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I Rom e la scuola

I Rom, una storia caratterizzata dal rifiuto. L'indice di analfabetismo nel mondo zingaro è ancora altissimo, segno che la scuola europea ha fallito. È possibile ottenere una buona scolarizzazione dei giovani Rom solo partendo dal riconoscimento e dalla valorizzazione della cultura di questi alunni.

La scuola europea nei confronti dei Rom ha fallito. I dati sono lì drammaticamente a testimoniarlo: l'indice di analfabetismo nel mondo zingaro è ancora altissimo. Occorre partire da questa drammatica constatazione per migliorare la situazione. Le cause che hanno determinato questa realtà sono molteplici e vanno imputate principalmente alla politica repressiva e di rifiuto della cultura zingara attuata da tutti i governi europei, alla scarsa sensibilità degli enti pubblici per le questioni zingare, alla sfiducia delle famiglie zingare nei confronti della scuola, alle associazioni pro-zingare che traggono profitto dall'emarginazione degli zingari, all'immagine negativa e stereotipata che i Rom hanno nella società.
Fra tentativi ed errori non tutti hanno compreso che prima di far entrare i Rom a Scuola occorre non solo avere una profonda conoscenza della storia e della cultura romani per meglio comprendere di che tipo di scuola i Rom realmente necessitano, ma risolvere problemi più profondi che attanagliano il mondo zingaro da un punto di vista sociale, politico ed economico.
La storia degli zingari e della loro cultura è caratterizzata dal rifiuto e la scuola non ha fatto eccezione. Gli interventi educativi etnocentrici hanno rappresentato un mezzo di assimilazione da parte dello Stato o di conversione cattolica da parte di preti missionari o volontari cattolici che hanno profuso i più significativi sforzi per la scolarizzazione dei bambini Rom; uno sforzo immane tra mezzi inesistenti, freddezza e insofferenza di buona parte del mondo della scuola e l'ostilità degli Enti Pubblici che temevano la scolarizzazione dei Rom come motivo di insediamento di zingari nel territorio.
L'insediamento zingaro provoca sempre un grande allarmismo. Ma ancora oggi, nonostante le normative vigenti nei diversi Paesi della Unione Europea garantiscono una scolarizzazione rispettosa dei diritti allo studio e all'identità culturale i risultati scolastici per i Rom sono scadenti. Del resto la cultura educativa intesa alla maniera dei Kaggé (non zingari) è stata profondamente inutile nel mondo Rom sia socialmente perché non aveva nessun prestigio, l'ascesa sociale (intesa alla maniera dei Kaggé) non interessava, sia economicamente perché il successo economico legato alla professionalità scolastica contemplava un diverso rapporto con il lavoro.
Altri fattori che non hanno "stimolato" i Rom a scolarizzarsi sono stati: il nomadismo, i problemi legati alla sfera economica e sociale, le difficoltà d'ambientamento, l'attività assistenzialistica a fini manipolatori delle associazioni pro-zingare (il braccio di controllo dello Stato sugli zingari). Negli ultimi 40 anni i mutamenti più significativi sono stati il passaggio dall'analfabetismo alle classi speciali (classi ghetto) e da queste ultime alle scuole comuni con una percentuale inversamente proporzionale al grado di studi. La frequenza più alta si è registrata nelle prime classi della scuola elementare per diminuire drasticamente nel prosieguo degli studi.
Nonostante queste difficoltà un processo di scolarizzazione nel mondo zingaro è stato avviato. Ma il mondo del bambino Rom che frequenta la scuola non può essere suddiviso a fette, né tantomeno la sua crescita si realizza per sbalzi da un settore ad un altro in tempi successivi l'uno dall'altro; il bambino Rom deve vivere in tutta la sua integrità il magnifico fenomeno dell'essere al mondo, del crescere, del maturarsi in mezzo al mondo, tra gli altri e le cose che sono compresenti con tutta la loro pregnanza e specificità. Spetta alla scuola il diritto-dovere di saper progettare, organizzare, distribuire nello spazio-tempo le proprie proposte onde poter guidare, nella maniera più integrale ed armoniosa possibile, la crescita e la maturazione del bambino che le viene assegnato. Ma, se è ormai indiscutibile la presenza del bambino nella sua totalità, è anche vero ed altrettanto indiscutibile la complessità delle sue manifestazioni in ogni momento del suo esistere: quando parla, quando gioca, quando lavora, quando si muove, quando si esprime... Ed è proprio nella gestione della sua complessità che si gioca il ruolo della scuola, nella sua positività o nella sua negatività.
Tale e grande è la responsabilità della scuola.
Il ruolo dell'infanzia oggi si espande dal chiuso della famiglia al grande palcoscenico del "sociale". Il problema della crescita dei bambini Rom, della loro educazione, del loro essere felici o non, dei loro interessi per ciò che li circonda, non riguarda solo la famiglia e le persone che ruotano intorno ad essa, ma è un grande problema che tocca l'intera comunità sociale.
Gli apporti di varie discipline, da quelle più propriamente mediche a quelle psicologiche, sociologiche, pedagogiche, antropologiche, hanno ben evidenziato la grande importanza di un approccio giusto a questo periodo di vita, rilevandone la prodigiosa potenzialità che fa del bambino non un piccolo uomo in crescita ma un autentico soggetto con proprie caratteristiche, diritti, desideri, bisogni.
La scuola nei confronti degli alunni Rom, nel passato si è posta come ambiente di prevenzione del disadattamento e di recupero, con l'istituzione di scuole e sezioni speciali per gli alunni come se fossero affetti da disturbi dell'intelligenza o del comportamento o da menomazioni fisiche o sensoriali. La scuola copriva con la segregazione le proprie deficienze nei confronti dei Rom.

