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Quasi
un destino
Come sei diventata artista?
Sono diventata artista seguendo la mia natura, semplicemente, e cercando
di non tradirla mai. Nemmeno quando ho cominciato a capire quanto fosse
difficile dedicarsi ad una professione artistica in una città come
la nostra, così lontana da tutto il circuito dell'arte.
Il mio lavoro procura infatti inquietudini così profonde che possono
spingerti a ricercare soluzioni di vita molto diverse. Ancora di più
quando avverti il desiderio di diventare madre. Questo lavoro ha una dimensione
personale, intima, spesso, molto spesso confusa da chi è esterno
con il semplice "piacere ludico". Non è proprio così.
Ho sempre pensato che avrei fatto questo lavoro. Ritrovo questa convinzione
nella mia memoria da sempre, quasi un destino. Come tale lo vivo, nel
bene e nel male.
Quanto ti ha aiutata la scuola
nel tuo percorso professionale?
Ho studiato al liceo classico, dove la storia dell'arte era ridotta ai
minimi termini, relegata a due ore la settimana e con un coinvolgimento
di tipo solo teorico. Mai visitata la nostra città, mai frequentato
mostre, né musei accompagnati da professionisti addetti ai lavori.
La teoria cristallizzava tutto l'impatto emotivo attraverso le immagini
dell'Argan, (testo storico della storia dell'arte solitamente con immagini
in bianco e nero!). Chi voleva sperimentare in diretta la percezione artistica
se la doveva ricercare da solo. Tutto questo dai 14 ai 19 anni, il periodo
più fertile per capire i propri interessi e delimitare il campo
d’azione futuro.
In classe, su diciotto, in tre manifestavamo interessi artistici. Di questi
tre io e un compagno, diventato fotografo, abbiamo proseguito tra mille
difficoltà la nostra carriera.
Il terzo compagno, dotato di una voce bellissima da coltivare, non ha
potuto nemmeno gioire di qualche lezione di storia della musica, allora
ancora solo arte e non disciplina scolastica.
La scuola se ne stava ben distante dalla progettualità lavorativa,
così ci siamo fatti le ossa da soli, per confronto, affinando le
armi dopo la maturità. Oggi è molto diverso. C’è
uno sforzo di far vivere in presa diretta l’arte agli allievi, con
l’esperienza dello spazio dell’arte, classica o contemporanea
che sia. La scuola, inoltre, sta tentando di agganciarsi maggiormente
al mondo del lavoro, penso però che si facciano ancora investimenti
insufficienti nel campo della ricerca. Mancano investimenti per tecnologie
avanzate (di solito dedicate solo a materie scientifiche) e per sviluppare
gli scambi didattici con il mondo del lavoro e con l’estero. Penso
alle università inglesi che in estate programmano corsi per settori
specifici, ai quali non solo possono partecipare gli iscritti all’anno
accademico, ma anche ragazzi dai 12 ai 18 anni, di tutte le nazionalità.
Penso alle attività di una fondazione per l’arte contemporanea
a noi vicina, la Fondazione Pistoletto, che ogni anno propone ai suoi
stagisti la realizzazione di progetti adatti alla produzione industriale
per aziende italiane come la Illy, regolarmente messi in produzione. Sono
sforzi complessi, sinergie di capitali, tra aziende private ed istituzioni,
che finalmente fanno intravedere la possibilità di un rapporto
proficuo tra scuola e lavoro. Sforzi, purtroppo, ancora troppo esigui.
Adesso che sei tornata a scuola,
in altre vesti, lavorando fianco a fianco con gli insegnanti, condividendo
progetti didattici, come giudichi il senso dell'educazione artistica a
scuola?
La condivisione di intenti tra docenti ed esperto esterno è l’unico
modo per impostare progetti didattici a forte valenza artistica. Un progetto,
che non abbia attinenza con il lavoro svolto dagli insegnanti, può
colpire, affascinare, ma rischia di non essere realmente educativo. È
importante allenare i ragazzi a rintracciare il bello nelle pieghe del
quotidiano perché siamo anestetizzati dall’eccesso di bellezza
profusa davanti i nostri occhi. A scuola è importante "far
fare arte". Un bambino che dedichi energie e tempo a realizzare un
progetto artistico si appropria di un metodo conoscitivo profondo. Produrre
immagini, volumi o suoni è un’esperienza significativa, altamente
formativa.
Questo non solo per il mondo delle immagini: la musica non suonata non
può far parte della propria profonda esperienza "fattiva",
così come non si può conoscere a fondo il blu se non si
sperimenta la sua mescola, la sua vibrazione su carta, su legno e così
via, se non si “prova” la sua reattività in relazione
al resto.
Il mio ruolo nei progetti didattici? Consentire agli alunni di rendere
prodotto aspetti del vero che li circonda e che con l’elaborazione
possono assorbire nuove valenze di significato e bellezza.
Non solo storia dell’arte, storia della musica, ma confronto diretto
con l’opera d’arte, attività laboratoriali per imparare
a fruire in profondità dei prodotti estetici e scoprire nuove dimensioni
formative anche in un’ottica di orientamento più specifico.
Inoltre, lavorando a fianco degli insegnanti, ho verificato la difficoltà
che molti di loro incontrano a utilizzare quelle “specialità
e competenze” personali che esulano dalla disciplina strettamente
intesa. Mi sono misurata, infatti, con una certa rigidità di ruoli
che nuoce, a mio parere, alla ricchezza culturale complessiva dell’offerta
educativa. Non è detto che insegnando inglese non si possa veicolare
con entusiasmo anche musica, semplicemente per passione. Ho individuato
sinergie, di grande qualità, che pulsano all’interno del
meccanismo scolastico, ma che per difficoltà, credo burocratica,
difficilmente emergono.
Molti sforzi si depauperano così di più ampia progettualità
e molto di ciò che si riesce a realizzare sembra nascere quasi
per magia, come il genio dalla lampada, strofinata per caso.
Chicco Margaroli
Artista. Espone nel campo dell’arte contemporanea
per gallerie private ed enti pubblici.
e-mail: chicco.margaroli@tin.it
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