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Ruolo e funzioni del mediatore interculturale
La mediazione interculturale è un tipo particolare di
comunicazione: il mediatore si colloca come ponte fra operatore e utente
che appartengono a mondi culturali e linguistici differenti.
La passione per lattività di mediazione interculturale
è una conseguenza logica della mia storia personale.
Quando sono arrivata in Italia, erano gli anni 80, ero giovanissima,
non conoscevo la lingua italiana, e nessuno capiva la mia. Il mio primo
impatto è stato difficile; sposata da pochi giorni, sono arrivata con
mio marito, le mani ricoperte di fregi disegnati con lhenné,
come vuole la tradizione araba.
Appena sbarcata allaeroporto di Roma, ho sentito il peso dei primi
sguardi di diffidenza che mi hanno messa a disagio. Una donna mi ha guardato
le mani e si è ritratta. Ho cominciato a piangere. I primi mesi non sono
stati facili.
Non ero in grado di esprimermi nella lingua del paese che mi aveva accolta,
quando sono andata alla maternità per partorire: mi sono trovata davanti
a un muro di incomunicabilità. Ero, sì, trattata come le altre partorienti,
ma non capivo assolutamente niente di quello che mi capitava: le infermiere
e i medici si agitavano attorno a me, ma ero allo scuro di cosa stessero
preparando. E così, mi sono svegliata dopo un parto cesareo, nessuno era
stato in grado di avvisarmi. Il mio primo figlio era nato senza la mia
partecipazione cosciente alla sua nascita! Quanta è stata la mia delusione!
Quanto ho pianto e mi sono ribellata! Ma nessuno, al di fuori di mio marito,
capiva il perché della mia disperazione.
Con lidea di fare presto ritorno al paese, i primi tempi, non mi
sono impegnata per imparare la lingua. Anzi, rimanevo isolata a casa mia.
Non osavo uscire. Sono state le mie vicine di casa che hanno fatto i primi
passi, si sono preoccupate di me; hanno capito la mia solitudine, mi hanno
accolto
Durante un certo periodo ho insegnato alla scuola araba di Roma. Continuavo
a sperare di poter tornare presto in Libia, quando ho capito che questo
mio desiderio non si sarebbe realizzato facilmente.
È stato molto difficile per me accettare che il ritorno al mio paese,
il poter ritrovare la mia famiglia dorigine, non sarebbe stato immediato.
Ho dovuto rassegnarmi e darmi da fare per vivere qui e pensare al mio
inserimento. Oramai, mio figlio frequentava la scuola italiana e, malgrado
la mia formazione di insegnante, non riuscivo ad aiutarlo nei suoi primi
passi alle elementari. Il bambino tornava da scuola con dei testi scritti
in italiano che non riuscivo a capire. Non ero nelle condizioni di dargli
una mano.
Era forte la nostalgia per il mio paese dorigine, per il resto della
famiglia lasciata lontano.
Quando, allora, leggevo racconti di esperienze simili alla mia, queste
venivano interpretate come perdita delle radici, mentre oggi
si tende piuttosto a parlare di scontro tra due culture. Attualmente,
conosco perfino la sensazione di essere araba in Italia e, in qualche
modo, straniera a casa mia, quando mi succede di andarci in vacanza.
Da Roma ci siamo poi trasferiti in Valle dAosta. Conoscevo ormai
la lingua e la cultura italiane. Continuavo, però, a conservare e a fare
crescere dentro di me la mia identità di donna araba, rispettosa della
mia cultura di origine. Era nel frattempo nata in me e si rinforzava la
volontà di aiutare altri immigrati, le donne e i bambini in particolare,
a vivere meglio il loro inserimento nella società e nella cultura italiane.
Mi sono fatta coinvolgere e ho seguito la formazione proposta dal Progetto
Cavanh.
Come mediatrice interculturale, agisco per garantire una migliore comunicazione
tra gli immigrati e le istituzioni e affronto problemi tecnici fondamentali.
Quale tipo di intervento viene richiesto più sovente al mediatore?
Prendiamo lesempio del tipo di attività comunemente richiesta: quella
della traduzione.
