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Prof,
ci complica la vita!
Gli studenti si dimostrano
disponibili ad affrontare l’insegnamento in francese di una disciplina
non linguistica quando, assieme a loro, vengono ben definiti i contenuti
e le modalità e, soprattutto, quando si sentono sostenuti dalla
convinzione dei loro insegnanti.
Quest'anno la parte di programma in francese la faccio
in terza servizi sociali perché: 1) mi sono simpatici; 2) è
una classe difficile e mi piacciono le sfide; 3) hanno già fatto
da cavia per altri miei esperimenti didattici; 4) ecc.
Che cosa propongo? Penso, ripenso, produco, disfo, mi illumino, raccolgo
il materiale, lo assemblo, sono felice di poter entrare in classe e dire
con enfasi:
- Cari ragazzi, adesso affronteremo un tema delicato ma interessante
ed attinente al vostro corso di studi, i diritti dei bambini,
Reazione allegra:
- WOW, CI PIACE, CHE BELLO, FINALMENTE, GRANDE PROF…!
- Ho preparato delle fotocopie con diversi tipi di documenti.
Reazione allegro non molto - moderato:
- AH, C'È DA STUDIARE…
- Questo argomento lo tratteremo in francese
Reazione grave:
- LO SAPEVAMO, C'ERA LA TRAPPOLA, MA PROF, LEI CI VUOLE PROPRIO COMPLICARE
LA VITA!
Se devo essere sincera un po' mi smonto, è vero
che non sono esattamente una cultrice della lingua, però anche
per me è un esercizio e penso che per loro sia una bella opportunità,
ma la reazione è stata sconfortante e quasi quasi ci rinuncio.
Ma io sono sempre stata una testona. Ne parlo con la collega di sostegno,
ci ragioniamo molto e concludiamo che questo esperimento s'ha da fare,
quanto meno per verificare sul campo se il bilinguismo ha ancora una sua
ragione d'essere, al di là delle buone intenzioni istituzionali.
Nemmeno fossi Giovanna d'Arco, entro in classe con il mio cospicuo mazzo
di fotocopie e comincio a distribuirle pervasa da un sacro fuoco di cui
ignoro tuttora la provenienza (misticismo a parte, da quelli ci si può
aspettare di tutto, perciò mi accerto che la carta del cestino
non bruci) e comincio ad illustrare (in francese) strumenti ed obiettivi
dell'attività ma l'attenzione scema alla fine della prima frase.
Mi viene in mente come per incanto il corso organizzato dal “Bureau
d'éducation bilingue” che ho frequentato in ottobre a Parigi,
sei ore ininterrotte al giorno di francese ascoltato e parlato, all'inizio
mi sembrava di morire, poi di colpo qualche lobo del cervello ha innescato
nuovi contatti e la sostituzione delle due lingue si è progressivamente
realizzata senza apparenti danni al sistema nervoso. Così insisto,
rilancio e vedo. Vedo i loro occhi dapprima perplessi e poi via via sempre
più comprensivi, anche se ogni tanto mi interrompono in italiano
ed io li invito a formulare le stesse osservazioni in francese (che si
rivela un ottimo sistema per non farmi interrompere), finché mi
accorgo di averli agganciati e mi convinco che i due terzi del lavoro
è già stato fatto.
Partiamo con la lettura ed il commento delle fotocopie
ma non facciamo la traduzione integrale, privilegiando la comprensione
complessiva del contesto e la successiva individuazione delle parole che
potrebbero adattarsi alla frase, rinviando alla ricerca sul vocabolario
soltanto quelle completamente ignote. Mi accerto che il metodo funzioni
e dopo la prima lezione mi frego le mani dalla felicità, ma il
gaudio dura poco: la vice dirigente mi annuncia che si è appena
iscritta in quella classe una nuova ragazza che arriva da un'altra regione
e che non conosce un'acca di francese. Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo,
ma perché tutte le cose che faccio non devono mai scorrere lisce
fino alla fine? E adesso? Escluderla dall'attività non posso, pretendere
che si adegui immediatamente nemmeno. Uhm… uhm… uhm…
forse ci sono, ma sì, le affianco qualcuno come tutor personale!
La circostanza, poi, che la ragazza sia di aspetto molto piacevole mi
facilita il compito del reperimento delle risorse, infatti si propone
subito un compagno che, con molto entusiasmo, le si siede vicino e comincia
a farle da interprete simultaneo e poi posso contare anche sull'aiuto
di Sabina l'educatrice, che traduce le fotocopie per lei e per un'alunna
straniera. Ormai non ci ferma più nessuno, si riparte!
Se la lettura non presenta grossi problemi, l'esposizione è a dir
poco agghiacciante. L'incapacità di formulare anche la frase più
breve, utilizzando le parole più semplici ed accordando i verbi
meno difficili sembra rivelarsi un'impresa impossibile, il che mi stimola
a fare una serie di riflessioni. Primo: questi ragazzi, mediamente diciassettenni,
studiano il francese dalla scuola dell'infanzia dove hanno imparato, amandole
molto, le petites chansons e le comptines, quindi hanno proseguito alla
scuola elementare con la scrittura, la lettura, lo studio dei verbi e
dei numeri, attività ripresa ed approfondita prima alle medie e
poi alle scuole superiori. Ed allora come si spiega questa débacle?
