|
Nei panni dell'altro
Potremmo
dunque definire la formazione come una dimensione cognitiva fondamentale
delletà adulta, intimamente connessa ai cambiamenti che caratterizzano
il nostro percorso evolutivo.
Essa è costituita da processi, metodi e strategie di ricerca e di creatività
tendenti alla definizione di forme e di azione, conoscenza ed esistenza
congeniali al divenire di ogni essere umano.
La formazione comporta trasformazioni, scelte, decisioni e orientamenti,
e va dunque considerata come qualcosa di attivo e non di passivo, in cui
il soggetto non è implicato solamente ad apprendere le risposte ad alcune
domande che si pone, ma ad apprendere a porsi domande necessarie alla
sua evoluzione.
Donata Fabbri, in SISTEMICA, Voci e percorsi nella complessità,
Bollati Boringhieri, marzo 2003
Che cosa
significa occuparsi di formazione dei docenti? Quanto costa
progettare un percorso formativo? Con quale stato danimo si entra
in aula?
Mi limito a queste tre domande e, condividendo laffermazione di
Donata Fabbri, azzardo alcune risposte riferite alla mia esperienza.
Occuparsi di formazione continua, in generale, ma tanto più se indirizzata
a docenti, significa creare le condizioni perché il cambiamento possa
avvenire. Creare condizioni partendo da bisogni reali, ascoltando le esigenze
profonde, perché il cambiamento è decisione intima, personale, è frutto
di una visione capace di decentrare se stessi per assumere punti di vista
altri, partendo dallio e percorrendo la via - difficile, ma altrettanto
affascinante - del tu e del noi.
La scoperta del tu e del noi, per usare una metafora nota, significa mettersi
nei panni degli altri, cogliendo fino in fondo, in un atteggiamento
di astensione dal giudizio, non solo significati, ma anche atteggiamenti,
emozioni, sensazioni, senso di una richiesta.
Per fare in modo che il cambiamento sia effettivamente il risultato di
un percorso formativo significativo è necessaria unoperazione preliminare
di decodificazione della richiesta, della domanda, in altre parole di
analisi delle esigenze della committenza, trasformando ciò che a volte
si configura come una generica intuizione in unassunzione
di consapevolezza relativamente ad uno o più problemi/questioni.
Questa è la fase che possiamo definire dellascolto, in cui si è
totalmente a disposizione del cliente, in cui lo si aiuta
a cogliere il senso delle sue ipotesi, correlandole al contesto, stabilendo
una relazione con i desideri (secondo una felice intuizione
di Dilts(*)), facendo in modo, in ultima istanza, che il passaggio
successivo alle scelte e alle decisioni sia autenticamente un passaggio
in cui il soggetto non è implicato solamente ad apprendere le
risposte ad alcune domande che si pone, ma ad apprendere a porsi domande
necessarie alla sua evoluzione.
La fase successiva, quella più pragmatica, della progettazione è quella
in cui metodi e strategie di ricerca e di creatività tendenti
alla definizione di forme e di azione, conoscenza ed esistenza congeniali
al divenire di ogni essere umano è bene che trovino una definizione
puntuale, almeno in due momenti.
Il primo potremmo definirlo di macro-progettazione e allora termini che
possono apparire formali o rituali quali: obiettivi, contenuti, metodi,
processi, valutazione si sostanziano in un insieme armonico
a condizione che risultino densi di significato, intesi come parole condivise,
intorno alle quali costruire un percorso capace di esplicitare anche il
senso della nostra disponibilità al cambiamento o se preferiamo la nostra
voglia di metterci in gioco come persone, intuendo potenzialità di crescita
e di evoluzione.
Il secondo possiamo tecnicamente definirlo di micro-progettazione o anche
di ponderazione, vale a dire fare in modo che la macro-progettazione,
di norma strutturata a maglie larghe, si traduca in moduli di lavoro puntuali;
le variabili, ovviamente riferite ai vincoli di tempo e di budget,
sono ancora le stesse: obiettivi specifici, metodi (lezione, gruppo di
lavoro, ricerca-azione...) esplicitazione del percorso, chiarezza intorno
ai contenuti, definizione degli strumenti di valutazione, certificazione
delle competenze acquisite, ecc.
Questa parte
conclusiva della progettazione dovrebbe trovare forma nel contratto
formativo, una sorta di documento di base in cui le reciproche responsabilità
(formatore/corsista) ritrovino, ancora in modo condivisibile, oggetti
e soggetti di un percorso quanto più descritto e chiaro nelle sue parti
riferite sia agli aspetti negoziabili sia agli aspetti vincolanti.
Succede poi che oltre a fare il progettista si entri in aula,
nella maggior parte dei casi come facilitatore/metodologo,
come colui che sulla base del contratto formativo esplicitato e negoziato
si fa garante del percorso, ma anche come esperto di un contenuto
e allora si apre il mondo dellinterazione, della comunicazione,
dellempatia, ma anche quello delle tecniche.
Ci si pone di fronte ad un gruppo ed è necessario conoscerne le dinamiche
poiché si va oltre il semplice stare insieme o il riduttivo
obiettivo della socializzazione: il gruppo è unentità in evoluzione,
capace di assumere identità altra dalla somma delle singole personalità
(comunque determinanti nel processo di crescita); il gruppo ha bisogno
di tempo per assumere il compito, per interagire attraversando
fasi e se, per esempio, il formatore non è capace di reggere il silenzio
o la fase dello storming in cui liberamente ogni singolo individuo
argomenta (per dire chi è e come la pensa) difficilmente sarà in grado
di accettare che levoluzione del gruppo stesso non lo rappresenti
sia nel processo sia nel prodotto.
Quando esci dallaula, quando concludi un percorso, forte dei tuoi
strumenti di valutazione per prima cosa leggi i risultati di gradimento
alla ricerca di un trend che ti dica il grado di soddisfazione,
ma soprattutto fai i conti con il tuo benessere e ti accorgi, quasi sempre,
che se le ore trascorse insieme hanno avuto un senso per te, ti hanno
fatto vedere e sentire altro e oltre, quelle scale di reazione a caldo
non sono solo numeri, ma sono, davvero, dei punti interrogativi, magari
rovesciati, a cui è possibile agganciare, come in una metaforica gruccia,
altrettante risposte.
È cambiato qualcosa da quando mi preoccupavo di programmare la mia attività
in classe? Credo di no se si assume questa dimensione professionale come
dimensione della responsabilità in cui limperativo etico si fonda
sulla consapevolezza, sul contatto con se stessi e con laltro sino
a diventare generativa e porci al centro delle nostre azioni con una domanda/affermazione
apparentemente disarmante, quanto potenzialmente dirompente: dipende da
me, dipende da noi?
È possibile dire con Buber che questa è una, tra le tante, delle strade
possibili per indicare la realtà, indicare ciò che non è stato
visto o che è stato visto troppo poco. Prendere per mano chi ascolta e
condurlo ad una finestra. Aprire la finestra ed indicare fuori..., senza
avere una dottrina, ma conducendo un dialogo. (Martin Buber,
Le parole di un incontro)
Germano Dionisi
Area della ricerca sulla formazione IRRE-VDA.
(*) ROBERT
B. DILTS, (1998) Leadership e visione creativa. Come creare un mondo al
quale le persone desiderino appartenere, Milano Guerrini e Associati.
|
|
|