La lingua araba classica, che uso per comunicare quando devo tradurre,
è, per fortuna, diffusa in tutti i paesi arabi, e raramente gli immigrati
arabi usano un dialetto. In questo ultimo caso, sovente limmigrato,
che è in grado di esprimersi solo in dialetto, non sa né leggere, né scrivere
e i problemi sono ancora più complessi.
La lingua che uso corrisponde esattamente a quella conosciuta da chi ha
bisogno di farsi capire, anche se proviene da paesi arabi diversi dal
mio.
Per il mediatore, tradurre significa produrre un nuovo discorso. Infatti
in questo caso la traduzione non può essere letterale, da
una lingua ad unaltra lingua. Nella mediazione interculturale la
traduzione non è mai immediata ma appunto media, è successiva al discorso
di ognuna delle parti; si tratta pertanto, di un discorso indiretto. Il
mediatore deve compiere una funzione di ponte fra operatore e utente,
facilitando la comunicazione, considerando il tempo disponibile per una
visita medica o un colloquio fra insegnante e genitori. Non deve dimenticare
i vari punti toccati dagli interlocutori e non deve dilungarsi troppo.
La traduzione pone perciò in evidenza la centralità della relazione di
fiducia necessaria fra il mediatore e loperatore, che deve poter
essere sicuro dei contenuti trasmessi e ricevuti.
Si tratta inoltre di accordare il tipo di traduzione richiesta
al contesto. Le visite mediche, i colloqui, gli incontri tra insegnanti
e genitori, ecc., sono situazioni nelle quali i contenuti non vanno trattati
tutti allo stesso modo, ma affrontati ognuno con la sua specificità, diversa
caso per caso.
Il mediatore può essere incaricato di trasmettere dei messaggi di ordine
tecnico-sanitario o sociale, oppure delle regole che riguardano lordinamento
scolastico. Quindi dovrà aderire il più possibile alle modalità comunicative
sia delloperatore, sia dellutente: ad esempio, se la risposta
di un utente o di un operatore ha uno stile molto formale, oppure approssimativo,
il mediatore dovrà preoccuparsi di fare emergere le caratteristiche proprie
dei due discorsi.
Le difficoltà di comunicazione possono riguardare sia la comprensione
del linguaggio tecnico, spesso sconosciuto a chi richiede il servizio,
sia luso di un linguaggio limitato composto da parole di uso corrente
e quindi comprensibili anche a coloro che si trovano in situazione di
svantaggio culturale. Ma richiede soprattutto la conoscenza e la capacità
di rendere comprensibili e condivisibili alle due persone che comunicano
concetti culturali estranei ai loro orizzonti di riferimento e di decodificare
le parti di messaggio veicolate anche dal linguaggio non verbale.
Durante i colloqui o le visite, latteggiamento, lo sguardo e il
silenzio di una madre dorigine araba, non vuol dire disinteresse,
ma può significare tuttaltro. Ad esempio, pesano molto sulla comunicazione
anche le diverse concezioni di intendere la salute e di affrontare la
malattia. Una madre marocchina può considerare simbolo di benessere e
di salute che il suo bambino sia grasso, mentre la valutazione del pediatra
può essere completamente diversa.
Occorre che il mediatore interculturale decodifichi non solo la domanda
esplicita, ma anche il contenuto implicito: quale, in questo caso, la
dimensione del concetto di salute per un medico occidentale e per una
mamma araba?
Il mediatore interculturale, quindi, può agevolare il flusso di comunicazione
e può essere utile alla contestualizzazione più precisa del vissuto degli
stranieri.
Il mediatore facilita anche laccesso ai servizi, ne rende comprensibili
lorganizzazione e lofferta in modo da diminuire i livelli
dansia che lapproccio alle strutture socio sanitarie ed educative
provoca a chi non è ben inserito e ha un vissuto di esperienze differenti
con i servizi del proprio Paese.
Gli ambienti privilegiati del lavoro di mediazione
A tuttoggi, in Valle dAosta gli ambienti privilegiati del
lavoro di mediazione sono due: i servizi scolastici e i servizi socio-sanitari.