La totale riformulazione degli Orientamenti, rappresenta un passo significativo per la qualificazione della scuola, che in un'ottica completamente diversa ha accolto nuovi concetti, nuove riflessioni e le tante esperienze maturate in questi ultimi anni.
La nuova scuola si connota di alcune caratteristiche fondamentali:

  1. è la scuola del bambino, quello vero, ricco di esperienze, di potenzialità, di desiderio di apprendere, del bambino soggetto di diritti, dove la personalità infantile va considerata nel suo essere e nel suo dover essere, secondo una visione integrale che miri allo sviluppo dell'unità inscindibile di mente e corpo;
  2. è la scuola delle relazioni, che favorisce rapporti ampi, sereni, stimolanti che coinvolgono tutti, grandi e piccoli, dove l'interazione affettiva rimane il principale contesto entro il quale il bambino costruisce e sviluppa le sue relazioni sociali e i suoi schemi cognitivi;
  3. è la scuola della progettualità che assume l'ottica curricolare alla base della propria impostazione; le caratteristiche del curricolo sono costituite dalla specificità degli obiettivi, dei contenuti, dei metodi, della molteplicità delle sollecitazioni educative e dalla flessibilità nell'applicazione delle proposte programmatiche;
  4. è la scuola che favorisce il rafforzamento dell'identità personale del bambino, che contribuisce in modo consapevole ed efficace alla progressiva conquista dell'autonomia, che consolida nel bambino le abilità sensoriali, percettive, motorie, linguistiche e intellettive, impegnandolo nelle prime forme di riorganizzazione dell'esperienza e di esplorazione e ricostruzione della realtà sia familiare che quella esterna.

Il rinnovamento della scuola trova le sue prime radici con l'istituzione di scuole a tempo pieno, le attività integrative pomeridiane e antimeridiane, con l'obbiettivo di un ampliamento del tempo-scuola, ma soprattutto di maggiori opportunità educative, istruzionali, socializzanti. Nel corso degli ultimi anni le varie normative hanno dato una nuova fisionomia alla scuola nel suo insieme, aprendola ad una gestione allargata al sociale, ridefinendo la funzione del docente, oltre che direttiva e ispettiva, puntando sul diritto dovere all'aggiornamento dei docenti, proponendo occasioni di sperimentazione, prospettando una formazione culturale universitaria per tutti. Ulteriori provvedimenti legislativi hanno poi maggiormente ampliato la sfera di incisività della scuola affidando alla stessa il dovere di provvedere all'inserimento e integrazione di alunni portatori di handicap e alunni zingari fino ad allora isolati, relegati in scuole e classi speciali e differenziali (le classi ghetto segreganti). La riflessione, poi, si approfondiva entrando nel merito della qualità della scuola e della professionalità del docente, ridefinendo il sistema di valutazione degli alunni, prevedendo momenti obbligatori di programmazione delle attività didattiche, apertura delle classi per attività di gruppo, progetti mirati al sostegno di alunni con problemi di svantaggio socioculturale. I risultati di tutte queste iniziative finalizzate ad un cambio qualitativo della scuola venivano raccordati nei nuovi programmi, che, con l'approvazione dei nuovi ordinamenti, completano l'opera di rinnovamento e riqualificazione culturale, istituzionale, professionale della scuola.
Tutti questi passaggi hanno costituito un nuovo volto e una nuova sostanza della scuola:

  1. Scomparsa della figura dell'insegnante "tuttologo", a favore della nuova figura dell'insegnante "qualificato" che svolge la propria opera prevalentemente all'interno di uno dei tre assi culturali portanti che sono stati individuati: linguistico-espressivo, logico-matematico, del territorio in senso ampio.
  2. Scomparsa del docente "unico" a favore di una "pluralità docente": la gestione, l'animazione, la valutazione della classe non è più in mano ad un'unica figura, armata del potere assoluto di fare, disfare, non fare, ma viene affidata ad un team di docenti equamente responsabili delle due classi loro assegnate.
  3. Scompare la "rigidità" della classe a favore della pratica delle "classi aperte" con formazione di gruppi eterogenei di alunni che si ritrovano insieme attorno ad un progetto, ad una attività, ad una esperienza comune.
  4. Scompare la "rigidità" del tempo della scuola a favore di un "tempo lungo" distribuito in precise ipotesi a seconda delle esigenze del territorio e della scuola. Il modello delle 24 ore settimanali è ormai anacronistico" e non è più sufficiente nemmeno per una scuola che svolga un ruolo di trasmissione passiva della cultura.
  5. Cambia la percezione del bambino non più concepito "tutto sentimento, fantasia, intuizione" ma si riappropria del proprio "bagaglio cognitivo", piantando i piedi bene in terra, proteso verso l'utilizzo delle sue potenzialità, indirizzato verso i sentieri dell'autonomia critica e della creatività.
  6. Scompare la cultura ormai "obsoleta" dei programmi per far posto ad una cultura legata "al presente", alle problematiche della complessa struttura sociale, una cultura che si espande attraverso assi culturali su solide basi epistemologiche, scientifiche e metodologiche. Dentro il grande progetto culturale fanno la giusta, doverosa apparizione settori nuovi della conoscenza: la lingua straniera, i linguaggi del corpo, dell'immagine, del suono, dell'informatica, collegando il percorso istruzionale del bambino nella scuola ai percorsi che la scienza, la tecnica, la società tutta sviluppano all'esterno.

Tutti questi fattori hanno contribuito ad innalzare, anche se in proporzioni modeste, il livello di scolarizzazione nel mondo zingaro. Moltissimo ancora si deve fare nei confronti della dispersione scolastica degli alunni Rom.
È compito dello Stato, attraverso i suoi organi politici e amministrativi sostenere il percorso innovativo del bambino Rom che deve essere inserito dignitosamente nella scuola all'interno del ciclo culturale europeo, onde realmente costruire un modello di scuola culturalmente ricco, educativamente completo, istituzionalmente solido, professionalmente aggiornato, socialmente integrato, scientificamente evoluto e proiettato con forza, capacità e caparbietà verso il futuro.
In questi ultimi trenta anni c'è stato un grande interesse della ricerca per la situazione scolastica degli alunni Rom che non sono più visti al negativo per quello che non sanno fare, per le loro inadeguatezze conoscitive, per le strane risposte che danno alle domande degli adulti - ma piuttosto per quello che sanno e che sanno fare valorizzando il loro saper fare in quanto culturalmente diverso, ma non illogico. Un contributo determinante per una tale nuova ottica è venuto dall'aperura all'interculturalità e anche dagli studi dello sviluppo linguistico che hanno mostrato la complessità delle operazioni con cui il bambino impara a destreggiarsi fin dai primi anni, con tutte le dimensioni del linguaggio (fonologia, semantica, morfosintattica, pragmatica), utilizzando informazioni che gli vengono dal contesto sociale in senso ampio.
Il mutamento di prospettiva che si è verificato in questi anni, sullo sviluppo cognitivo sull'effetto dei media e dei processi di alfabetizzazione, è stato quello di cominciare ad interrogarsi sugli effetti che possono produrre sull'evoluzione del singolo le richieste della scolarizzazione, il carattere sistematico della conoscenza, l'uso di nuovi media di trasmissione e comunicazione, la situazione sociale organizzata in cui avvengono gli apprendimenti (la classe, il gruppo, la famiglia), il controllo dei risultati in termini di comportamenti e apprendimenti.

