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Che
giornata!
Le vicissitudini di un’insegnante precaria,
che, nonostante ogni settembre debba memorizzare almeno 200 nomi nuovi
e discutere con almeno 10 colleghi convinti che la sua sia una disciplina
di serie B, crede profondamente nel valore formativo dell’educazione
musicale.
“Oh Dio! Che incubo terribile!”, “Che
classe!”... e mi dicevano: “Ti faremo la pelle!”.
Tre battute queste tratte dal copione del mio primo progetto teatrale
multidisciplinare, quando l’insegnamento dell’educazione musicale
alla scuola media costituiva per me il primo approccio al mondo del lavoro…
Correva l’anno 1991 ed io, giovane e curiosa insegnante/supplente,
avevo accettato il mio primo incarico nella scuola Media di Nus.
Sono trascorsi quasi vent’anni dal mio primo giorno di scuola (gli
insegnanti della mia disciplina sono ormai “campioni del precariato”:
corsi abilitanti, concorsi ed esami li hanno illusi nella speranza di
un posto di ruolo…, ma poi li precede sempre qualche collega che
arrivato da altre regioni, supera l’esame di francese e passa in
ruolo per aver avuto accesso a concorsi di altre fasce), il mio incubo
non sono gli alunni, che in realtà non mi hanno mai fatto la pelle,
la vera angoscia è ricominciare ogni anno a settembre: almeno sette
classi, almeno duecento nuovi nomi da associare ad altrettanti volti,
con relativi genitori, peculiarità, precedenti scolastici e storie
di ogni genere e almeno dieci colleghi convinti che la mia sia una disciplina
di serie B.
Anno dopo anno, gli sguardi curiosi e le liete frasi di accoglienza in
sala insegnanti in realtà nascondono una sola chiara e semplice
domanda: “ma tu sei di quelle insegnanti che portano gli alunni
ai giardinetti, nelle cui lezioni regna sempre il caos, e che ignorano
qualsiasi obiettivo educativo oppure… sei dotata di cervello?”
Capita a volte che alcuni insegnanti paludati, delle materie che contano
non ci riconoscano neanche “il bene dell’intelletto”:
recentemente mi è capitato di fare su un alunno considerazioni
di carattere pedagogico/educativo e, mentre osservavo gli sguardi
perplessi dei miei colleghi, mi è stato detto “scusa il nostro
stupore, ma non siamo abituati ad un insegnante di educazione musicale
che rifletta sul suo operato e che faccia simili interventi”.
In realtà, l’unica vera maniera che io conosco per essere
di serie B nella scuola è sottrarsi al compito, nascondersi dietro
a proposte didattiche preconfezionate e rivolgersi ai ragazzi come ad
un pubblico indifferenziato e impersonale. Se un insegnante delle discipline
che quasi per gioco qui definiamo di serie B interpreta il suo ruolo in
modo stereotipato, allora sì che retrocede in serie B compromettendo
ulteriormente le possibili e fruttuose collaborazione con i colleghi di
“serie A”. Fortunatamente la mia esperienza mi dice che il
più delle volte non è così.
Allora, da dove cominciare per presentare il mio modo di fare scuola?
Dagli alunni, senza dubbio.
Loro del nostro B ne hanno veramente bisogno, e in genere sono i più
facili da convincere, si appassionano, scoprono, meglio ancora se le proposte
si articolano in attività multidisciplinari. È nei progetti,
infatti, che A e B si affiancano, vivono e percorrono strade comuni, si
alternano alla guida e spesso, è proprio B a condurre A.
“Che giornata!”
Progetto multidisciplinare |
Scuola Media del Villair
di Quart: Istituzione scolastica “Monte Emilius 2”
Anno scolastico: 2002/2003
Classe: III B
Discipline: Educazione Musicale, Educazione Fisica, Lettere
Insegnanti: Agnese Di Trani, Raffaella Rosset, Rosalba Rastello
Durata: tutto l’anno scolastico, 2 moduli settimanali.
Il progetto nasce da un’idea delle tre insegnanti
spinte dal solo obiettivo di stimolare, negli alunni, una riflessione
sulla comunicazione verbale/non verbale.
Si ipotizza come prodotto finale, una riflessione sulla comunicazione
teatrale, ma né in partenza né in seguito comparirà
mai un copione: espressività corporea, creatività,
improvvisazione, linguaggio verbale e non verbale saranno le aree
interessate. Non si impone e nemmeno si propone alcuna scelta, alcun
contenuto, alcuno stile: le insegnanti delimitano i tempi di lavoro,
osservano l’attività, e spiegano semplici consegne
nelle quali si richiede di rappresentare con la gestualità
del corpo ciò che si sente di voler “raccontare”.
Il laboratorio di improvvisazione (mimica verbale ed espressiva)
si svolge in palestra, durante la compresenza a tre: l’attività
prosegue con una “mise en commun” dei lavori di gruppo,
durante la quale le insegnanti coordinano gli interventi degli alunni
che, riflettendo sulle loro rispettive “performances”,
esprimono così le loro scelte, i contenuti che preferiscono
affrontare e danno forma ad uno stile condiviso.
Dagli alunni emerge il desiderio di trattare il tema della loro
vita quotidiana, ripercorrendo i piccoli gesti che compongono le
varie parti di una giornata – tipo di un adolescente.
Le prime produzioni sono mimiche, e fanno emergere vari temi come
quello della famiglia, della scuola, dell’amore, dell’amicizia
ed anche la guerra e gli anziani.
