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L'insegnante di sostegno e le sue competenze
L’Italia, da oltre trent’anni, ha iniziato un’esaltante esperienza di integrazione (anche se non sempre e non ovunque pienamente vissuta
e realizzata) che ha contribuito a modificare l’intera scuola italiana in tutti i suoi aspetti pedagogici e didattici.
Un Paese non può dirsi civile solamente perché è in grado di offrire benessere e ricchezza, ma è tale quando riconosce la dignità di tutti i suoi cittadini, anche di coloro che vivono ai margini di un’esistenza che richiede continuamente aiuto e sostegno, anche di coloro che sono diversi sul piano fisico, mentale o sensoriale, anche coloro che non riescono ad adattarsi ai normali canoni di convivenza sociale, e ne rispetta i diritti. Un Paese può dirsi civile, quindi, quando riconosce i diritti dei più indifesi e cerca di offrire sostegno, protezione e opportunità idonee alla soddisfazione dei loro bisogni. Questo discorso è tutt’altro che ovvio, non è superfluo ribadire ciò che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo aveva affermato nel 1948: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali nella dignità e nei diritti”. Il valore in sé rappresentato da ogni uomo obbliga la società ad un impegno formativo, riabilitativo, sociale, economico concreto, certamente dispendioso anche sul piano economico, ma irrinunciabile e imprescindibile.
L’educabilità dell’uomo non può ammettere remore; se l’uomo, come affermava Rosmini, “è il diritto” non possono essere tralasciati nessuna azione, nessun impegno per poter offrire tutto ciò che la sua condizione richiede.
È per questo motivo che le grandi organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e l’Unione Europea ricordano periodicamente a tutti la necessità di salvaguardare i diritti delle persone con problemi. L’ONU dichiarò il 1981 quale “Anno internazionale dei disabili”, ed il decennio 1983-1992 “Decennio dei disabili”; l’Unione Europea ha da poco concluso le manifestazioni per l’“Anno europeo delle persone disabili”, 2003; gli obiettivi che essa si prefiggeva erano i seguenti:
1. Aumentare da parte di tutti la consapevolezza dei diritti delle persone disabili e il pieno raggiungimento dei loro diritti.
2. Incoraggiare la riflessione e discussione delle misure necessarie alla promozione di pari opportunità.
3. Promuovere lo scambio di esperienze di "buone prassi" e di valide strategie d'azione.
4. Intensificare la cooperazione a tutti i livelli, istituzionali e non, fra gli operatori del settore.
5. Evidenziare i positivi contributi che le persone disabili possono dare alla società e creare un contesto positivo, entro il quale la diversità è apprezzata e non discriminata.
6. Diffondere fra i normodotati la consapevolezza dell'entità e varietà della disabilità e delle diverse forme di discriminazione a cui sono sottoposte le persone disabili .
Come si può notare si parla ancora di diritti che le persone disabili devono raggiungere, di promozione di pari opportunità, di realizzare valide strategie d’azione, di intensificare la cooperazione, di non discriminare ma valorizzare le diversità, di coscienza e discriminazione. Certamente molti dei principi che sottendono i diritti testé citati devono essere attentamente salvaguardati anche in un Paese come l’Italia che da oltre trent’anni ha iniziato un’esaltante esperienza di integrazione, non sempre e non ovunque pienamente vissuta e realizzata.
IL CAMMINO DELL’INTEGRAZIONE IN ITALIA
Sono passati molti anni da quando il parlamento Italiano recepì le convinzioni che un grande movimento culturale, sociale ed educativo portava avanti fin dagli anni sessanta, di superamento dell’idea di “istituzionalizzazione” come luogo educativo e sociale di promozione umana. Ricordiamo che, agli inizi degli anni settanta, esistevano in Italia 40.000 persone che vivevano in istituto, 1.400 scuole speciali e circa 800 classi differenziali.
Finalmente, con la legge 517 del 1977, si aprirono le porte delle scuole comuni all’integrazione, anche se il fondamento giuridico del diritto a frequentare le classi normali risultano già definiti dalla legge 118 del 1971.
