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Apprendista insegnante

Le mie prime esperienze nel campo dell’insegnamento, compiute più per questioni economiche che per una precoce vocazione, risalgono già ai primi anni dell’università.
Nell’anno
1989, insegnai, per un breve periodo alla scuola media; nell’anno 1992, invece, accettai una impegnativa supplenza di Costruzioni, presso i geometri. Nonostante avessi solo pochi anni più degli alunni e proponessi una materia generalmente “maschile”, scoprii in me una predisposizione alla relazione con gli studenti, basata sul dialogo aperto e sul rispetto reciproco.
Alternai poi la pratica in uno studio tecnico con l’attività di segretaria presso l’azienda paterna, finché non fui chiamata per una nuova breve supplenza presso la scuola media a cui ne seguì un’altra di Costruzioni. Tali incarichi furono fondamentali per la mia futura carriera, in quanto fecero nascere in me alcune convinzioni:

  1. non avrei mai più accettato incarichi brevi alle scuole medie (ritengo infatti che i ragazzi a quell’età siano più diffidenti nei confronti di un insegnante nuovo e che quindi sia necessario un lasso di tempo più lungo per instaurare un clima collaborativo);
  2. non amavo insegnare costruzioni, materia troppo tecnica, perché lasciava poco spazio alla creatività degli alunni.

L’anno scolastico 1996-1997 fu per me decisivo: ebbi una supplenza annuale di storia dell’arte presso il Liceo Classico di Aosta. Fu un’esperienza molto faticosa; mi impegnai con passione nello studio personale e nella ricerca di modalità di lavoro che indirizzassero gli alunni ad un approccio attivo alla materia. Intrapresi con i miei studenti il cammino verso una storia dell’arte diversa. Innanzi tutto ridimensionai il programma ministeriale, selezionando i contenuti anche in base agli interessi e alle conoscenze degli alunni stessi e tenendo conto del contesto storico-culturale in cui i movimenti artistici si originano. Più che far riconoscere e memorizzare ogni minimo dettaglio di un’opera, era mio intento far acquisire agli studenti la capacità di cogliere, prima guidati, poi autonomamente, i macro-elementi che contraddistinguono una produzione artistica o un periodo; rendere loro accessibili le principali letture critiche e il linguaggio tecnico, man mano che lo s’incontra, senza forzati ed infiniti elenchi che non si ricordano mai. Imbastii una metodologia, quindi, che non si basasse esclusivamente sulla memoria dei ragazzi, ma piuttosto che cercasse di sviluppare in loro il senso critico ed estetico.
Se questa mini rivoluzione risultò facilmente praticabile nella quarta ginnasio, non fu così scontata nelle classi del Liceo. Fortunatamente le perplessità iniziali di alcuni studenti vennero ben presto superate, grazie ad un lavoro attento sugli obiettivi di materia che concordammo insieme.
Avevo ormai abbandonato la professione di architetto per dedicarmi completamente a quella di insegnante.

Nell’anno scolastico 1998/1999, ebbi l’opportunità di insegnare nuovamente presso il Liceo Ginnasio. Mi furono affidate quattro classi ginnasiali, due del corso ordinario e due del corso sperimentale, ad indirizzo europeo inaugurato l’anno precedente. Il fatto di lavorare ad una sperimentazione, in compresenza con un esperto francofono per metà del monte ore annuale dedicato alla materia, mi lasciava alquanto perplessa. Dal confronto con i colleghi, coinvolti come me nella sperimentazione, emerse da subito che non esisteva una linea guida da seguire per l’organizzazione del lavoro di laboratorio, né tanto meno per una sua valutazione, e che quindi ognuno di noi doveva appunto “sperimentare”, in base alle proprie conoscenze, attitudini e risorse personali il proprio percorso disciplinare.
In considerazione delle difficoltà che i ragazzi incontravano nell’apprendimento, ancora troppo nozionistico, degli argomenti trattati in francese, cominciai a ipotizzare una diversa impostazione didattica delle ore di laboratorio. Non senza un notevole impegno personale di mediazione tra esperto francofono ed esigenze degli alunni, trovai il compromesso di limitare gli argomenti trattati durante le ore di laboratorio a favore di un più mirato sviluppo delle abilità osservative e creative; tentai, inoltre, di proporre dei percorsi tematici che, partendo dagli argomenti studiati, aprissero nuovi spiragli su periodi storici successivi fino ad arrivare al contemporaneo. Questa scelta operativa mi costrinse a rivedere la programmazione iniziale, limitando ulteriormente i contenuti, ne guadagnarono sia l’attenzione in classe sia l’acquisizione di competenze.
Il riscontro fu per me talmente incoraggiante che decisi di estendere la pratica laboratoriale, fatta eccezione per la parte linguistica, anche al corso tradizionale.

