link home page
link la revue
link les numéros
link web école
links

E passò oltre



L’autore giustifica la collocazione dell’educazione musicale all’interno di un curricolo della scuola superiore, convinto che le discipline abbiano tutte lo stesso valore. Diversa è solo la considerazione che la cultura ufficiale attribuisce loro.

La riflessione su discipline A e discipline B mi riporta indietro nel tempo di oltre quindici anni, quando, dopo avere insegnato all’Istituto Musicale di Aosta, sono ritornato nella scuola media come insegnante di Educazione musicale (vi ero già stato come supplente annuale).
Questo ricordo, non a caso, è ancora molto chiaro, perché legato ad una profonda, e per certi versi sofferta, “crisi professionale”. Arrivavo da una esperienza in cui le discipline musicali appartenevano senza dubbio all’insieme A e la chiara percezione che ora la mia disciplina appartenesse all’insieme B l’ho avuta nel corso del mio primo “colloquio parenti”.
Una mamma, avvicinandosi al banco dietro al quale mi trovavo, mi chiese che disciplina insegnassi ed alla mia risposta: “Educazione musicale”, con grande serenità e tranquillità, passò oltre e si fermò a conversare con il mio collega di matematica.
Fu in quella occasione che ho maturato la necessità di chiarire a me stesso se l’essere insegnante di una disciplina B rappresentasse effettivamente una posizione di subordine rispetto a quella dei miei colleghi insegnanti di discipline A, perché, in quel caso, avrei dovuto rassegnarmi a questa realtà ed accettarla oppure decidere di cambiare lavoro.
Come in molte altre occasioni, non tutti i mali vengono per nuocere e questo mio profondo disagio si tramutò in una necessità di ricercare nuove informazioni ed approfondire ulteriormente le mie conoscenze sulle valenze educative della musica, sulla sua ragione di essere collocata in un curricolo della scuola dell’obbligo, sul suo rapporto con le discipline di serie A. L’avere ottenuto un diploma di “Didattica della musica” in Conservatorio e l’essermi preparato per il superamento degli esami di abilitazione per l’insegnamento nella scuola superiore (anche con prove della durata di 12 ore) non era evidentemente stato sufficiente per chiarire esattamente il rapporto della mia disciplina nei confronti delle discipline dell’area A. Man mano che il lavoro di approfondimento procedeva, mi convincevo però sempre di più che la materia che insegnavo aveva una sua ragione di essere nel curricolo della scuola media, accanto a materie quali italiano o matematica, proprio per le potenzialità educative che le erano proprie.
La conclusione a cui sono giunto è che la differenza fra discipline di serie A e discipline di serie B non è insita nelle discipline stesse, bensì nella considerazione che queste rivestono nella cultura ufficiale.
A questo proposito, parafrasando un’affermazione di Carlo Delfrati, uno dei pionieri dello studio dell’educazione musicale in Italia, ci si potrebbe provocatoriamente chiedere: “Perché un trombettista che sbaglia un congiuntivo è un ignorante, mentre un insegnante di greco e latino che non sa suonare la tromba non lo è?”.
La presa di coscienza del ruolo della mia disciplina nel curricolo della scuola dell’obbligo ha anche radicalmente cambiato il mio modo di “essere insegnante di educazione musicale”.
Da quel momento non ho più “sofferto” di essere un insegnante di disciplina B, anzi, ho avuto l’impressione che i colleghi mi considerassero maggiormente.
Ho avuto anche la percezione che questa consapevolezza cambiasse il mio ruolo all’interno dei consigli di classe: molto più spesso avevo considerazioni da esprimere su di un alunno o su di una classe, talvolta quanto e più della mia collega di italiano o di francese. Credo, inoltre, pur non avendone le prove, che da quel momento sia cambiato anche il mio modo di insegnare: sono veramente convinto del valore delle attività che propongo in classe e questa mia convinzione è spesso ciò che di meglio so dare ai miei allievi.
Oggi non mi stupirei più se una mamma non dovesse fermarsi al mio tavolino durante il colloquio con i genitori: se io, che sono l’insegnante, ho dovuto studiare tanto per capire fino in fondo la validità della disciplina che insegno, non posso certo pretendere che altrettanto possa fare ogni genitore.

