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Una scuola superiore attenta alla disabilità
L’inserimento dei disabili è un fatto recente alla scuola superiore. L’ISITIP di Verrès ha avviato una riflessione approfondita sul tema e ha
elaborato specifici percorsi d’inserimento.
A Châtillon, il 28 novembre 2003, si è svolta una giornata di studio con il tema "Una Politica per il Progetto di Vita". All'interno di questa giornata è stata presentata dalla scrivente una relazione dal titolo "Esperienza di un insegnante sull'inserimento scolastico e di sostegno all'integrazione". Qui di seguito ne viene proposta una sintesi.
Nell'Istituzione Scolastica dove lavoro, l'Istituzione Scolastica di Istruzione Tecnica Industriale e Professionale di Verrès, sono iscritti 429 alunni; vi operano 102 insegnanti di cui 8 di sostegno, 7 assistenti educatori e il personale non docente (bidelli, personale di segreteria, tecnici, ecc.) è costituito da 36 unità.
Nella scuola superiore, l'esperienza con la disabilità è molto recente. Il primo alunno, iscritto nel nostro istituto nel 1993, aveva una disabilità di tipo sensoriale e conseguì il titolo di studio nel 1998. In questo momento sono iscritti 12 alunni in situazione di handicap, con diagnosi molto diverse: dalla sindrome autistica alla sindrome di Down, dalla disabilità motoria a quella psicofisica.
Per i nostri alunni sono previsti due percorsi scolastici:
- una programmazione globalmente riconducibile agli obiettivi minimi previsti dai programmi ministeriali;
- una programmazione differenziata in vista di obiettivi didattici formativi non riconducibile ai programmi ministeriali.
Non si tratta di percorsi statici con strut
ture di programmazione rigida: in anni successivi al primo è sempre possibile cambiare la programmazione da differenziata ad obiettivi minimi e viceversa. La maggioranza dei nostri alunni con disabilità segue una programmazione differenziata (9 alunni su 12). Per comprendere meglio le problematiche che incontriamo, analizzeremo ora nel dettaglio i due possibili percorsi.
Nella programmazione riconducibile agli obiettivi minimi previsti dai programmi ministeriali è possibile prevedere un programma minimo, con la ricerca dei contenuti ‘essenziali’ delle discipline oppure un programma equipollente con la riduzione parziale e/o la sostituzione dei contenuti, ricercando la medesima valenza formativa (art. 318 del d. legisl. 297/1994).
Agli esami di qualifica e di stato, le prove sono equipollenti a quelle assegnate agli altri candidati e possono consistere nell'utilizzo di mezzi tecnici o modi diversi, ovvero nello sviluppo di contenuti culturali e professionali differenti, ma adeguati alla situazione di handicap e alle conoscenze, competenze e capacità che si devono accertare. In ogni caso le prove equipollenti devono, comunque, essere coerenti con il livello degli insegnamenti impartiti all'alunno in situazione di handicap e idonee a valutare il progresso dell'allievo in rapporto alle sue potenziali attitudini e al livello di partenza (d.m. 26 agosto 1981). Alla fine di questo percorso, gli alunni partecipano dunque a pieno titolo agli esami di qualifica e/o di stato ed acquisiscono il titolo di studio.
La programmazione differenziata necessita innanzi tutto del consenso della famiglia (art. 15, c. 5, o.m. n. 90 del 21/5/01) e si articola in un piano di lavoro personalizzato per l'alunno, che dovrebbe essere stilato da ogni docente del consiglio di classe per ogni singola materia, sulla base del PEI. In realtà solo per alcune discipline il piano è articolato con i docenti curricolari e spesso si delega al docente di sostegno il piano di lavoro personalizzato e di conseguenza l'attività svolta con l'alunno. Agli esami di qualifica e di stato, gli alunni che seguono questo secondo percorso, svolgono prove differenziate, finalizzate al conseguimento di un attestato delle conoscenze, competenze e capacità conseguite. Tale attestazione può costituire - in particolare quando il piano educativo individualizzato prevede esperienze di tirocinio, stage, inserimento lavorativo - un "credito formativo" spendibile anche nella frequenza di corsi di formazione professionale e nel lavoro, nell'ambito degli accordi tra amministrazione scolastica e regioni (art. 312 e seguenti del d. legisl. n. 297/94). A tutt'oggi non esiste un accordo di programma nella nostra Regione e quindi la certificazione è “priva di senso” in quanto non ha una sua spendibilità. La differenziazione della programmazione si struttura anche nell'offrire percorsi integrati d'istruzione e formazione professionale (i cosiddetti "percorsi integrati"), con la conseguente acquisizione del credito formativo (art. 15, c. 4, o.m. n. 90 del 21/5/01). Questi si attivano di norma al termine del biennio superiore e si realizzano nell'arco di tre anni scolastici durante i quali, accanto allo sviluppo e completamento del percorso formativo di base, s'innesta, con spazi sempre più ampi, il percorso d'orientamento e di avviamento al lavoro.
