistica del parlare attuale (e dell'italiano contemporaneo) a rendere
gli studenti meno sensibili alle ragioni del contesto e della lingua (per
parlare basta "dire" e non è dunque necessario avere una visione
'pianificata' dei discorsi).
Parlare del parlare
Potrebbe essere una soluzione
introdurre la "grammatica del parlato" a scuola(4)? Forse. Ma
di sicuro una "grammatica" del genere dovrebbe almeno contenere
i tratti più specifici del parlato: (a) la presenza di segnali discorsivi
(tipo allora, dunque, cioè, eh sì eh, no?, vero?, ascolta, asco',
praticamente no, ecc.), (b) i vari elementi di legame con il contesto
(tipo i pronomi dimostrativi e personali, gli avverbi di luogo e di tempo,
i segnali di gentilezza e cortesia: questo, questo robo, questa cosa,
quel robo lì; qui, là, qua, su, ora, poche volte, certe volte, tante volte;
si immagini, si figuri, ma prego, ecc.) e (c) i tratti lessicali
principali (come l'uso di parole generiche al posto di quelle specifiche;
l'uso di alterati e diminutivi - un attimino, un robino, un posticino,
ecc. -; l'uso di dispregiativi e superlativi - un'oraccia, un momentaccio,
tantissimo, recentissimo, pazzesco, mostruoso, allucinante, stupendo,
grande o l'espressione un casino di + Nome; l'uso di esclamazioni
e di parolacce - perbacco, accidenti, maledizione, cacchio, ecc.).
Naturalmente, una "grammatica del parlato" costituisce la condizione
necessaria, ma non sufficiente, per introdurre al problema più generale
della oralità nellera di Internet. È del resto ben noto che non
sempre la riflessione grammaticale consente un miglioramento globale delle
abilità di base. Per questa ragione, occorrerebbe accompagnare la riflessione
linguistica con un esercizio nel vivo dei "tanti tipi di parlato"
che attraversano l'italiano e la comunicazione contemporanei. In tal caso,
l'educazione linguistica dovrebbe puntare con più decisione su una didattica
della simulazione, cioè su una didattica che crea contesti artificiali
per far sviluppare la capacità di controllo del parlato. Per esemplificare,
basterà tornare a una tecnica della retorica classica, quella della sermocinatio
- raccomandata da Quintiliano nelle sue Istituzioni - per cui
all'apprendista viene richiesto di "imitare" il parlato caratteristico
di determinate figure e di specifici ruoli sociali.
È indubbio infatti che la sensibilità dei più giovani è particolarmente
attenta a cogliere i diversi stili di parlato che attraversano
la comunicazione contemporanea: il parlato professionale (quello
di un medico, di un ingegnere o della preside), il parlato intellettuale
(così tipico di certe trasmissioni televisive...), il parlato trasmesso
(come quello delle telenovelas, dei serial o dei disk-jockey alla
radio, ma anche quello spezzato del telefonino), il parlato colloquiale
dimesso (tipico della conversazione da 'pianerottolo'), il parlato
politico e ufficiale, il parlato famigliare (il cosiddetto
"table-talking", la conversazione a tavola), il parlato
funzionale (quello che si presenta nelle situazioni 'altamente ritualizzate',
come il trovarsi in posta o in banca o il rivolgersi a qualcuno per chiedere
un'informazione), il "parlaticcio" (cioè il parlato
del tutto libero, disinvolto e poco controllato) e molti altri tipi. Su
questi stili di parlato, si possono poi innestare le tecniche dei "giochi
di ruolo" in cui si fronteggiano due o più interlocutori in una situazione
specifica assumendo il ruolo rivestito dai partecipanti (ad es., un medico
e il paziente; un funzionario di banca e il cliente; un presentatore televisivo
e uno spettatore, per telefono; la preside e un alunno; due amici che
discutono di sport; una tipica conversazione "a tavola" e così
via).
Naturalmente si potrebbero sviluppare attività un po più "attuali"
e di tipo multimediale. Un semplice esercizio sarebbe proprio quello di
prendere un film del passato (tipo Via col vento) e vedere di
ammodernare la traduzione e la resa del parlato. Ma forse, per loralità
che tipicamente oggi abita il monitor dei computer e dei telefonini, ogni
occasione che consenta di parlare del parlato migliora il nostro modo
di parlare. Purché se ne parli.
Dario Corno
Insegna grammatica Italiana all'Università
del Piemonte Orientale. Si occupa in particolare di abilità linguistiche
e di scrittura, temi sui quali ha scritto numerosi saggi e volumi, tra
cui La scrittura, Roma, Rubbettino, 1999, e Scrivere e comunicare, Milano,
Bruno Mondadori, 2002.
Note
(1) SOBRERO A. (1992), "L'elegante ipotesi",
in Italiano & Oltre, 1, p. 18.
(2) Si veda il sempre attuale, prezioso saggio di NENCIONI G. (1983),
"Parlato-parlato, parlato-scritto, parlato-recitato", in Di
scritto e di parlato. Discorsi linguistici, Bologna, Zanichelli, pp. 126-79.
(3) Sono esempi che traggo, in parte, da un importante saggio di BELTRANI
M., "La competenza linguistica degli adolescenti: una ricerca sui
quindicenni della Svizzera italiana", in E. LUGARINI e A. RONCALLO
(1992), Lingua variabile. Sociolinguistica e didattica della lingua, Scandicci
(Fi), La Nuova Italia, pp. 137-62.
(4) Non posso considerare qui per ragioni di spazio - il senso
del termine "grammatica" applicato al parlato. Mi limito a ricordare
come il parlato sia stato molto studiato nellultima parte del Novecento.
Vorrei ricordare il volume curato da DE MAURO T. (1994), Come parlano
gli italiani, Scandicci (Fi), La Nuova Italia; il pregevole studio di
BAZZANELLA C. (1994), Le facce del parlare: un approccio pragmatico all'italiano
parlato, Scandicci (Fi), La Nuova Italia, l'ottima rassegna di "grammatica
del parlato" fornita da BERETTA M., "Il parlato italiano contemporaneo",
in SERIANNI L. e TRIFONE P. (1994), Storia della lingua italiana. II .Scritto
e parlato, Torino, Einaudi, pp. 239-270; e l'analisi di VOGHERA M.(1992),
Sintassi e intonazione nell'italiano parlato, Bologna, Il Mulino.
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