Le “quarte” all’Opera

Il curriculum del Liceo Linguistico moderno e del Liceo delle Scienze Sociali di Verrès prevede nelle tre classi del triennio due ore settimanali di disciplina opzionale. In queste ore le classi diventano “aperte” e si dividono a seconda delle discipline scelte dai singoli studenti, a cui è data la possibilità di decidere se seguire lezioni di musica, di latino o di statistica.
Opzionali non vuol dire facoltative, queste ore prevedono infatti la frequenza obbligatoria e una valutazione curricolare. In ogni disciplina si sviluppa, per quanto possibile, un programma modulare che tende a concludersi ogni anno, in modo che lo studente possa cambiare ogni anno l’opzione.
È in questo ambito che, nel programma di musica previsto per le classi quarte, svolgo un itinerario didattico che parte dalla nascita del melodramma (intorno al Seicento) e ne segue lo sviluppo sino alla prima parte del Novecento. La scelta del genere e dell’ambito storico è legata ai programmi che gli studenti svolgono nella classe quarta: in particolare in storia, in filosofia e nelle letterature.
Il percorso trova il suo punto focale nello studio e nell’analisi approfondita di un’opera completa, scelta fra quelle in cartellone al Teatro Regio di Torino, in modo da poter assistere anche all’esecuzione dal vivo dell’opera studiata.
Partitura alla mano, si seguono le intricate vicende della trama, si cantano le melodie più rappresentative, si indaga su come la parola sia talvolta insufficiente a caratterizzare i personaggi e su come la musica, attraverso una valenza espressiva che le è propria, sopperisca a questa mancanza creando momenti di grande tensione emotiva.
L’attività termina quindi con la “trasferta” primaverile al Teatro Regio per un pomeriggio dedicato all’opera.
Il momento della valutazione consente ai ragazzi di riflettere sull’esperienza per arrivare ad esprimere giudizi e sensazioni. Si tratta, infatti, della stesura di un saggio breve. Per arricchire le argomentazioni dei ragazzi, vengono loro fornite alcune critiche all’opera vista.
Il risultato cui spero sempre di arrivare è la soddisfazione espressa dai ragazzi per avere avuto occasione di assistere ad una rappresentazione operistica: per quasi tutti si trattava della prima volta e, per molti di loro, potrebbe trattarsi dell’ultima (vedi box).
La conferma dell’autenticità di tali valutazioni si dimostra in genere l’anno successivo quando diversi studenti, ormai giunti in quinta, chiedono di potersi aggregare ai ragazzi della classe quarta, per ripetere l’esperienza tornando nuovamente all’opera (dopo una breve preparazione appositamente prevista).
Questa esperienza ha confermato una mia convinzione: la fruibilità di alcune iniziative culturali da parte dei giovanissimi dipende essenzialmente dall’opportunità fornita loro di capirle, attraverso un metodo di lettura e di “decodifica” che quasi sempre portano ad un giudizio che va aldilà del “non è bello” e del “non mi piace”.
L’itinerario seguito consente inoltre di allargare il campo di indagine ad un ambito culturale ben più ampio di quello musicale. Analizzando i motivi che hanno portato alla nascita del melodramma, si rilevano le convinzioni “umanistiche” del mondo culturale fiorentino della fine del Cinquecento; per operare un confronto fra teatro pubblico e teatro di corte alla fine del Seicento non si può prescindere dal conoscere le grandi trasformazioni sociali e culturali del XVIII secolo; parlando di musicisti di corte si analizza il complesso e vasto fenomeno del mecenatismo aristocratico e la sua grande funzione storica; parlando delle Nozze di Figaro di Mozart, si affrontano le differenze culturali, nel ’700, fra Vienna e Praga; studiando l’opera Don Giovanni di Mozart si vedono le trasformazioni di questo personaggio in un arco di tempo che va dal Seicento spagnolo (1630, Tirso de Molina) al teatro di Goldoni, passando per Molière, si parla dell’interpretazione che la cultura romantica ha dato di questo personaggio, si indaga su come il protagonista sia utilizzato come figura di riferimento nella filosofia del danese Kierkegaard; analizzando l’opera di Giuseppe Verdi si confronta il romanticismo italiano con quello degli altri paesi europei, si rilevano le idee e i valori della borghesia e del mondo intellettuale italiano che il compositore ha fatto proprie, facendole oggetto di narrazione nei suoi principali capolavori; ascoltando alcune pagine di Puccini o Leoncavallo ci si avvicina al naturalismo e alla sensibilità della letteratura verista; affrontando l’opera wagneriana si possono analizzare i temi mitologici utilizzati dal compositore alla luce di alcuni principi filosofici di Schopenhauer e di Nietzsche.
A me sembra che questa attività dimostri ancora una volta come la trasmissione dei “saperi” e l’acquisizione di competenze da parte degli studenti possano essere validamente ottenute, o almeno proficuamente integrate, attraverso discipline di tipo B.
Ma se questo è vero, come mai nelle scuole superiori non è previsto lo studio della musica mentre la storia dell'arte si studia per cinque anni al liceo classico, per cinque anni allo scientifico (con disegno), per tre anni tre nei corsi, come i nostri, che hanno raccolto l'eredità dell’Istituto magistrale?
Non sarà che la musica è più B delle discipline dell’area B?