Anche gli alunni particolarmente attrezzati nell’area verbale
e più scarsi in quella espressiva hanno reagito positivamente
alle proposte e si sono messi in gioco, dimostrando di prediligere
l’espressività corporea, la comunicazione gestuale,
l’analisi e la produzione dei suoni della quotidianità
per esprimere loro stessi e il loro pensiero.
L’intervento di due tecnici teatrali (compagnia “Ops”
di mimo) ha permesso di arricchire questa esperienza con conoscenze
e competenze specifiche.
Procedendo nell’attività, seguendo e stimolando la
spontaneità dei ragazzi, abbiamo in seguito affiancato al
gesto la parola: i ragazzi hanno cominciato a produrre brevi testi
e hanno manifestato l’esigenza di accompagnarli con la musica.
Gli alunni hanno scritto liberamente, come in una pioggia di idee,
frasi e parole sulla loro vita. La rielaborazione collettiva di
tutte le produzioni, affiancata ad uno studio ritmico guidato, ha
portato alla creazione del Rap “Al ritmo della vita”
che inserito nella rappresentazione teatrale finale vedeva interagire
linguaggio verbale, non verbale, espressività corporea e
percezione ritmica.
Inutile sottolineare quanto siano emerse capacità e competenze
acquisite in alunni con problemi di apprendimento che hanno invece
avuto l’opportunità di dimostrare quanto B possa essere
un mezzo per arrivare ad A, e quale migliore esempio per riflettere
su
quanto B può condurre A?
Al ritmo della vita
(ragazzi)
Che mondo, che strano questo mondo
Che vita, che vita la mia vita
Forse sto vivendo un sogno
Ma sogno, oppure sono sveglio?
La vita è una canzone che mi da emozione
Neghiamo la tristezza, troviamo ispirazione
Mi muovo e sento che esisto forse esisto
La vita è tutto un circo ed io ne sono il clown
(anziano)
Ehi, ragazzi, voi state sbagliando
Io non sorrido più di questa vecchia vita
Avrei voglia di qualcuno che mi tenda la sua mano
Che mi dia qualche minuto per non esser sempre muto
(ragazzi)
Il mondo sta cambiando non c’è
più differenza
Tra quello che era bene e ciò che oggi è male
Voglio un click, un click sulla tivù
Faccio un click e la guerra non c’è più
(tutti)
Balliamo tutti insieme, balliamo questo ritmo
Il ritmo della vita, la vita che sei tu!!! |
L’inevitabile scontro tra
A e B
Se durante l’anno si possono creare occasioni di
reale collaborazione tra insegnanti di serie A e serie B, un momento topico
di inevitabile scontro rimane, purtroppo, quello dell’esame, del
colloquio orale in particolare.
Gli alunni affrontano già come prove scritte italiano, matematica,
francese, inglese e troppo spesso la prova orale vede ancora le stesse
discipline in primo piano.
Dare più spazio alle educazioni renderebbe il colloquio d’esame
più gratificante, dimostrando all’alunno che è in
grado di muoversi tra le discipline e consentendogli di esprimere più
completamente la sua individualità.
Sovente però all’interno della Commissione A e B si scontrano
e ancora più sovente B si fa da parte.
Ricordo l’esame orale di un alunno con evidenti difficoltà
espressive e di organizzazione del pensiero, ma grandi doti e forte passione
per l’arte ed il disegno: venti minuti di angoscia sua e nostra
con il suo colorito sempre più paonazzo e la voce che si affievoliva
sempre più ad ognuna delle insistenti domande sull’intero
programma di storia, ed. civica, geografia, antologia... e così
via, fino al tanto atteso momento del silenzio.
La collega, insegnante di educazione artistica, finalmente rompeva il
ghiaccio presentando al candidato un documento di storia dell’arte,
che gli occhi dell’alunno accoglievano con entusiasmo, ma di lì
a poco ecco l’insegnante di lettere commentare “non mi sembra
il caso di torturarlo oltre, e poi… siamo fuori tempo!”
Questo episodio si è concluso con un inevitabile scontro tra i
membri della commissione che, per una volta, hanno riconosciuto le responsabilità
di A. Ma faceva caldo, era giugno e le vacanze, si sa, spesso fanno dimenticare…
Lavorare in verticale
Negli ultimi anni, la creazione di Istituzioni comprensive
ha regalato, in particolare a noi insegnanti di educazione musicale, un
vantaggio: fare musica interagendo con classi della materna e della scuola
elementare nella stessa istituzione incrementa la continuità, favorisce
la collaborazione sul piano educativo e formativo, crea spazio al raggiungimento
di importanti obiettivi disciplinari.
È complesso programmare le attività dai tre ai quattordici
anni, rapportarsi con adolescenti sempre più da “convincere”
che anche la musica ha il suo sapere, ma capita anche che dopo un’attività
vivace e stancante con un gruppetto di bambini di tre anni loro ti salutino
e ti dicano: GRAZIE!
Ah! dimenticavo: lavorando in verticale i famosi duecento nomi da memorizzare
diventano trecento.
Agnese Di Trani
Insegnante di educazione musicale.
Attualmente impegnata nell’Istituzione scolastica Aosta 4 (scuola
media).
Diplomata al conservatorio di Alessandria in pianoforte principale.
È attiva da circa quindici anni nel campo dell’animazione
sociale, psicopedagogica, nella formazione di personale qualificato e
nell’organizzazione di eventi speciali di animazione.
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