Nell’anno scolastico 1999/2000, fui riconfermata al Liceo Ginnasio con completamento orario presso la Scuola Coordinata dell’Istituto Professionale Regionale.
Mi si presentò così, per la prima volta, l’opportunità di proseguire, in alcune classi, l’attività didattica impostata l’anno precedente.
Tutte le energie furono dedicate alla nuova classe della sperimentazione; fondamentali risultarono gli accordi presi, già alla fine dell’anno scolastico precedente, con i colleghi delle altre discipline, per la strutturazione di possibili percorsi interdisciplinari da svolgersi nei laboratori. Una tempestiva individuazione degli argomenti da trattare un anno per l’altro consente sia all’esperto francofono sia all’insegnante di procurarsi il materiale a partire dal quale articolare i futuri interventi.
Alla Scuola Coordinata dell’Istituto Professionale Regionale, trovai ragazzi con interessi e problematiche diverse, questo fatto mi stimolò importanti riflessioni soprattutto sul piano metodologico. Gli alunni, infatti, erano da accompagnare sia dal punto di vista del metodo di studio sia dal punto di vista della motivazione. Puntando sulla loro abilità nell’uso del computer e sulla loro abitudine a navigare in Internet, affidai loro la strutturazione di itinerari di interesse artistico e che avessero attinenza con il programma da svolgere. Non tenni mai una lezione frontale nel senso tradizionale, ma sfruttai le richieste di spiegazioni provenienti dagli alunni stessi per trasmettere i contenuti che mi ero prefissata. Ad esempio, quando si trattò di studiare gli ordini architettonici classici, immaginammo che ci venisse commissionato dall’ente turistico greco un opuscolo informativo sui principali templi; lavorando sulle immagini scaricate dal computer, i ragazzi notarono autonomamente le differenze e, stimolata dalle loro osservazioni, inserii gli interventi di spiegazione e l’elencazione delle principali differenze tra i tre ordini. Con un’opportuna scelta dei percorsi, portai i ragazzi a rendersi conto spontaneamente dell’importanza delle spiegazioni tecniche. Fu un lavoro impegnativo, ma gratificante, che riuscii ad attuare grazie anche alla collaborazione degli insegnanti di sostegno (ogni classe aveva, infatti, un alunno portatore di handicap al suo interno), che riconobbero, in questa modalità di lavoro, un’opportunità per coinvolgere l’alunno in difficoltà.
Quest’esperienza fu per me decisiva dal punto di vista formativo, mi diede la
possibilità di interrogarmi con serietà sull’importanza di un lavoro individualizzato e soprattutto di indagare le
modalità di realizzazione operativa in classe, in modo tale che le difficoltà riscontrate in un certo momento da un allievo potessero diventare un arricchimento per tutti.
Durante l’intero anno scolastico, fui, inoltre, impegnata nel corso abilitante.