In quale punto del loro cammino scolastico si inceppa il meccanismo dell'accettazione
partecipata del francese e si innesta quello del rifiuto? Se ascolti loro,
ti rispondono che è cominciato quando hanno dovuto studiarlo per
forza, quando se lo sono sentiti imporre, che lo vivono come un appesantimento
del già gravoso carico orario, insomma un'ulteriore complicazione
della loro già sofferta vita di studenti. Scremando le indubbie
esagerazioni giovanili, mi chiedo però se le istituzioni conoscano
realmente quale sia il livello, diciamo medio, di conoscenza del francese
da parte dei ragazzi e se gli approfonditi studi scientifici sull'efficacia
(peraltro da me condivisa) del bilinguismo tengano conto dell'oggettiva
eterogeneità delle competenze degli studenti valdostani. Seconda
riflessione: forse lo studio del francese, perlomeno alle superiori, è
finalizzato in maniera eccessiva e quindi inevitabilmente condizionato
dall'obiettivo dell'Esame di Stato e dai relativi programmi, mentre penso
che andrebbe privilegiata la parte più colloquiale della lingua,
rafforzando le competenze espositive utilizzate in contesti di comunicazione
quotidiana, per esempio finanziando frequenti viaggi di studio in Francia
dove i ragazzi possano immergersi il più possibile nella lingua
viva e nella sua specificità culturale e relazionale.
Terminata la parte teorica, passiamo ai lavori di gruppo (vedi scheda
tecnica), in cui i ragazzi si tuffano con la passione e l'entusiasmo tipici
di chi si sente coinvolto in prima persona in un'attività che richiede
l'impiego di teste e cuori ed il cui risultato supera ogni mia più
rosea aspettativa. L'esperienza realizzata in questa classe (che potrebbe
però rappresentarne molte altre), in cui il francese veniva vissuto
con pregiudizi e prevenzioni, è stata la conferma che, conducendo
dolcemente per mano gli alunni verso territori a loro ignoti di cui forse
hanno anche un po' paura per l'idea di ansia e fatica che accompagna il
cammino, si arriva passo dopo passo a raggiungere l'obiettivo, probabilmente
perché, come diceva Antoine de Saint Exupéry nel Petit prince:
“il faut exiger de chacun ce que chacun peut donner”.
Lavoro di gruppo
Il lavoro si è svolto in tre moduli orari, uno
il giovedì e due il sabato. Nel primo modulo ho diviso gli alunni
in cinque gruppi composti da cinque ragazzi ciascuno, assegnando ad ognuno
di loro un preciso aspetto dell'argomento generale (i minori e la guerra;
i minori e la violenza; i minori e lo sfruttamento lavorativo; il minore
che delinque ed il relativo trattamento rieducativo; il minore e l'educazione,
anche quella scolastica; il trattamento paritario dei bambini e delle
bambine), invitandoli a portare per il sabato successivo un cartoncino
(ognuno di un colore diverso), un dizionario per gruppo, colori, forbici
e colla. Quindi ho esplicitato loro lo scopo del lavoro, ovvero il lancio
di una immaginaria campagna pubblicitaria sociale per la sensibilizzazione
e la prevenzione di ogni forma di violazione dei diritti dei minori, per
la cui realizzazione ogni gruppo dovrà reperire materiale fotografico
su riviste o scaricato da Internet oppure disegnare direttamente sul cartellone
ciò che riterrà più opportuno in relazione al tema
assegnato. Come commento alle immagini gli alunni potranno formulare piccole
frasi aiutandosi con le fotocopie in loro possesso, in modo che il messaggio
pubblicitario risulti sintetico ed efficace: per il resto, fissati questi
paletti, essi saranno liberi di muoversi in piena libertà e creatività,
dote di cui sono tutti molto ben forniti, avendolo dimostrato in altre
svariate occasioni e sempre con molto successo.
Preparo quindi una griglia per l'osservazione e la valutazione dei lavori
di gruppo, in cui inserisco alcune voci (impegno, verifica del materiale
richiesto, risultato del lavoro di gruppo) ad ognuna delle quali attribuisco
un punteggio che, sommato agli altri, costituirà la valutazione
finale e complessiva dell'attività.
Durante l'attività creativa i ragazzi si rivelano
molto coinvolti e partecipi, si scambiano idee, foto e suggerimenti, dal
che ne deduco che hanno lavorato anche a casa. A parte qualche isolato
inadempimento alle consegne, la maggior parte di loro ha collaborato fattivamente
perché tutto si svolgesse senza intoppi e posso garantire che per
questa classe dai trascorsi tumultuosi, ciò può già
considerarsi un grande risultato. Paola, la collega di sostegno, mi aiuta
ad osservare la partecipazione dei ragazzi ed a rispondere ai loro dubbi
linguistici: la classe è diventata un allegro e colorato laboratorio
dove, fra giornali, colla e matite colorate, svolazzano foto e si intrecciano
parole in doppia lingua.
Il termine di consegna viene rispettato ed i cartelloni aperti sui banchi
mi consentono di dar loro subito un'occhiata. Forse c'è qualche
accento in meno e qualche italianismo di troppo, ma i messaggi sono chiari,
le immagini incisive e di grande impatto visivo ed emotivo, il tutto enfatizzato
dai simboli utilizzati nei fumetti per tradurre graficamente l'importanza
dei contenuti. Proprio mentre ripenso all'esperienza appena conclusa,
chiedendomi un po' perplessa se essa sia risultata o meno gradita alla
classe, una ragazza, prima di uscire dall'aula, mi chiede sorridendo:
Prof, quando la rifacciamo? Ed io : Presto!, ma dentro
di me mi dico: Qui mi sa che mi si complica la vita…!
Serena Del Vecchio
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