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Così lontani - Così vicini

Un’esperienza di azione interculturale in Veneto.
Se accogliere significa costruire assieme un percorso di reciprocità che dura nel tempo e permettere un reale scambio tra le parti, “agire” la multicultura diventa una necessità non solo per i ragazzi stranieri, che hanno il diritto di essere accolti, ma soprattutto per i ragazzi italiani, che devono imparare a vivere in una società sempre più complessa e multietnica.

Gioiosa Marca, così viene definito il trevigiano per la dolcezza del suo territorio, per l'abbondanza delle acque, per le ridenti colline su cui corrono filari di vitigni apprezzati e pregiati. Terra di contadini. Tra il 1896 ed il 1900 un quarto della popolazione se n'è andata di qui.
"Merica, Merica" come recita la canzone. L'America era allora il miraggio lontano, la speranza di sconfiggere la fame endemica, la pellagra; la vita si allungava, la natalità era sempre alta, le bocche da sfamare aumentavano e le annate non sempre permettevano cibo per tutti. Nel corso di un secolo: dal 1876 al 1976 il Veneto ha visto espatriare tre milioni di persone. Per gli emigranti non è mai stato facile farsi accettare all'estero per quello che erano: dei lavoratori in cerca di occupazione. Venivano accusati di accettare salari più bassi dei lavoratori locali e di rendersi disponibili nei giorni di riposo.
Quella di oggi sembra una storia analoga ma rovesciata e sicuramente più complessa. Il Veneto è oggi terra di immigrazione. A partire dal 1968 il saldo migratorio è divenuto positivo anche se si può parlare della nostra regione come terra di vera e propria immigrazione solo col finire degli anni ottanta. Treviso ospita ora 25.000 stranieri pari al 3,2% della popolazione locale. La comunità più numerosa è quella marocchina con 5.325 immigrati seguita da quelle albanese, rumena, macedone, cinese, senegalese: un crogiolo di culture e di presenze che si riflette anche tra i banchi di scuola. Molte di queste famiglie, infatti sono arrivate alla seconda generazione ed ora i padri cercano di ricomporre i nuclei o di offrire occasioni di venuta per qualche loro familiare o conoscente così si creano delle catene, a volte note a volte casuali, di invito a raggiungere l'Italia.

ACCOGLIERE I NUOVI COMPAGNI CHE ARRIVANO

Così, non importa in quale stagione o in quale periodo dell'anno scolastico ci sono mattine in cui la porta della classe si apre ed arriva un nuovo compagno o compagna e lì, sulla soglia, si apre un nuovo capitolo di storia della vita del gruppo classe; quale accoglienza per i nuovi arrivati?
Questo è il primo e più significativo momento di passaggio per la comprensione reciproca tra chi già abita qui e chi arriva da lontano. Questo momento è fondamentale alla costruzione di quella relazione di base su cui poggeranno le conoscenze successive, sì, perché accoglienza non è il giro della scuola e la presentazione degli insegnanti il primo giorno; accogliere significa costruire assieme un percorso di reciprocità che dura nel tempo e permette uno scambio tale di conoscenze finché chi è accolto non è in grado lui di sentirsi così sicuro e padrone dell'ambiente da poter fare gli onori di casa ai nuovi che arrivano.

COME ORGANIZZARE LA PRIMA ACCOGLIENZA

Il sorriso e la creazione di un clima di fiducia e serenità sono sicuramente ciò di cui un bambino che arriva in un paese a lui ignoto, tra coetanei che non conosce sente il bisogno ma subito dopo, per poter condividere esperienze con la sua nuova comunità ha bisogno di sapere come muoversi, quali sono le richieste che la scuola gli rivolge, come può sfruttare le sue conoscenze, le sue mappe mentali. Molte scuole hanno strutturato dei percorsi che favoriscano una rete di relazioni e incontri reciproci tra alunno straniero e famiglia. Prenderò, ad esempio, un progetto adottato dalle scuole del Montebellunese che si colloca all'interno dell'applicazione della legge 285/97.
Per ogni bambino/a che arriva senza alcuna padronanza della lingua italiana è prevista la presenza di un mediatore/trice culturale per 18 ore. La figura del mediatore è ormai una presenza consolidata nel nostro territorio. I mediatori lavorano nella maggior parte dei casi con cooperative sociali locali o con organizzazioni di volontariato; hanno la funzione di costruire un ponte, non solo linguistico ma anche culturale e sociale tra scuola, famiglia del bambino immigrato, istituzioni.
La possibilità di condividere la lingua e di poter scambiare, senza mediazioni, problemi ed interrogativi con qualcuno che proviene dallo stesso paese diventa fondamentale nel primo momento di inserimento, quando muoversi in un mondo le cui regole non sono chiare può creare nel nuovo alunno un senso di ansietà o di chiusura o, in taluni casi, una reazione di rifiuto ed incomprensione.
Il mediatore, dunque, è più di un semplice traduttore/interprete; egli mette a disposizione la sua cultura originaria rassicurando chi gli sta di fronte, nel contempo fornisce spiegazioni e consigli che diventano indispensabili per l'inserimento nella nuova realtà. Questo tipo di comunicazione che non riguarda solo il bimbo che arriva, ma tocca la sua famiglia, la scuola, gli insegnanti che con il nuovo alunno/a lavoreranno, le istituzioni che operano sul territorio (Comune, Assistente sociale, Ufficio anagrafe… Biblioteca) è fondamentale sia perché fornisce le comunicazioni oggettivamente necessarie, sia perché riduce l'impatto sociale riducendo il senso di inferiorità di fronte agli ostacoli comunicativi che possono insorgere sul piano istituzionale.
Parte delle 18 ore pertanto vengono spese a contatto diretto con il bambino stesso, parte per strutturare quella rete istituzionale alla quale è affidato il compito educativo/formativo.
Dunque il mediatore culturale incontrerà:

 

• il coordinatore di classe per stabilire come impostare il primo approccio dell'alunno alla scuola (visita ai locali, conoscenza degli orari, delle attività, della Segreteria con relativa modulistica);
• i docenti del consiglio per fornire informazioni sul possibile percorso individualizzato, una volta raccolte le informazioni sulla scolarizzazione di provenienza;
• la famiglia per fornire tutte le spiegazioni circa il funzionamento della scuola, i calendari delle riunioni cui sono chiamati ad essere presenti, le iniziative educative che la scuola promuove; orientarla su scelte opportune di servizi che il territorio offre;
• la classe per fornire un primo supporto anche linguistico all'alunno, seguirlo nella prima ambientazione e conoscenza dei locali e delle loro funzioni, per presentare agli altri alunni il paese di provenienza del loro compagno attraverso temi quali: i giochi, la lingua, la musica;
• il consiglio di classe per verificare alla fine del percorso compreso nelle 18 ore i risultati, l'eventuale prosecuzione, in caso di necessità dell'intervento o momenti periodici di supporto.

LO SVILUPPO SOCIALE DEL TERRITORIO
LO STRUMENTO DEL PIANO DI ZONA

Il piano di prima accoglienza descritto potrebbe far pensare ad un'azione naturale, ad un semplice accordo tra scuola e qualche associazione di volontariato, ma non è così. La sua non occasionalità, il suo divenire diritto/dovere di cittadinanza per la scuola che offre le stesse opportunità di apprendimento a cittadini italiani come a cittadini stranieri è frutto di un laborioso cammino anche normativo giuridico che non ovunque è realizzato e rispettato. Nasce infatti dalla Legge quadro 382/2000 il cui articolo 19 recita "L'approccio integrato alla soluzione di problemi complessi comporta un nuovo patto di solidarietà capace di convogliare risorse umane e finanziarie per lo sviluppo sociale del territorio".
Dunque le leggi regionali, nel nostro caso del Veneto, di riordino del servizio sanitario (L. R. 56/96) si sono incrociate con il Regolamento dell'Autonomia scolastica che al suo articolo 7 recita "Le autonomie scolastiche possono promuovere o aderire ad accordi di rete" nell'intento di aprire una collaborazione territoriale volta a raggiungere nel migliore dei modi le proprie finalità istituzionali e soprattutto a disporre di più mezzi finanziari. Dentro questa cornice istituzionale, da un lato la conferenza dei sindaci ha deliberato le azioni a favore dell'integrazione degli alunni stranieri, dall'altro le scuole si sono consorziate in rete per promuovere momenti di formazione e scambio comuni, per decidere quali accordi stipulare con le Cooperative presso cui lavorano i mediatori culturali, per programmare e pianificare gli interventi, per scambiare materiali didattici. Tra ragnatela e tramatura fitta si muovono senza far notizia decine di operatori e di insegnanti che a dispetto del localismo e delle notizie strillate sulle prime pagine dei giornali sul razzismo veneto, hanno saputo creare nelle scuole un terreno di confronto e di iniziativa culturale molto forte, spesso tornando a chiamare in causa lo stesso territorio fatto di genitori e famiglie che attorno alla scuola gravitano.
La presenza di un numero sempre crescente di alunni stranieri è diventato un pretesto per visitare e conoscere altre culture, per allargare l'orizzonte, per affrontare problemi in modi differenti, per trovare linguaggi in grado di comunicare al di là della lingua di appartenenza, per inventare nuove metodologie scolastiche. Del resto la storia dei viaggi e del commercio ci ha spiegato come per secoli le culture abbiano comunicato sulla base del gioco dello scambio degli oggetti e dei bisogni della vita materiale.
L'area del Mediterraneo è sempre stata per eccellenza per necessità o per volontà, ma più spesso per necessità e per le guerre in corso, area di flussi migratori: dalle crociate ad oggi, né tale fenomeno è arrestabile con leggi restrittive o politiche xenofobe.