Ma è basilare comprendere e approfondire il giusto e fondamentale concetto di diversità ed attribuirlo come prerogativa unica ad ogni essere umano, in ogni momento della sua evoluzione e della sua crescita. La giusta applicazione di tale concetto in ambito pedagogico e didattico eliminerebbe tutti i problemi che rendono difficile la vita scolastica a moltissimi alunni e non solo Rom.
Offrire al bambino l'opportunità di maturare apprendimenti significativi, conoscere altre culture e altri linguaggi, conseguire autonomia, coltivare la curiosità, stare insieme agli altri per giocare, apprendere, deve solo essere una caratteristica fondamentale della scuola di base. La didattica che discende da tale metodologia non può non avere caratteri comuni identificabili nel contatto col reale, sempre più multiculturale, nella sua conoscenza, nella scoperta dei concetti base di ogni settore del sapere, nell'attività ludica che deve accompagnare ogni apprendimento, nella socializzazione delle esperienze che porti al confronto e poi alla critica rappresentazione delle esperienze attraverso tutti i linguaggi, nessuno escluso... Quanto più il bambino Rom sarà capace di concentrarsi, di responsabilizzarsi, di esprimersi con più canali, di ascoltare e comprendere più linguaggi, di fare, di sperimentare, tanto meno il passaggio dalla famiglia alla scuola, da una scuola all'altra gli sembrerà difficile.
D'altra parte, le riflessioni conseguenti ad ogni tipo di sperimentazione non possono non costituire oggetto di ulteriore riflessione da parte degli organi scolastici preposti per ricavarne quei suggerimenti che poi, in sede politica e legislativa, possano diventare patrimonio comune a tutto il mondo della scuola; ogni sperimentazione, così come in campo scientifico, non può durare all'infinito, né può finire senza alcuna verifica. Se così fosse lo Stato butterebbe al vento molte risorse sia in termini economici che in termini di energie e disponibilità. E il mondo della scuola è costellato di tali sprechi.
Il passaggio dei bambini Rom dalla famiglia alla scuola pone ogni anno una quantità di piccoli e grandi problemi anche in una realtà di modeste dimensioni. Nel contempo cresce l'esigenza di un raccordo tra le due realtà (scolastica e familiare). Date le caratteristiche dell'educazione familiare dei bambini Rom e della loro cultura è necessario un itinerario che valorizzi i linguaggi non verbali all'interno della globalità dei linguaggi. Tale scelta è determinata da più motivazioni:

  • pedagogiche, in quanto viene rilevata l'importanza dello stimolo all'espressione e comunicazione attraverso la globalità dei linguaggi;
  • didattiche, in quanto i linguaggi verbali hanno subito spesso nel corso della storia della scuola una eccessiva valorizzazione a tutto danno dei linguaggi non verbali; di fatto i docenti di scuola elementare hanno tagliato sempre più spazio a tutte quelle attività legate allo sviluppo e potenziamento dei linguaggi del corpo, del colore, del movimento, della danza, del suono, dell'immagine.