Si tratta, quindi, di istituzioni che si occupano in modo particolare
di accogliere, curare, educare, sostenere i minori, le donne, i nuclei
familiari.
Io preferisco intervenire nelle scuole, perché è unattività più
vicina alla mia formazione e alle mie competenze. Mi piace, comunque,
anche accogliere e accompagnare le donne in ospedale, perché posso comunicare
con una persona che capisco e che sento sola, nel suo isolamento, nel
suo silenzio e nella sua timidezza.
Sono convinta che il lavoro del mediatore interculturale deve soprattutto
passare attraverso le donne, perché sono loro che sono maggiormente confrontate
alla quotidianità. Devono capire rapidamente come ci si muove negli uffici,
come funziona la scuola dei loro figli, per essere in grado di aiutarli
In questo caso è preferibile che il mediatore sia una donna, per facilitare
la comunicazione con unaltra donna.
Ci sono altri servizi che richiedono lintervento del mediatore (il
tribunale, il centro immigrati, i centri per il lavoro, ecc.). Spesso,
più che di vera e propria mediazione, si tratta di tradurre, di interpretare,
di fornire informazioni e orientamento ai connazionali.
La richiesta di mediatori linguistici e interculturali, in ambito scolastico,
è oggi in costante aumento e si accompagna allincremento della presenza
di bambini e ragazzi stranieri nelle scuole.
Negli ultimi anni, anche in Valle dAosta il numero di alunni di
origine straniera cresce costantemente.
Laumento è in gran parte dovuto a ricongiungimenti familiari: bambini
o ragazzi che si riuniscono al padre, o ad entrambi i genitori, dopo anni
di distacco e di separazione del nucleo familiare.
Essi sono inseriti a scuola poco tempo dopo il loro arrivo e, naturalmente,
senza conoscere litaliano. Il mediatore organizza la prima accoglienza
(le prime comunicazioni con il bambino e i genitori; lindividuazione
della storia personale e del percorso scolastico precedente
). Fornisce
un servizio di supporto complementare allattività dinsegnamento,
principalmente utilizzando la lingua madre; collabora con la classe e
con gli insegnanti per linserimento degli alunni stranieri e, oltre
a facilitare la comunicazione consente, agli alunni stranieri, un inserimento
protetto nel nuovo contesto.
Possiamo definire la mediazione scolastica come linsieme
delle azioni intraprese dal mediatore mirate ad instaurare una buona comunicazione
tra famiglia e scuola. Si tratta, da una parte, di portare i genitori
ad una migliore comprensione delle regole di funzionamento della scuola,
in modo che essi possano seguire meglio landamento scolastico dellalunno
e, dallaltra di condurre gli insegnanti ad avere una migliore comprensione
dei problemi che riguardano gli alunni di origine straniera attraverso
la conoscenza più approfondita degli elementi culturali e familiari.
Sono quindi convinta che un lavoro di base debba essere svolto presso
le famiglie. Non solo presso gli immigrati; anche le famiglie italiane
devono essere sensibilizzate e diventare artefici della nuova società
multietnica che gli inarrestabili fenomeni migratori in atto stanno delineando.
I problemi non sono, quindi, solo degli stranieri, ma dellinsieme
della società; tutti devono potere mantenere e affermare la propria identità,
imparando a rispettare quella dellaltro. Ad esempio, il foulard
delle donne musulmane non deve essere interpretato come una volontà di
marcare la differenza, ma come segno identitario in una società multietnica.
Concludendo, lintervento di un mediatore interculturale, a fianco
di un operatore sociale, permette di prevenire linsorgere di conflitti
legati a problemi di comunicazione e di incomprensione reciproca. Solo
una persona, partecipe delle due lingue coinvolte nella comunicazione
e quindi delle due culture sottese, può intuire i pregiudizi impliciti
che ostacolano una reale comprensione, svelarli e avvicinare, così i due
interlocutori.
Samira Abodaber
Coordinatrice dei
mediatori interculturali della cooperativa sociale di Aosta La Sorgente
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