L'obiettivo è preparare i disabili per una mansione di lavoro reale, invece di “intrattenerli” in attività occupazionali, anche gratificanti o positive sotto l'aspetto della socializzazione, ma senza alcuna prospettiva per una reale integrazione nella vita da adulto. Si potrebbe pensare ad attività occupazionali protette per trovare una soluzione possibile allo sbocco lavorativo del disabile. Si dovrebbero prevedere interventi che rispondano ai bisogni dei soggetti che per natura e gravità del deficit possono svolgere attività produttive guidate e con modalità e ritmi diversificati rispetto alla norma. Queste attività dovrebbero comprendere al loro interno una valenza riabilitativa, educativa e socio-assistenziale, oltre che occupazionale. Un lavoro non è soltanto vitale per l'indipendenza economica, è anche un mezzo per la realizzazione personale,
la chiave dell'autonomia della vita, fattore inoltre di cittadinanza. Il ruolo e la figura dell'insegnante di sostegno L'assistenza di base è parte fondamentale del processo d'integrazione scolastica e la sua concreta attuazione contribuisce a realizzare il diritto allo studio costituzionalmente garantito. È nelle competenze della scuola non solo l'assistenza degli alunni in situazione di handicap, anche nel caso della momentanea assenza degli insegnanti, ma anche fornire l'aiuto materiale che l'handicap richiede per l'accesso e l'uscita alle aree esterne alla scuola, nonché offrire una assistenza qualificata all'interno delle stesse strutture scolastiche per l'uso dei servizi igienici o seguirlo nella cura personale.
L'attività di assistenza ai disabili fuori Valle d’Aosta è di competenza dei bidelli, personale ausiliario delle scuole, (nei limiti di quanto previsto dal CCNL - comparto Scuola - art.31 - tab. A - Profilo A2: "Collaboratore scolastico"), i quali hanno diritto a un corso di formazione e a un premio incentivante per questo tipo di attività, che comunque si svolge nel normale orario di servizio e non in orario aggiuntivo, come chiarito dalla circolare del Ministero dell'Istruzione del 30 novembre 2001.
L'obbligo dell'assistenza agli alunni con handicap per l'igiene personale e per l'accompagnamento ai servizi igienici, gravante sui bidelli è stato anche affermato nell'intesa stipulata il 13/9/2000 fra l'ANCI (Associazione Nazionale Comuni d'Italia) e il Ministero della Pubblica Istruzione.
In Valle d'Aosta, invece, i bidelli hanno un contratto regionale, differente da quello nazionale.
Dell'assistenza di base se ne occupano in genere gli assistenti educatori e, a volte, anche alcuni insegnanti di sostegno. Ma è proprio il loro compito?
E con questa domanda un po' provocatoria vorrei spostare la riflessione sul ruolo dell'insegnante di sostegno. Vediamo che cosa dice la normativa.
L'insegnante di sostegno è, a tutti gli effetti, docente dell'intera classe (art. 13, c. 6, l. 104/92), in quanto
"… assume la contitolarità delle classi in cui opera, partecipa alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di classe e dei collegi dei docenti" e "partecipa pieno titolo alle operazioni di valutazione, con diritto di voto per tutti gli alunni della classe" (art.15 c. 10 dell'o.m. 90 del 21/5/2001).
La circ. m. n. 250/1985 ribadisce che "la responsabilità dell'integrazione è al medesimo titolo dell'insegnante di classe e della comunità scolastica", in quanto
l'alunno fa parte della classe e non deve essere affidato esclusivamente all'insegnante di sostegno, poiché si dovrebbe parlare di inserimento e non di integrazione.
A mio parere sono molto efficaci le parole di Dario Ianes per delineare il ruolo dell'insegnante di sostegno.
Egli deve "…essere in grado di progettare in maniera individualizzata, integrata al contesto di classe, ma sempre con l'occhio al Progetto di vita; ... parlando di progettualità bisognerebbe avere uno strabismo a tre occhi.… Un occhio ti serve a guardare le esigenze di sviluppo del soggetto; un soggetto con ritardo è portatore di esigenze che sono realmente sue (es. non sa ancora mentalmente fare alcune operazioni). Allora un altro occhio in maniera strabica va a vedere quello che succede alla classe, cosa fa la classe, cosa fanno i compagni e come lui potrebbe agganciarsi in maniera significativa a quella programmazione. Poi c'è un terzo occhio che in maniera strabica va a vedere il progetto di vita."
Questo è quello che ipoteticamente dovrebbe accadere, ma se così fosse non ci troveremmo ad affrontare problemi quali: "Chi sostituisce l'insegnante di sostegno?". In teoria, tutti gli insegnanti curricolari dovrebbero farsi carico del progetto d'integrazione, in particolare nei tempi scolastici in cui l'insegnante di sostegno non è presente in aula. Nella realtà, la disabilità, che spesso non si conosce, spaventa. Per superare questa difficoltà la nostra istituzione sta considerando di istituire iniziative di formazione per il personale (docente e non docente) che opera nell'Istituto, in modo da avere una partecipazione consapevole per una maggiore integrazione.
Se l'assenza non supera gli 11 giorni non è possibile, come per gli altri insegnanti, ottenere una sostituzione con personale supplente. E qui vorrei fare dei conti (scusate, ma è una deformazione professionale!). Supponiamo di avere un insegnante di sostegno sulla classe per 18 ore settimanali. In caso di assenza prolungata di circa due settimane, la classe (e sottolineo la classe e non solo l'alunno con disabilità), perde il sostegno per 36 ore. L'assenza di un docente di materia, invece, non supera le 20 ore, supponendo un insegnamento di 10 ore settimanali!
Alessandra Locci
Insegnante di matematica.
Dal 2003 insegnante di sostegno,
di ruolo, alle scuole superiori area 1.
Specializzata presso la SISS di Aosta.
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