Un bambino che si manifesta agli altri con la sua intuizione, la sua fantasia, per farlo utilizza come primo mezzo il suo stesso corpo, fin dal grembo materno. Il suo corpo attraverso i canali sensoriali utilizza più linguaggi e quanto più grande sarà l'orizzonte di tali linguaggi, tanto più potente, incisiva, significativa, gratificante sarà la sua presenza nel mondo lungo tutto l'arco della sua vita.
La famiglia rappresenta il contesto primario nel quale il bambino, apprendendo ad ordinare e distinguere le esperienze quotidiane e ad attribuire loro valore e significato, acquisisce gradualmente i criteri per interpretare la realtà, struttura categorie logiche e affettive, si orienta nella valutazione dei rapporti umani e viene avviato alla conquista e alla condivisione delle regole e dei modelli delle relazioni interpersonali. È estremamente importante quindi la necessità di una cooperazione costruttiva fra la famiglia, la scuola, i mediatori culturali e le altre realtà formative in un rapporto di integrazione e continuità.
Le attività espressive devono porsi come primo obiettivo quello di attivare le motivazioni del bambino Rom all'apprendere in genere e all'uso del linguaggio della musica, del corpo, della danza, del segno e del colore, in particolare, in quanto particolarmente portato all'esperire la realtà interna ed esterna in termini di più linguaggi, verbali e non. Secondo obiettivo è quello di
far acquisire al bambino Rom la consapevolezza della sua identità, della sua diversità culturale in termini positivi.
Le attività espressive creano inoltre condizioni rassicuranti e gratificanti per molti alunni che al primo impatto con la scuola elementare manifestano disturbi conseguenti ad una miriade di cause da ricercare nella sfera familiare, emotiva, sociale, insomma in tutti quei condizionamenti che determina quella selezione negativa nei confronti degli apprendimenti scolastici. A fronte dell'insuccesso di molti alunni Rom nelle attività più formali legate all'apprendimento della lettura e della scrittura, la positiva, piacevole presenza ed operatività nelle attività legate ai linguaggi non verbali è spesso l'anello mancante che può facilitare il passaggio di quelle risposte che tardano ad arrivare e per le quali i docenti spesso sottopongono gli alunni Rom ad una "crudele tortura" nella applicazione in esercizi di dettatura, copiatura…
Numerosi ricercatori ormai da vari anni hanno evidenziato la gravità delle conseguenze dovute ad uno svantaggio socio-culturale di base che si manifestano concretamente sul rendimento scolastico; i bambini Rom dimostrano scarsa capacità di concentrazione e di autocontrollo, mancanza di motivazione all'apprendere e più in generale alla conoscenza, inadeguatezza dello sviluppo linguistico e cognitivo, spesso si evidenzia una sostanziale coincidenza tra svantaggio socio-culturale e linguistico. Se di fronte a tali condizioni i soggetti culturalmente e linguisticamente diversi finiscono per trovarsi male all'interno della scuola fino all'insuccesso, ciò ovviamente dipende dal fatto che la scuola non tiene conto dei loro bisogni e delle loro peculiarità, né si sforza di conoscerli per predisporre su di essi un adeguato percorso di apprendimento.
Sul versante dei comportamenti occorre puntare ad una socializzazione degli stessi docenti che porti alla conquista di modelli comportamentali aperti, disponibili al confronto, alla critica, al cambiamento. Anche nei confronti dei genitori occorre costruire insieme modelli di comportamenti positivi e rassicuranti. È fondamentale coinvolgere le famiglie zingare, sensibilizzarle e soprattutto rassicurarle (la scuola è vista spesso negativamente), per superare la sfiducia che esse nutrono nei confronti della scuola. Occorre lanciare alle famiglie zingare il chiaro messaggio che la scuola non è solo dei Kaggé (non zingari), ma è la scuola di tutti e garantire una maggior valorizzazione della visuale zingara e del modo di porsi di fronte alla vita da parte dei Rom. Infondere fiducia quindi e creare un legame più stretto fra famiglia zingara e scuola anche con l'ausilio dell'attività dei mediatori culturali.
Il successo scolastico degli alunni Rom risiede anche nella risoluzione dei problemi che attanagliano le loro famiglie.
A riguardo l'attivazione di una più stretta collaborazione fra Enti Pubblici, istituzioni, assistenti sociali dovrebbero garantire un inserimento meno traumatico delle famiglie zingare nel tessuto sociale ed economico.

Santino Spinelli
Professore di lingua e cultura romani all'Università di Trieste.
Direttore dell'associazione "Them Romano".
Musicista e poeta Rom.

 

 

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