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La territorialità come strumento pedagogico

Quali le possibili modalità di costruzione e rappresentazione della conoscenza territoriale. Che cosa è possibile insegnare e/o imparare attraverso il rapporto con il territorio, la sua storia, le relazione tra di esso e le persone che lo hanno abitato e lo abitano?

Parto da una constatazione: esiste in ambito pedagogico l’ambizione, corroborata da molteplici azioni, di andare oltre le “classiche” esperienze didattiche extrascolastiche, non limitando la propria azione all’ampliamento dello spazio–scuola ma estendendolo all’intera società locale.
Detto altrimenti, la centralità di cui parlo è quella relativa alla definizione di strumenti pedagogici per educare al rapporto tra luoghi e comunità.
Se questa centralità pedagogica è evidente, risulta essere troppo latente il dibattito su come espletarla, a partire da quali presupposti, con quali strumenti, per quali finalità.
Non mi accontento, a questo punto, di un elenco, per quanto ricco e articolato, di attività didattiche né della riproposizione di una sommaria dichiarazione di obiettivi. Bisognerebbe forse partire provando a descrivere cosa siano diventati, nello scenario attuale, quei luoghi e quelle comunità cui si fa riferimento, per vedere se e come sia possibile educare nell’ambito delle loro relazioni; successivamente, credo sia interessante provare a delineare le scelte pedagogiche implicite, talvolta forse anche inconsapevoli, che mi sembrano emergere da una prima analisi delle attività didattiche ed educative orientate a creare una educazione attenta alla territorialità, al rapporto tra luoghi e comunità.


PERDERSI E RITROVARSI NELLA DIMENSIONE LOCALE: TRACCE DI COMUNITÀ SENZA LUOGO

Comunità e luogo sono termini chiave nel tentativo di definire la dimensione locale, la territorialità, l’orientamento alla sostenibilità dello sviluppo. Provo di seguito a declinarne i significati.

Comunità

Il termine comunità evoca, nel senso comune, una piacevole sensazione. “Stare in comunità”, “fare comunità” produce la dimensione di qualcosa di auspicabile, di buono. Qualcosa di intimo e di confortevole, un contesto che garantisce sicurezza, serenità.
Allo stesso tempo la comunità tanto ricercata può disvelarsi – e la contemporaneità ne è tragica testimone – come una “comunità maledetta”(1), capace di togliere la libertà, la soggettività, la vita.
La controversa definizione di comunità è evidente fin dall’analisi del significato etimologico del termine. L’origine etimologica ha infatti un senso radicalmente antitetico rispetto all’idea di comunità legata ai concetti di identità, appartenenza, proprietà così come è stata accreditata dalla filosofia politica.
Come ha evidenziato Roberto Esposito con il libro Communitas(2), “Comunità” deriva dal latino “Communitas”.
Esso a sua volta deriva da “munus” che significa “dono” o anche “obbligo” nei confronti di un altro.
Questo permette di affermare che l’essere parte di una comunità – piuttosto che rimandare ad una comune appartenenza – esprime un dovere di dono reciproco, una necessità di espropriarsi di parte della propria soggettività in favore dell’altro.
La comunità, per Esposito(3), esprimerebbe quindi un’espropriazione e non una proprietà comune.
Ciò può voler dire che essa è sentita anche come un rischio, una minaccia.
L’ampiezza semantica del termine ne fa comunque un concetto ponte tra scienze diverse (nella fattispecie tra tutte le scienze sociali ma anche fra queste e le scienze naturali) nonché tra discorso scientifico e senso comune.
Il termine “comunità” continua insomma ad avere una discreta fortuna. In un contesto in cui anche gli attori della più piccola comunità sono inseriti in reti di relazioni esterne più ampie di quelle comunitarie, alcune questioni tipicamente legate alla dimensione classica della comunità permangono di straordinario interesse.
L’identità, la reciprocità, la fiducia sono “tracce di comunità”(4) che si palesano nella situazione contemporanea come ambiti centrali e particolarmente problematici.
Individuare il permanere di strutture comunitarie (le “tracce di comunità” di cui sopra) evidenziarne la funzionalità, mapparne legami e relazioni, attribuzioni di senso e simbolismi rappresenta un ambito di ricerca sicuramente interessante.

