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Cittadini extra comunitari o cittadini?

Mentre scrivo, i primi missili sono caduti su Baghdad. Quello che tanta parte del mondo temeva è cominciato: la guerra illegittima, senza alcun mandato dell’ONU causerà oltre a morti innocenti gravi ripercussioni sugli assetti, sugli equilibri della nuova Europa.
Purtroppo nel mondo questa non è l’unica guerra: “…in questo momento sono in corso 45 tra scontri armati, guerriglie e veri e propri conflitti. Le ultime battaglie sono state combattute non per un pozzo di petrolio, ma d’acqua potabile. D’altronde, nella trionfante civiltà scientifico-tecnologica, nata da “lumi”, vi sono ancora un miliardo di uomini che non conoscono la luce elettrica... e muoiono ogni giorno di fame 50.000 bambini. Nel mondo che si globalizza viene meno proprio la solidarietà, si allontanano le voci dei più deboli. È l’indomabile, cattiva natura dell’uomo o è la storia delle sopraffazioni subite, dei diritti negati, delle vite cancellate a stendere questo bilancio? Eppure! Eppure se non vorremo riconsegnare alle barbarie le nostre grandi conquiste civili e sociali, scientifiche e morali, dovremo continuare a credere che la pace, insieme con l’amore, è la prima e l’ultima delle parole umane”.
(Sergio Zavoli
www.newsrimini.it)
Ecco perché, volentieri, cercherò di spiegare, come amministratore pubblico, perché è importante che nel Paese, in tutto il Paese, nascano progetti e programmi in grado di sostenere un efficace sistema di relazioni positive e di civile convivenza tra italiani e immigrati. Non è solo un desiderio, ma una oggettiva convenienza anche per tutti noi. Solo in questo modo, infatti, si abbassa il rischio di pericolose tensioni sociali e si dà la possibilità al patrimonio rappresentato da tante nuove forze di lavoro e di cultura di esprimersi al meglio e di non essere svalutate come ancora oggi, purtroppo, in molti casi avviene.
È quello che cercano di fare da anni, le Istituzioni valdostane, Comuni e Regione. Il Comune di Aosta sta lavorando, in particolare con la collaborazione del Centro Comunale Immigrati Extracomunitari (CCIE). Se non vogliamo vivere troppo a lungo divisi tra “Noi” e “Voi” è obbligatorio superare le discriminazioni tra chi è cittadino e chi non lo è solo in base alla nascita. Bisogna superare la falsa rappresentazione che in base alla nascita ci siano alcuni interessati al bene comune ed altri no.
Stiamo assistendo ad un cambiamento profondo, per molti aspetti ineluttabile. Il problema è se subirlo, senza mai decidere in quale direzione esso deve andare, oppure dichiarare le condizioni e le regole entro cui accettare una trasformazione tanto importante della nazione e sostenerla.
Nella nostra regione stiamo, con fatica, cercando di provare a scrivere le regole per una Valle d’Aosta al centro di un’Europa multietnica. Il Documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione - Roma, luglio 2000 Ministero affari sociali - definisce l’integrazione sociale un processo che mira a eliminare le discriminazioni e a favorire l’inclusione delle differenze, attraverso la contaminazione e la sperimentazione di nuove forme di rapporti e di comportamenti.
Essa dovrebbe “prevenire situazioni di emarginazione, frammentazione e ghettizzazione che minacciano l’equilibrio e la coesione sociale e nello stesso tempo affermare alcuni principi universali come il valore della vita umana, della dignità della persona, il riconoscimento della libertà femminile, la tutela dell’infanzia sui quali non si possono concedere deroghe, neppure in nome del valore delle differenze”. Storicamente l’immigrazione in Italia è passata attraverso diverse fasi ed ha subito profonde modificazioni qualitative anche se il fenomeno in Italia, rispetto agli altri paesi europei, è stato ed è più “circoscritto” e limitato. (Dossier statistico 2001 sull’immigrazione, Caritas)

Oggi il fenomeno migratorio risulta segnato da due considerazioni. Positiva la tendenza verso più strette forme di integrazione con la società italiana (aumento dei ricongiungimento famigliari, del numero di matrimoni misti e della presenza dei figli nelle scuole; diffusione dell’occupazione regolare e accresciuta esigenza di partecipazione alla vita pubblica; attuazione di politiche integrative promosse dagli Enti locali e dal volontariato).
Negativa invece la persistenza del lavoro sommerso, sfruttamento, condizioni di vita disagiate, discriminazione, marginalizzazione ed esclusione.
Comunque al di là di queste contraddizioni si può concordare con il messaggio “Il tempo dell’integrazione è ormai maturo” contenuto nell’undicesimo rapporto 2001 sull’immigrazione Caritas, che indica alla classe dirigente una chiara direzione di marcia.
Ed è certamente la scuola una delle principali istituzioni pubbliche, in grado di promuovere e favorire la stabilità e l’integrazione sociale degli immigrati. Per la mia esperienza di amministratore, l’autonomia scolastica, alcune leggi nazionali, in particolare la 285/97 dell’ex ministro Livia Turco ed interessanti progetti regionali come quello Cavanh hanno riqualificato la scuola come istituzione legata al territorio ed interagente con le altre istituzioni e servizi sociali in un’ottica di rete.
Una scuola inserita nella dinamica territoriale sarà sempre più impegnata nella realizzazione di progetti finalizzati all’integrazione culturale, sulla base delle vocazioni e delle risorse del territorio. La presenza degli alunni stranieri in una scuola così concepita rappresenta un elemento che potenzialmente può modificare e condizionare fortemente l’interazione e le dinamiche interne alla classe e alla scuola stessa e costituisce una occasione di arricchimento culturale per tutti gli studenti (stranieri e italiani), per gli stessi docenti e per le famiglie. Il confronto e la conoscenza reciproca e diretta delle rispettive tradizioni, usi, costumi e valori, consentirà agli immigrati e agli italiani il reciproco rispetto della propria cultura, che rappresenta il primo momento, il primo tassello del processo di integrazione.
Ecco perché la scuola, come si dice, “è diventata il “motore” e il “timone” della società multiculturale, e deve assumere la consapevolezza di essere chiamata a svolgere un ruolo di protagonista nel processo di integrazione non solo scolastica, ma anche sociale. L’alunno straniero non è più considerato un “caso”, un’eccezione, ma un soggetto portatore di bisogni ed istanze, la cui presenza arricchisce culturalmente la classe e l’intero istituto
(Rassegna di Servizio Sociale).
Forse non tutti si rendono conto che l’Italia, anche la Valle d’Aosta, sta già allevando il suo futuro multietnico: negli asili, nelle scuole dell’infanzia, nelle elementari, dove crescono i bimbi degli immigrati. Certo la presenza degli alunni stranieri crea problemi didattici ed organizzativi e richiede ai docenti, ai genitori, alla società tutta una partecipazione ed una adesione convinta. Ma la scuola della multiculturalità può e dovrà essere il volano di un’Italia dai tanti colori, di un’Italia positiva.

Gianni Rigo
Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Aosta

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