MAI AVREI PENSATO CHE L’OPERA MI COLPISSE TANTO!
Analizza i documenti relativi a La fanciulla del West allestita al teatro Regio di Torino e confrontane il contenuto con le impressioni, le eventuali emozioni, le conoscenze nuove che ha suscitato in te questo spettacolo: quali sono gli aspetti che ti hanno colpito maggiormente, quali quelli che hai apprezzato di meno? Esprimi anche un tuo parere su come questo tipo di spettacolo possa o meno interessare un pubblico di giovani.

“Quest’opera riesce a riassumere tutti i nuovi linguaggi musicali dell’inizio del 1900 e tiene conto degli esempi europei di Debussy, Strauss, Wagner. La vera innovazione fu, come attesta nel suo articolo Armando Caruso, nell’aver fatto la prima “opera cinematografica” della storia.
Per quanto riguarda la musica, Puccini affida un ruolo importantissimo all’orchestra. Grazie alla musica, vengono trasmesse le emozioni degli attori/cantanti e gli interventi delle arpe o degli archi suscitano in noi altrettante emozioni. Personalmente, ho apprezzato anche molto i momenti in cui si sentivano solo le voci dei cantanti. Erano davvero calde e piene di vitalità! Inoltre, come dice il maestro Mercurio, è stata una travolgente ondata di suoni a catapultarci nell’ambiente del West”.

Lidia Grosso

“A scuola, durante le ore di musica, abbiamo studiato l’opera, la sua evoluzione ed, in particolare, abbiamo analizzato e cantato alcune parti della famosa Fanciulla del West dell’altrettanto celebre autore Giacomo Puccini.
Il lavoro effettuato in classe ha alimentato la mia curiosità ed ha aumentato, o meglio, stimolato in me la voglia di conoscere ed assistere dal vivo ad un’opera.”

Laura Colosso

“Mai avrei pensato che l’opera mi colpisse così tanto. Appena spente le luci e aperto il sipario, mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo come nel lontano XVII secolo.
Appena ho visto il palcoscenico allestito in maniera così reale, ho avvertito una strana sensazione di stupore, e sono rimasta quasi incantata dallo spettacolo che i miei occhi stavano vedendo. Quando l’orchestra ha iniziato a suonare e i personaggi a cantare mi sono talmente lasciata trasportare dalla musica che intorno a me non c’era più niente: esistevamo solo più io ed il palco!
E pensare che prima di andarci pensavo che l’opera fosse una vera e propria lagna. E invece mi sbagliavo perché ho provato delle emozioni fortissime: gioia mischiata a stupore e commozione.”

Ilaria Colonna

“Pensavo che andare all’opera fosse noioso e invece ho dovuto ricredermi. Sicuramente, se a scuola non avessimo analizzato l’opera anticipatamente, avrei capito ben poco.”
Donatella Brunet

“Un ragazzo giovane considera l’opera come uno spettacolo per un pubblico di una certa età e spesso, senza conoscerla, la giudica una cosa troppo seriosa e noiosa. Dico questo perché anch’io prima di vederla avevo questo pregiudizio e se devo essere sincera non avrei mai pensato di assistervi una volta nella vita. Adesso però la consiglierei a tutti i miei coetanei!”
Ilaria Colonna

“Il mondo dei giovani potrebbe sicuramente avvicinarsi all’opera, ma ci dovrebbe essere anche una spinta da parte della scuola. È stata una bella esperienza andare all’opera e spero di avere altre occasioni per andarci.”
Donatella Brunet

“Penso che sia proprio il pregiudizio ad allontanare in parte i giovani dall’opera. Bisognerebbe sapere cosa si va a vedere se non si vogliono sorprese sgradite. Probabilmente se si affrontassero dei temi più attuali nelle rappresentazioni, all’opera ci sarebbe un pubblico giovanile più numeroso.”
Erika Favre

“Per quanto riguarda l’opera in sé, ritengo che la storia sia semplice, e questo rende lo spettacolo più facile ed accessibile a tutti. Per questo io credo che sarebbe giusto pubblicizzare maggiormente questo tipo di spettacolo, soprattutto nelle scuole. Penso che sia molto più facile e divertente guardare uno spettacolo teatrale o andare all’opera piuttosto che studiare sui libri la storia della rappresentazione. Questo invoglierebbe di sicuro gli alunni a studiare l’autore o il periodo storico di una certa opera in modo da capire meglio ciò che hanno visto. Un tipo di spettacolo come l’opera potrebbe essere apprezzato anche solo come piacere personale anche da un pubblico giovanile”.
Elisa Del Pesco

 

 

Efisio Blanc
Insegna presso l’Istituzione scolastica di istruzione scientifica e magistrale di Pont-Saint-Martin (sede di Verrès).
È stato presidente, dal 1992 al 1998, della sezione territoriale SIEM
(Società Italiana per l'Educazione Musicale) della dalle d'Aosta.
Dirige, dalla sua fondazione il “Coro polifonico di Aosta".
Autore di articoli e testi didattici.


couriel