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L'obbligo
scolastico non è più una virtù
Stando al primo decreto attuativo della
legge 53/03 saranno introdotti nel ciclo dell'obbligo, (termine ora scomparso
e sostituito dalla coppia diritto/ dovere, ma che conserva per me, in
ambito scolastico, il sapore di una conquista: obbligare un minore ad
andare a scuola, a vivere in un contesto stimolante e attrezzato significa
allontanarlo dalla strada, dalla tv pattumiera…), due regimi diversi
di orari, uno vincolante ed uno opzionale e facoltativo. Le singole istituzioni
articoleranno dunque i loro POF in due capitoli fondamentali, uno relativo
all'offerta vincolante ed uno relativo alla dimensione dell'opzionalità.
Per delineare questo impianto a due corsie, rimanendo l'ampiezza complessiva
della carreggiata la stessa, qualcosa doveva essere sacrificato. All'interno
del monte ore "obbligato" alla scuola media, per esempio, sono
stati operati alcuni tagli.
Meno tempo scuola obbligato dunque e via libera alle attività facoltative
e opzionali su cui vale la pena di fare alcune riflessioni.
In una fase iniziale, i primi anni di attuazione della riforma, è
pensabile che la quasi totalità dei nostri alunni, spinti dai genitori
ed invitati dalle scuole, si iscriveranno alle attività facoltative
che gli insegnanti, ricorrendo alla loro esperienza e per colmare almeno
in parte i tagli imposti ad alcune discipline, avranno organizzato con
una valenza educativa formativa forte. Ma poi? Che fine hanno fatto nel
passato le materie opzionali? Sono sopravvissute e hanno acquistato dignità
solo se
il loro statuto è cambiato e sono entrate a far
parte del pacchetto obbligatorio. Ipotizzo che la storia possa ripetersi:
offerte facoltative a valenza educativa forte, in grado cioè di
presentare agli alunni "mondi di possibilità" altri,
di offrire stimoli orientativi, di estrinsecare talenti personali, che
richiedono quindi necessariamente impegno in che misura saranno oggetto
della opzione di alunni e genitori? Per continuare a mantenere iscrizioni
e frequenze, quindi alunni e docenti, che tipo di offerta facoltativa
dovranno inventarsi le scuole? A quali compromessi pedagogici si potrà
arrivare pur di rendere appetibili le attività opzionali? È
vero che andare a scuola dovrebbe essere un piacere per gli alunni, ma
quale lavoratore, credendo che lo
stipendio non cambia, si aumenterebbe le ore di lavoro? In realtà
allungare il tempo di esposizione all'apprendimento fa aumentare lo stipendio-sapere,
ma bisogna crederci, fidarsi della professionalità degli operatori
della scuola, spronare i ragazzi a mantenere l'impegno, operare cioè
una scelta complessa. Il mio timore è che, pur di soddisfare le
esigenze dell'utenza si organizzeranno corsi improbabili, nasceranno mode
e si creeranno tendenze, perdendo un po' di vista la “mission”
educativa della scuola. I genitori più attrezzati sceglieranno
e convinceranno i propri figli a scegliere attività formative,
altri si fermeranno alle 27 ore sicure, i ragazzi avranno così
tre ore in più per seguire il “Grande Fratello”. Molti
dei nostri alunni, già ora, di fatto sono stimolati e spinti dalle
famiglie a personalizzare i propri piani di studio con attività
altre (corso di inglese, musica, sport), ma gli altri? Quelli che al pomeriggio
incontri sempre, che, nonostante tutto il tempo che hanno a disposizione,
non fanno quasi mai i compiti e non leggono nessun libro; chi li convincerà
a venire a scuola sei ore
in più, potendo stare promossi ugualmente? Non credo che la scuola
diventi più appetibile, più interessante dopo questa operazione
di “liposuzione oraria”, rimango convinta che non sia un'agenzia
educativa accanto ad altre. In una società che dà importanza
al patrimonio umano costituito dai suoi giovani la scuola dovrebbe essere
il baricentro degli interventi formativi e, in collaborazione con le famiglie,
lanciare proposte educative forti e lungimiranti, perché suo compito
è preparare i cittadini di un mondo che possa ospitare un numero
sempre crescente di persone libere, pacifiche, che proprio nelle aule
scolastiche hanno fatto le esperienze fondanti di cultura, di convivenza
e di impegno.
Giovanna Sampietro
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