Nell’anno scolastico 2000/2001, fui riconfermata al Liceo Ginnasio. Fu un anno di grandi cambiamenti, fuori e dentro di me. Innanzi tutto fui nominata insegnante di ruolo.
La mia scelta di vita trovava un riconoscimento anche a livello istituzionale. Fu anche un anno importante per la maggior parte degli insegnanti della sezione europea del Liceo classico di Aosta, me compresa. Giunti alla vigilia del completamento del ciclo, sentivano l’esigenza di affrontare e di risolvere, in modo unitario, alcune problematiche legate alla sperimentazione, prima tra queste l’onerosa questione della valutazione. Come supporto a questo nostro lavoro, la scuola chiese l’intervento, in maniera continuativa, di una collega dell’IRRE Valle d’Aosta e, da febbraio fino a marzo, di un esperto del gruppo GRAFO di Bologna.
Insieme, intraprendemmo un percorso che, partendo dalla riflessione su quanto realmente svolto in classe, portasse all’individuazione prima e all’assunzione poi di criteri condivisi. Ogni docente, infatti, fu chiamato a presentare le prove più significative somministrate agli allievi negli anni precedenti e ad esplicitare i criteri di valutazione adottati.
Al fine di considerare il problema anche dal punto di vista degli studenti, fu loro distribuito un questionario anonimo, con domande inerenti la problematica in questione. Dall’analisi degli elaborati presentati dalle due parti, emerse chiaramente la disomogeneità della valutazione dei laboratori da parte dei docenti e la mancanza di condivisione dei criteri, con conseguente disorientamento degli allievi.
Avendo il gruppo individuato nella mancanza di comunicazione la causa principale di tale disagio, gli insegnanti fissarono delle regole comportamentali a cui attenersi per superare l’individualità che fino ad allora li aveva contraddistinti. Le decisioni prese furono, nei mesi di aprile e di maggio, trasferite nelle modalità di lavoro con gli allievi e, già nell’incontro di giugno, potemmo rilevare, e con noi gli studenti, una maggiore coerenza ed uniformità di valutazione.
L’anno scolastico si concluse, per me, in modo malinconico e frustrante, in quanto mi venne comunicato che la mia sede definitiva di ruolo sarebbe stata diversa da quella in cui avevo sempre operato. Dopo anni di precariato e di intenso lavoro svolti nella stessa scuola, il passaggio in ruolo mi allontanava dalle mie classi e mi portava verso realtà completamente diverse. Mi restava però ancora un compito da portare a termine, l’Esame di Stato: ero, infatti, stata nominata Commissario interno.
Superato il timore reverenziale che questa parola aveva sempre suscitato in me, affrontai quest’esperienza con umiltà, ma anche con la determinazione necessaria a far risaltare le capacità dei miei ragazzi. Forse perché neofita, non riuscii a mantenere il dovuto distacco e mi sembrò di ripetere l’esame ben sedici volte, il numero dei candidati!!