Se guardiamo con occhi attenti e sereni a questi lunghi anni, constatiamo che il cammino effettuato non è stato vano e quella scelta si impone con tutto il suo valore, poiché essa ha contribuito sostanzialmente a modificare l’intera scuola italiana in tutti i suoi aspetti pedagogici e didattici. La presenza nelle classi dell’allievo disabile, infatti, ha provocato, negli insegnanti la ricerca di un nuovo modello educativo didattico, capace di soddisfare i bisogni di tutti gli allievi presenti in aula.
La scuola ha imparato(1):
- ad accettare ed accogliere l’allievo con deficit;
- a dialogare con medici, psichiatri e specialisti della riabilitazione, innestando un processo di costruzione unitaria di percorsi educativi e riabilitativi e di comunicazione multidisciplinare e plurispecialistica, grazie anche alla legge 104 del 1992.
L’esperienza di integrazione:
- ha favorito quell’apertura al territorio che ha dato sviluppo all’interesse educativo verso la realtà, valore aggiunto per ogni processo formativo che voglia preparare alla vita;
- ha costretto gli insegnanti a promuovere un radicale cambiamento nel modello didattico tradizionale, quello cattedratico e, soprattutto nei cicli inferiori, si sono notate, in questi anni, innovazioni metodologiche molto interessanti;
- ha aumentato il benessere degli allievi poiché l’interesse verso la persona “educando” è diventato
l’aspetto primario del lavoro degli insegnati, mettendo in subordine il programma ministeriale;
- ha favorito l’abbattimento di un altro muro del nostro modello scolastico, quello della incomunicabilità fra docenti. Gli insegnanti non possono vivere come monadi isolate la loro professione poiché si opera in modo competente e significativo solamente programmando in gruppo ed operando in modo condiviso con gli allievi, non solo all’interno di una classe, ma più globalmente anche a livello di plesso scolastico.
Le ricerche dimostrano che l’integrazione, come esperienza formativa ed educativa scolastica, apporta degli enormi benefici(2) non solamente al disabile lieve (3), non soltanto al disabile sensoriale o fisico, ma anche a quello mentale grave (4). La vita di classe integrata, inoltre, è certamente di enorme importanza anche per i cosiddetti allievi normodotati. Lo studio sulle interazioni sociali degli studenti integrati in classi normali ci dice come i benefici acquisiti siano importanti sia per i soggetti disabili sia per i compagni privi di deficit.
UNA PREOCCUPANTE FUGA
Premesso che l’introduzione della figura dell’insegnante di sostegno ha contribuito ad innestare quel processo innovativo che ha favorito un cambiamento positivo nel modo di affrontare i problemi scolastici appena descritto e nonostante i risultati di indagini e ricerche, si registra, ultimamente un fatto preoccupante che rischia di compromettere tutti gli sforzi effettuati per portare la scuola italiana verso risultati eccellenti sul piano della convivenza civile: negli ultimi anni si nota un forte malessere tra gli insegnanti specializzati che si esprime frequentemente nella “fuga” verso l’insegnamento curricolare. Molti docenti capaci di gestire il problema dell’integrazione in classe, spesso ricchi di esperienza, preferiscono abbandonare il lavoro di “sostegno”, costringendo le scuole ad affidare il loro delicato ed importantissimo compito ad insegnanti volenterosi, ma spesso non in possesso del necessario bagaglio professionale. I motivi possono essere molteplici e ne possiamo ricordare qualcuno:
- lo stress di lavorare con situazioni umane difficili;
- la lotta continua per affermare agli occhi dei genitori il suo ruolo;
- la precarietà di un lavoro legato alla presenza di un allievo certificato;
- l’incompetenza di molti colleghi, insegnanti di classe, incapaci di agire con gli allievi difficili.
Un insegnante di sostegno capace è in grado di rappresentare per l’intera istituzione scolastica in cui opera, una risorsa per l’innovazione educativa e didattica. In ogni realtà scolastica in cui sono presenti validi e competenti insegnanti specializzati si sono riscontrati degli indubbi processi di maturazione professionale e di incremento delle competenze metodologiche e comunicative dell’intero corpo docente. L’insegnante di sostegno competente, infatti, favorisce ed innesta nei suoi colleghi, a volte anche inconsapevolmente, una motivazione ad agire e a programmare seguendo le indicazioni della ricerca scientifica. La sua presenza e la sua professionalità sollecitano i colleghi a prendere coscienza che occorre impostare un’azione formativa calata sui bisogni degli allievi, tesa a soddisfare le necessità personali dei singoli e aderente a basi metodologiche e didattiche accertate. L’insegnante di sostegno competente essendo in grado di ancorare la sua professionalità agli esiti della ricerca, “costringe” i colleghi a fondare la loro azione su pilastri educativi scientificamente provati.