LA DIDATTICA STRAORDINARIA DELLA NORMALITA'

Quando ho incontrato una collega attiva nella rete "Alunni stranieri" delle scuole del Montebellunese e le ho posto la classica domanda su come fosse cambiata la sua didattica o il suo metodo di insegnamento con i nuovi arrivi, lei mi ha guardato stupita ed è rimasta in silenzio per un tempo che mi è sembrato lunghissimo e che mi ha fatto pensare che le avessi posto una domanda sbagliata. Infine sorridendo mi ha risposto: "Lavorare con loro non pone alcun problema diverso da quello che un'insegnante si troverebbe comunque ad affrontare; quello dell'individualizzazione dell'insegnamento. Entro in classe e parto da parole semplici che tutti possono dominare poi via via arricchisco il vocabolario mettendo tutti di fronte al nuovo alzando di un gradino il contenuto dell'apprendimento; uso materiali di base che io stessa fabbrico per la memorizzazione e tutta la classe beneficia di questo metodo ; si crea un contesto in cui tutti posseggono le parole base, poi il patrimonio si può differenziare ed arricchire gradualmente ma questo vale per tutti, anche per gli italiani che non conoscono tutti i termini che compaiono in un brano. Mi diverto nel fare questo perché posso osservare le diverse tecniche di memorizzazione e i diversi percorsi mentali che i ragazzi mettono in atto per capire”. Il mio pensiero va a Freinet, alla pedagogia del contesto, alla possibilità di adattare la situazione di apprendimento a ciò che la rende possibile.

QUANDO GLI ALTRI SIAMO NOI
LA SETTIMANA DELL'AGIRE


Spesso il pregiudizio diventa l'ostacolo più evidente per uno scambio reale tra coetanei. “Agire” la multicultura, allora, diventa una necessità non solo per i ragazzi stranieri che hanno il diritto di essere accolti e conosciuti, ma soprattutto per i ragazzi italiani che devono imparare a vivere in una società sempre più complessa e multietnica.
Per questo la scuola Media di Caerano ha lanciato al suo interno il progetto
AGIRE 2002 (Apprendere Gestendo Insieme Responsabilità Educative) come giorni in cui si affronta “giocando” il vasto tema dell’intercultura, in cui tutti i docenti si sforzano di progettare moduli didattici le cui finalità educative siano volte alla scoperta e all’incontro con altri modelli culturali.
Nel progetto sono coinvolti tutti gli alunni e le alunne.

METODOLOGIE UTILIZZATE

Per favorire la semplificazione nell’organizzazione dei giorni possono essere proposti
due moduli quotidiani interscambiabili, di due ore ciascuno:
1° modulo 8.00-10.15 (2 ore e 15 minuti)
2° modulo 10.45-13.00 (2 ore e 15 minuti)

Ogni gruppo di lavoro potrà avvalersi dell’apporto di esperti esterni (mediatori, ex alunni, genitori…). Così a rotazione, divisi in gruppi tutti gli alunni della scuola, seguendo metodologie laboratoriali hanno avuto la possibilità di incontrare ed essere coinvolti direttamente in una pratica che ha reso meno lontana quella cultura di cui i loro compagni o il lavoratore straniero, vicino di casa, sono portatori. Sono stati attivati gruppi di yoga, di cucina, di cineforum, di arti marziali, di artigianato etnico.
La ricerca/azione si è conclusa con la messa in comune, da parte di ciascun gruppo di quanto elaborato o appreso durante la settimana in un momento di festa finale aperto ai genitori. Sicuramente il fare un percorso e condividere momenti di lavoro comune vissuti festosamente, arrivare ad un prodotto di cui si è protagonisti attivi permette di interiorizzare quei passaggi, anche teorici, che mille parole esterne non rendono importanti tanto quanto la condivisione di un'esperienza vissuta in gruppo con giocosa informalità.

PENSIERI IN LIBERTA' DEI DOCENTI

Chi opera con gli stranieri si è trovato a non avere la cassetta degli attrezzi già pronta, ma a doversela fabbricare giorno per giorno; finite le certezze del libro di testo ma anche della fotocopia interetnica dalla magia risolutrice. Non esiste un percorso dato; ogni classe, ogni situazione richiede il suo "Agire". Il problema linguistico non è che uno tra i problemi, tutti concordano ormai su questo piano; per questo chiedono una formazione che permetta di approfondire gli elementi base di conoscenza della cultura e comunicazione di provenienza. Solo questo e la presenza dei mediatori culturali permetteranno di trasformare questi momenti di ricerca e scoperta in occasione di sapere per tutti.

Maria Teresa Roda
Attiva da anni nel Movimento di Cooperazione Educativa (MCE).
Ha rivestito compiti di segreteria, di ricerca didattica con il gruppo nazionale lingua.
Attualmente è impegnata nella Fédération Internationale Mouvements École Moderne (FIMEM).

 

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