Nell’anno scolastico in corso(2001-2002) sono stata riconfermata al Liceo Classico. È la prima volta che ho l’opportunità di iniziare l’anno scolastico con i miei alunni.
Le classi mi sono state affidate sia tenendo conto della continuità didattica sia del progetto della modularità quadrimestrale che era stato concordato, in applicazione agli articoli 4 e 5 del regolamento dell’Autonomia Scolastica, tra me e le colleghe di fisica. Il progetto prevedeva la presenza di una sola delle due materie a quadrimestre (esempio: nel primo quadrimestre, non si hanno più due ore di fisica e due di storia dell’arte, ma quattro di storia dell’arte e viceversa nella seconda frazione d’anno scolastico). Tale concentrazione del monte ore annuale dedicato alle due materie in questione in un unico quadrimestre ha avuto precise motivazioni didattiche. Agli insegnanti coinvolti nel progetto e al collegio docenti poi sembrava che uno studio più intensivo delle discipline con un numero ridotto di ore consentisse agli alunni di avere una visione più compiuta dei contenuti, presentati con maggiore continuità oraria e permettesse, una migliore articolazione degli stessi. Inoltre, nella sezione sperimentale, tale modularità avrebbe permesso un utilizzo più razionale dell’esperto francofono evitando, anche in questo caso, un’eccessiva frammentazione dell’intervento, con conseguente perdita d’incisività e di efficacia.
Durante l’anno scolastico, ulteriori cambiamenti nell’organizzazione della materia sono stati resi necessari da un lato dalla riduzione del monte ore annuale dell’esperto francofono per le materie con sole due ore settimanali per classe (dal 50% al 30%) e dall’altro dall’impiego dell’esperto non più con scansione settimanale (su due ore a settimana, una era di laboratorio), ma a blocchi (le circa 20 ore di laboratorio annuali sono suddivise in due “tranche” di 10 ore a quadrimestre, due a settimana). Quest’ultima modifica soprattutto è stata accolta favorevolmente dai ragazzi, perché vedono iniziare e finire in tempi brevi un argomento, ma che ha richiesto, da parte mia, una continua ri-programmazione degli interventi.
Nella programmazione didattica del corrente anno scolastico ho proceduto come segue: al ginnasio, ho cercato di rispettare gli accordi presi con i colleghi di materia e ho svolto per intero il programma previsto.
Al Liceo, invece, sia per mantenere la scansione temporale stabilita con gli insegnanti delle altre discipline umanistiche, sia per non rinunciare ad eventuali lavori interdisciplinari concordati in corso d’anno, ho operato una selezione dei contenuti, scegliendo di approfondire solo quegli autori il cui studio è fondamentale per la comprensione di una corrente artistica e del movimento culturale ad essa sotteso.
Nella quarta ginnasio, ho cercato di impostare un lavoro scrupoloso, in ottemperanza a quanto deciso in sede di Consiglio di Classe, sul metodo di studio, di presa di appunti e di utilizzo del libro di testo.
Nelle quinte ginnasio, constatata l’autonomia della maggior parte dei ragazzi nel padroneggiare un metodo di studio e di presa di appunti, anche grazie ad un lavoro preciso compiuto nel corso dell’anno scolastico precedente, mi sono potuta dedicare all’elaborazione di strategie operative miranti a vivacizzare alcune parti del programma che, seppure basilari per le acquisizioni future, sono state in passato male assimilate dagli studenti, perché trovate di scarso interesse. Cercando di unire le esigenze didattiche dell’insegnante con quelle creative degli alunni, ho fatto spesso ricorso al disegno per illustrare l’esposizione orale. Prima timidamente, poi con sempre maggiore sicurezza, i ragazzi hanno iniziato a copiare gli schizzi fatti alla lavagna, per poi perfezionarli prendendo spunto da immagini tratte da libri di testo. Grazie a tali disegni autografi, gli allievi hanno potuto focalizzare meglio l’attenzione sui particolari costruttivi, rilevando maggiormente analogie e differenze tra opere appartenenti a periodi storico/artistici differenti.
Ho preso parte ai Consigli di Classe e ai Collegi Docenti sempre con atteggiamento positivo, ben consapevole dell’importanza che tali incontri hanno, gli uni, nella definizione degli obiettivi trasversali comuni relativi ad ogni classe e alla verifica dei programmi, gli altri, nelle scelte di programmazione di ogni attività dell’istituto.
Altresì produttivi sono stati gli incontri tra insegnanti di discipline diverse, durante i quali sono state individuate le tematiche da affrontare in modo parallelo ed interdisciplinare.
Sono stata, inoltre, impegnata nel Corso di Formazione previsto per l’anno di prova della durata di 40 ore, di cui 18, in plenaria, sono state dedicate all’esposizione, da parte di esperti, di tematiche generali inerenti la scuola, 18 al lavoro dei sottogruppi, in cui eravamo stati suddivisi sulla base di affinità di materie insegnate, e le restanti 4 allo studio individuale. Apparentemente, quindi, le ore sono state equamente ripartite tra teoria e pratica. In realtà, all’interno delle 18 ore riservate ai sottogruppi, 6 sono state utilizzate per l’analisi della documentazione fornita dai relatori che si sono alternati nella parte in plenaria. Anche questo corso, come l’abilitante, quindi, si conclude con la riflessione che la formazione dei docenti si basa molto sugli aspetti teorici, relegando la pratica dell’insegnamento ad un ruolo marginale
A margine di queste mie riflessioni sul cammino fin qui compiuto, mi piace paragonare la mia attività di docente a quella dell’imperatore Adriano che, al rientro da ogni campagna di conquista, portava nella progettazione della sua villa a Tivoli elementi e tecniche provenienti da culture diverse, creando uno stile eclettico, ma armonico.
Così credo di aver fatto io: sostenuta da una forte motivazione e dal piacere che provo per ciò che faccio, non esito ad inserire nel mio percorso ogni esperienza formativa che mi consenta di costruire una modalità di lavoro varia, ma coerente con i miei obiettivi.

Cristina Girola
Insegnante di storia dell’arte presso il Liceo Classico di Aosta.

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