RISULTATI SCIENTIFICI E RICADUTE FORMATIVE
I riferimenti per un’azione formativa basata sulle conoscenze scientifiche, volta ad incrementare le potenzialità degli allievi, esistono e, in questi anni, sono stati ampiamente sperimentati; sono i seguenti:
Credere nelle potenzialità
Le ricerche scientifiche sul cervello e le esperienze educative e formative effettuate pongono all’attenzione di tutti gli educatori un dato indiscutibile, ossia l’importanza di credere nelle enormi potenzialità del nostro sistema nervoso centrale. Se si vogliono ottenere risultati importanti nell’azione educativo-didattica, occorre che l’insegnante sia convinto che il suo allievo, pur con i suoi limiti e le difficoltà che la sua condizione presenta, possiede le potenzialità per maturare ed incrementare le sue abilità. Le ricerche sui bambini e sulle persone colpite da gravi lesioni cerebrali ci confermano in questa convinzione. È possibile ottenere grandi risultati da un’azione formativa corretta, è possibile accrescere e maturare le capacità dei nostri allievi, solo se l’insegnante è convinto che ciò sia possibile. Ogni allievo ha bisogno di leggere negli occhi del proprio educatore la fiducia che questi ripone nella sua persona, ha necessità di respirare un clima educativo colmo di amore e di accettazione, ma, soprattutto, ha bisogno di percepire tutto ciò tradotto in una proposta formativa non elusiva e modesta, ma esigente, in grado di provocare la sua reazione, di esigere un impegno personale confacente all’ambiente sociale in cui si opera, a volte anche al di sopra delle proprie abilità attuali. Credere nelle potenzialità significa, perciò, agire intenzionalmente per proporre al soggetto una realtà formativa accogliente e ricca sul piano affettivo, in cui il rapporto con l’insegnante si costruisca sul piano della stima personale ed il gruppo classe diventi una risorsa per maturare l’umanità di tutti, ma significa anche, nelle stesso tempo, impostare un’azione educativo-didattiva impegnativa sul piano operativo e cognitivo.
Ritenere essenziale l’intervento precoce Le ricerche ci confermano ciò che i più attenti educatori da sempre evidenziano, ossia la fondamentale importanza di intervenire quanto prima, di fronte alle difficoltà che si presentano negli allievi, come si è già detto, i risultati più importanti si ottengono intervenendo precocemente. La scuola deve assumersi le sue responsabilità, l’insegnante ha il diritto-dovere di intervenire immediatamente di fronte alle difficoltà poiché è deleterio aspettare, attendere un’ipotetica maturazione dell’allievo che possa risolvere “naturalmente” un’incapacità evidente, un’inabilità nell’apprendimento, un’anormalità nell’atteggiamento e nel comportamento sociale, una difficoltà sensoriale e motoria.
Operare per permettere le influenze positive
fra le capacità
La plasticità cerebrale e l’equipotenzialità della sua struttura funzionale ci inducono a sostenere la necessità di considerare attentamente nella proposta formativa le conseguenze degli apprendimenti. Una funzione acquisita ha delle ricadute su quelle non ancora espresse pienamente: il coordinamento motorio è essenziale allo sviluppo cognitivo, il linguaggio è fondamentale per lo sviluppo del pensiero, le abilità sociali sono determinanti per la maturazione globale dell’individuo. Emerge perciò la necessità di un’adeguata programmazione interdisciplinare, in grado di coniugare queste certezze con una proposta formativa unitaria e condivisa sul piano degli obiettivi e su quello dei contenuti.