Luogo

Le “tracce di comunità”, il permanere di strutture comunitarie all’interno della complessità delle società contemporanee pongono in sicura evidenza la relazione esistente tra identità e spazio.
Certamente, dall’intreccio di questi temi appare la centralità del luogo come elemento – insieme percepito, simboleggiato e costruito – attorno al quale si sedimentano forme di riconoscimento ed appartenenza, situazioni di diaspora e di integrazione, esperienze di esclusioni e sperimentazione di nuove forme di cittadinanza.
Il luogo è in questa accezione una aggregazione spaziale di significati, un reticolo di relazioni insieme simboliche e concrete tra quanto costruito dall’uomo e quanto preesiste alla costruzione, tra spazio naturale e spazio artificiale, tra verticale ed orizzontale, tra esterno ed interno, tra pieno e vuoto.
L’identità, personale e collettiva, è costruita in forte rapporto dialettico con le strutture ed i simboli territoriali locali; infatti, i soggetti collettivi interiorizzano gli elementi locali (manufatti edilizi, urbanistici, gastronomici, tecnologici così come tradizioni locali, eventi e siti storici, ecc.) come parte costitutiva della propria identità collettiva; nello stesso tempo, tali soggetti modificano costantemente gli elementi locali della struttura territoriale simbolica.
Per acquisire sicurezza primaria, l’uomo sviluppa la capacità di orientarsi, ovvero di sapere definire la propria posizione e di accedere consapevolmente a percorsi per cambiarla e di identificarsi, ovvero la capacità di leggere i luoghi, di analizzarne gli elementi costitutivi, di costruire tra di essi relazioni di omogeneità e di differenziazione.
Quella che si pone in evidenza in questo tempo presente è tanto la centralità e l’interdipendenza dei concetti di comunità, di luogo e di identità quanto il loro carattere quantomeno cangiante, forse finanche effimero ed evanescente.
Se l’esperienza dei luoghi permane come fondamentale, tanto che su di essa si fonda la fortuna della proposta dell’industria turistica contemporanea, essa diventa però instabile, si arrende progressivamente al disordine.
Sembrerebbe che, anziché di luoghi, sia più opportuno parlare di rapporti tra tracce di comunità e molteplici luoghi. Sono questi rapporti che dobbiamo imparare a mappare ed a descrivere.


LEGGERE IL TERRITORIO, EDUCARE ALLO SPAZIO: UNA OPERAZIONE COMPLESSA, UNA PEDAGOGIA COSTRUTTIVISTA

Ragioniamo innanzi tutto sulle modalità di costruzione e rappresentazione della conoscenza territoriale. Cosa pensiamo che si possa “insegnare” (o meglio, cosa pensiamo che si possa “imparare”) attraverso il rapporto con il territorio, la sua storia, le relazione tra di esso e le persone che lo hanno abitato e lo abitano?

Una scuola trasmissiva?

In un primo approccio possiamo privilegiare l’aspetto cognitivo di tale apprendimento possibile, imma ginando che si possano insegnare storie, nomi, concetti. Possiamo, insomma trattare lo spazio, il territorio come uno spazio certo, misurabile, omogeneo, univoco; pertanto il soggetto che con esso entra in relazione non può che introiettare tale omogeneità e univocità. In questo caso verranno privilegiati apprendimenti di tipo tassonomico, mappe precostruite, visite guidate, strumenti standardizzati.
Credo che un approccio di tale fatta incorra in un evidente rischio di riduzionismo. Leggere il territorio, educare allo spazio sono infatti operazioni complesse.
La percezione degli spazi, dei luoghi, dei paesaggi non è data a priori, non ha base naturalistica ma presuppone e si alimenta invece mediante una auto-organizzazione, una capacità autostrutturante esercitata dal soggetto. Sto cercando di dire che la nostra percezione dello spazio così come la costruzione della conoscenza territoriale, sono il risultato di una incessante – anche se a volta poco evidente – attività di negoziazione tra interno ed esterno, tra permanenze e cambiamenti, tra natura e cultura, tra mente e mondo.
Detto altrimenti, il nostro attribuire senso alle configurazioni spaziali, (fino a determinarle culturalmente come “paesaggi”), l’incidenza e l’importanza del luogo e dei luoghi nella formazione e nella trasformazione delle identità personali e collettive, la capacità di orientarsi e di dare senso e direzione al nostro stare nello spazio, sono elementi storicamente costruiti e socialmente orientati.
Leggere il territorio, percepire le configurazioni spaziali e decodificarne il simbolismo, orientarsi nello spazio sono quindi da considerarsi operazioni condotte a partire dall’egocentrismo dell’attore sociale; esse riempiono l’ambiente intorno delle nostre esperienze, delle relazioni con gli oggetti e dei significati ad esse attribuito.
A mio avviso, troppe volte il nesso tra esperienza soggettiva di scoperta e costruzione sociale di una mappa condivisa del territorio non è preso in considerazione nei processi educativi così come nella azioni di sviluppo di comunità.
Il rapporto complesso e difficile - ma estremamente affascinante e interessante - che intercorre tra le rappresentazioni spaziali (ciò che produciamo con mezzi espressivi, il disegno, la mappa, il racconto…) e le mappe cognitive (le esperienze generatrici, gli schemi interiorizzati, il progressivo diventare conoscenza dello spazio esplorato…) è troppe volte ignorato da chi, (insegnante, educatore, animatore di comunità, agente di sviluppo locale) tende a presupporre l’esistenza di uno spazio “oggettivo” che come tale può – aggiungerei deve – essere rappresentato.

