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Cara
lettrice,
preferisco immaginarti “sola” davanti a queste
pagine. Il pensarti sola mentre scegli di leggermi quando sei tranquilla
e il mondo fuori, per un attimo tace, mi facilita il compito di doverti
salutare. Mi spiace, ma oggi, purtroppo, proprio mi tocca perché
dal 1 settembre, tornerò a scuola. Sicuramente “ce n’est
qu’un au revoir” perché la Valle è piccola e
avremo molte altre occasioni per rincontrarci, ma intanto ti saluto.
Lascio la rivista perché dopo dieci anni è giusto cambiare,
perché qualcun altro ha qualcosa di nuovo da dire ed io, magari
sbagliando, ho deciso così. Dieci anni e non sembra vero. Dieci
anni, splendidi davvero, a parlarti sempre con sincerità ed affetto,
senza pretendere una risposta (anche se una e-mail qualche volta l’avrei
gradita!).
Sapessi quante volte ti ho immaginata sorridere, farmi l’occhiolino,
sbuffare, scuotere la testa in segno di disapprovazione o tirarmi un calcetto
sotto banco quando esageravo. Ti ho sempre avuta presente.
Non so scrivere se non pensando al mio destinatario: donna innanzitutto.
Discontinua a volte, ma comprensiva e partecipe. Mi piace pensare di aver
contribuito, in questi anni, a narrare le storie della scuola valdostana,
una scuola di montagna che profuma di genziane, arroccata in difesa e
difesa fino allo spasimo, una scuola “ressource”, creativa,
con punte di eccellenza, ma perennemente in salita…
Salutare significa soprattutto ricordare. E allora, le
immagini si rincorrono e le voci di dieci anni a l’École
risuonano. Se chiudo gli occhi vedo alcuni prima di altri. Mi vengono
alla mente: Elio Reinotti, il mio direttore didattico, colui che in tutti
questi anni mi è sempre stato vicino e a cui ho sempre chiesto
consiglio (faccio bene a chiedere l’aspettativa per lavorare in
teatro? Faccio bene ad andare a l’École Valdôtaine?
Faccio bene…?); le mie direttrici Giacinta Baudin e Giovanna Sampietro,
entrambe serie, motivate, coinvolte con testa e cuore in quest’avventura;
Émile Vitali e la sua umanità, le mie colleghe Rita Balzi
e Geneviève Crippa capaci di “sopportare” e contenere
la mia vulcanica attività; Virginia Ceretta e Gabriella Giordano,
gli angeli custodi della rivista, Teresa Grange sempre incoraggiante ed
esemplare nella determinazione a perseguire con tenacia un obiettivo,
Mariuccia Allera Longo, compagna di momenti di formazione indimenticabili;
Efisio Blanc e Paolo Salomone, storici collaboratori, sempre disponibili,
competenti e vicini, Étiennette Vellas, con il suo contagioso ottimismo,
e le GVEN (Groupe Valdôtain d’Éducation Nouvelle) per
le discussioni pedagogiche sincere ed appassionate; Franco Lorenzoni e
l’esperienza originale e straordinaria di Cenci; Alessio Surian
e gli amici del CEM (Centro Educazione alla Mondialità). A tutti
loro devo un grazie.
Tutti costoro hanno permesso di “nutrirmi” di belle idee e
dimostrato che un’altra scuola, un altro mondo sono possibili!
Mi scusino coloro che non ho citato, ma giuro, sono tutti qui con me.
Concludo questa esperienza decennale con un numero sul gioco a cui ha
contributo tra gli altri Franco Passatore, il mio Maestro (di teatro).
Ha ragione Italo Calvino: la vita è “un castello dai destini
incrociati”. Prima o poi, ci si ritrova.
Ne sono sicura.
Hasta luego.
Agnese Molinaro
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