Sollecitare le percezioni analitiche
e la contestualizzazione
Molti studiosi hanno dimostrato il ruolo basilare giocato dalla percezione nello sviluppo cognitivo: percepire è molto più di un semplice processo recettivo, è una capacità che coinvolge pienamente non soltanto i sensi, ma anche l’elaborazione mentale delle informazioni e l’abilità di significazione sottostante. Da qui la necessità di sollecitare continuamente il soggetto a porre la sua attenzione sui dati della realtà, sui particolari, in modo che egli impari a confrontarsi con essi. Un esercizio ricorrente dovrebbe essere quello di indurlo a riflettere sui particolari di un’attività, sugli elementi costituenti l’insieme del compito, prima di operare. Solo in un secondo momento si proporranno attività atte a sollecitare le abilità di contestualizzazione.
Marcel Danesi(5) parla esplicitamente dell’esigenza di assumere alla base dell’azione educativo-didattica un modello educativo strettamente legato al funzionamento cerebrale che ha, fra i suoi cardini fondamentali, il principio pedagogico della contestualizzazione. È molto importante che l’allievo venga continuamente sollecitato a comprendere i nessi causali tra i fattori, le ragioni degli avvenimenti, le connessioni che portano a determinati conclusioni. Un ottimo metodo al riguardo è quello di chiamare gli allievi a ripercorrere i passaggi importanti, a sintetizzare verbalmente le fasi eseguite, a contestualizzare i risultati acquisiti dopo lo svolgimento di un’attività o al temine di un percorso formativo.
Programmare esperienze attive
Il nostro cervello è un organo delicatissimo, ma estremamente potente e per funzionare adeguatamente ha bisogno di essere utilizzato, perciò, come sottolinea Eccles, occorre che esso venga sollecitato a fronteggiare problemi e a risolverli poiché tutta la nostra “vita dipende dal cervello”. Ciascun alunno ha quindi il bisogno di essere quotidianamente condotto ad operare attivamente, a confrontarsi con le difficoltà naturali della vita e a risolvere problemi; è necessario perciò sollecitare l’allievo ad eseguire compiti ed attività, dove sia costretto a confrontarsi con problematiche sempre più varie e complesse in tutti gli ambiti che contribuiscono allo sviluppo essenziale dell'uomo.
Affermare la funzione dell'integrazione
Da quanto sottolineato precedentemente emerge quanto sia assurdo, al giorno d’oggi, parlare ancora di integrazione. L’uomo, per espandersi in tutta la sua umanità, ha bisogno di percorrere i sentieri della vita normale e ciò ha una valenza anche maggiore per il disabile, il quale, per esercitare appieno le proprie potenzialità, ha bisogno di vivere nel mondo e con gli altri, di confrontarsi con le questioni della vita quotidiana, di comprendere i diritti ed i doveri personali e sociali, di risolvere i nodi di un’esistenza sempre più complessa e difficile.
Considerare il potenziamento di tutte le intelligenze
Gardner (6) è certamente colui che ha posto all’attenzione di tutto il mondo scientifico la necessità di considerare l’intelligenza non semplicemente come abilità personale unitaria, ma molteplice. Tutto ciò, a livello educativo e scolastico, significa considerare che l’obiettivo della nostra azione formativa deve essere non settoriale ma globale. Esiste sempre il grave rischio che si prediliga sviluppare quelle abilità che si ritengono più utili alla vita del soggetto o per le quali spontaneamente dimostra attitudine, tralasciando invece di sollecitarlo correttamente in quelle abilità dove non riesce ad ottenere risultati significativi. È fondamentale, invece, prendere in seria considerazione nella nostra azione educativo-didattica, tutte le intelligenze dell’uomo ed insistere nel cercare di potenziare anche quelle che spesso si dimostrano meno sensibili nella maturazione.
Tenere presente il ruolo centrale del linguaggio
Il linguaggio dell’uomo è talmente importante per
la sua crescita maturativa che da qualsiasi parte si voglia analizzarlo si mettono in luce i suoi innegabili meriti. Lo sviluppo linguistico, infatti, è determinante per la nascita del pensiero e per la maturazione cognitiva, oltre che essere uno strumento indispensabile di comunicazione interpersonale e sociale.
Ne deriva la fondamentale importanza di porre nell’azione formativa una particolare attenzione alla funzione linguistica.