Costruire la conoscenza territoriale : spazio vissuto in una comunità educante

Dobbiamo allora immaginare un secondo approccio in cui più che trasmettere la conoscenza territoriale ci si propone di costruirla.
Costruire la conoscenza territoriale significa che lo spazio, il territorio nel quale ci muoviamo non sono solo determinabili cognitivamente, ma hanno anche una grossa componente affettiva. Sono spazi e territori fenomenologico – esistenziali. La visione fenomenlogica mette in evidenza che lo spazio è spazio vissuto ed ha pertanto una tonalità emotiva, uno stato d’animo con il quale affrontiamo, viviamo e descriviamo l’esperienza spaziale. Lo spazio vissuto descrive la relazione con il mondo, relazione che non è univoca e misurabile, ma cangiante. Lo spazio vissuto si estende e si contrae, si allontana e si avvicina, è infinito o contingente.
In questo caso la prevalenza non è data alla didattica del territorio, ma alla costruzione di occasioni educative, alla percezione di una educazione diffusa dentro una comunità educante.
Per ri-trovare il luogo bisogna prima accettare lo spaesamento e la deriva. Bisogna perdersi tra il “locale assoluto” costruito dai nostri corpi e dagli spazi di relazioni e l’anonimato dei “non-luoghi” per tracciare i confini delle riaggregazioni che comunque avvengono, delle esperienze di nuove e creative forme di cittadinanza. Affrontare le cesure e le ricomposizioni che caratterizzano il rapporto tra luoghi e le comunità significa dotarsi di una concezione pedagogica congrua ai cambiamenti in atto. Questa è la dimensione pedagogica in cui dare spazio alla ricerca, alla scoperta, alla sorpresa, allo spiazzamento ed allo spaesamento che vaticinano il cambiamento. Per prestare attenzione al territorio occorre una pratica educativa ed una riflessione pedagogica che sappiano convivere con una estetica della serendipity (5), con una capacità di accogliere l’inatteso, di accettare l’imprevisto, di sorprendersi per le differenze, di mappare le incongruenze, le visioni, le emozioni e non solo le congruenze e le conferme.

Davide Bazzini
DISEF Dipartimento Scienze dell’Educazione e della Formazione Università di Torino.

Note
(1) BONOMI A. (2002). La comunità maledetta Viaggio nella coscienza di luogo. Torino: Edizioni di Comunità.
(2) ESPOSITO R. (1998). Communitas, origine e destino della Comunità. Torino: Einaudi.
(3) ESPOSITO, R. (2000). “Libertà comune”, Micromega 4/2000. Roma: Gruppo Editoriale l’Espresso.
(4) BAGNASCO A. (1999). Tracce di comunità. Bologna: Il Mulino.
(5) Il termine è di difficile traduzione letterale. Approssimativamente, descrive la condizione di chi, cercando qualcosa, si imbatte in qualcos’altro di diverso, a volte più interessante, ed abbandona l’oggetto precedente di ricerca.

 

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