CONCLUSIONI
Un insegnante di sostegno è una preziosa risorsa che occorre salvaguardare e tenere in seria considerazione. Il suo lavoro, spesso silente e umile, è fondamentale per la scuola e la società perché rappresenta un “volano” che muove e sollecita la scuola ad accorgersi dell’ingiustizia palese che è insita in ogni allievo disabile, in ogni soggetto problematico. Egli, di conseguenza, obbliga ogni educatore a prendere posizione nei confronti di una realtà personale, a volte difficile da decifrare, ma anche postula un impegno professionale e personale volto all’innovazione e fondato scientificamente.
Luigi d'Alonzo
Docente di Pedagogia Speciale
e Pedagogia della Marginalità
e della Devianza minorile
(Facoltà di Scienze
della Formazione)
all’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano.
Delegato del Rettore di tutte
le iniziative necessarie
all’integrazione
degli studenti disabili.
Note
(1) M. D’ALONZO L. (2002), Integrazioni e gestione della classe, La Scuola, Brescia.
(2) CECCHINI M., Sviluppo intellettivo e sociale nella sindrome di Down, in FERRI R., SPAGNOLO A. (1989), La sindrome di Down, Il pensiero scientifico, Roma.
VIANELLO R.(1999), Difficoltà di apprendimento, situazioni di handicap, integrazione, Junior, Bergamo.
(3) SIMON M., KARASOFF P., Effective practicies for inclusive programs: a technical assistance planning guide, San Francisco: California research institute, Decembre 1992.
ALVORSEN A., SAILOR W, Integration of student with severe and profound disabilties: a review of research, in Gaylord-Ross R.(1990), Issues and research in special education, vol. 1. New York: teacher college press, p.110-172.
SALEND, SPENCER J.; DUHANEY, GARRICK L. M., The Impact of Inclusion on Students with and without Disabilities and Their Educators. Remedial and Special Education; v.20 n2 p114-26 Mar-Apr. 1999.
HUNT, PAM; GOETZ, LORI, Research on Inclusive Educational Programs, Practices, and Outcomes for Students with Severe Disabilities, Journal of Special Education; v.31 n1 p3-29 Spr 1997.
MORTWEET S.L., CHERYL A. UTLEY, WALKER D., HARRIET L. DAWSON, DELQUARDI J.C., REDDY SHALINI S., GREENWOOD C.R., HAMILTON S., LEDFORD D., Classwide Peer Tutoring: Teaching Students with Mild Mental Retardation in Inclusive Classrooms, Exceptional Children, v.65, n.4, Summer 1999.
(4) GAYLORD-ROSS R., Pack C.A. (1985), Integration efforts for students with severe mental retardation. In BRICKER D., FILLER J., (a cura di), Severe ritardation: theory to practice, p.185-207, Reston, VA,Council for exeptional Children.
GIANGRECO M., PUTMAM J. (1990), Supportive the education of students with severe disabilities in regular education environments. In MEYER L., PECK C., BROWN L., (a cura di), Critical issues in the lives of people with severe disabilities, p.245-270, Baltimore, Paul H. Brookes.
(5) GAYLORD-ROSS R, PACK C.A. (1985), Integration efforts for students with severe mental retardation. In Bricker D., Filler J., (a cura di), Severe ritardation: theory to practice, p.185-207, Reston, VA, Council for exeptional Children.
GIANGRECO M., PUTMAM J. (1990), Supportive the education of students with severe disabilities in regular education environments. In Meyer L., Peck C., Brown L., (a cura di), Critical issues in the lives of people with severe disabilities, p.245-270, Baltimore, Paul H. Brookes.
(6) GARDNER H.(1988), Formae Mentis, Feltrinelli, Milano.
Bibliografia dell’autore
D’ALONZO L., (1995), Diversità e apprendimento, La Scuola, Brescia.
D’ALONZO L., (1997), Handicap: obiettivo libertà, La Scuola, Brescia.
D’ALONZO L., (1999), Demotivazione alla scuola. Strategie di superamento, La Scuola, Brescia.
D’ALONZO L., (2002), Integrazioni e gestione della classe, La Scuola, Brescia.
D’ALONZO L., (2002), Disabilità e potenziale educativo, La Scuola, Brescia.
D’ALONZO L., (2003), Pedagogia speciale, La Scuola, Brescia.
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