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Come giocavamo

Riflessioni sul significato di una mostra

Ha riaperto i battenti a giugno la mostra Tatà, pouette, borioule, organizzata nel 2004 dall'Assessorato Regionale per l'Istruzione e la Cultura nella splendida cornice del castello di Ussel. Cavallini a dondolo e sulle ruote in legno o in cartapesta, mucche e altri animali ricavati con un coltellino da rametti d'albero, bambole di pezza e di legno, trottole, slittini, cerchi, birilli di legno variopinto, carrettini e carriole, tricicli, raganelle e fischietti, biglie e giochi da tavolo sfilano nelle sale del castello, evocando i ricordi di coloro che hanno vissuto la propria infanzia prima dei radicali cambiamenti avvenuti nel secondo dopoguerra. Come in tutte le società tradizionali, anche in Valle d'Aosta i bambini aiutavano i genitori nei lavori agricolo-pastorali e non avevano molto tempo da dedicare al gioco, ma soprattutto non avevano molti giocattoli. Gran parte delle attività ludiche consisteva in pratiche di gruppo codificate da regole, che non prevedevano strumenti di gioco (gare di agilità, “nascondino”, la “settimana”, “guardie e ladri”…); non erano tante le famiglie che potevano permettersi di acquistare balocchi dai venditori ambulanti nelle fiere; più spesso gli stessi genitori o i nonni si ingegnavano a costruire giocattoli con materiali poveri o di scarto, legno, stoffa, carta, pezzi metallici.

A parte qualche prestito di privato, gli oggetti provengono dalla collezione di giochi e giocattoli del passato radunati in più di trent'anni da Pierino Daudry, acquistata dall'Amministrazione regionale nel 1997. Le raccolte e le esposizioni museali incentrate su questo tema si contano numerose in Europa, ma la collezione Daudry si distingue dalle altre per il carattere territoriale che ne ha guidato la formazione. Essa comprende circa 1 600 pezzi, in gran parte di fabbricazione artigianale o proto-industriale, provenienti soprattutto dalla Valle d'Aosta e dalle aree alpine limitrofe (Savoia, Svizzera); un'ampia sezione è dedicata agli sport tradizionali valdostani, di cui Daudry, fondatore e per molti anni presidente della Federaxon Esport Nohtra Tera, è un appassionato cultore.
I giocattoli non raccontano solo storie individuali: complemento indispensabile dell'infanzia, fondamentale per lo sviluppo intellettuale e psichico dei bambini, sono elementi universali che, come ogni altro oggetto della vita quotidiana, riflettono l'epoca e la cultura che li ha prodotti e li utilizza; essi vanno considerati veri e propri documenti in grado di trasmettere, in modo immediato e facilmente comprensibile da tutti i bambini, un insieme di informazioni sulle condizioni economiche, le tecniche e le abitudini di vita nella società tradizionale. La raccolta Daudry ha dunque un forte valore storico e antropologico che, in qualità di curatore, ho cercato di evidenziare, utilizzando il materiale documentario a disposizione nei nostri archivi: non sono una specialista nel settore degli studi etnografici, ma conosco bene i ricchissimi archivi fotografici del BREL e, come mamma di un ragazzino di undici anni, so che preziosa miniera di informazioni e testimonianze costituisca il materiale raccolto ogni anno nelle scuole con il Concours Cerlogne. Così ho pensato di dare un volto e una voce ai giocattoli esposti, sottolineandone il collegamento con il nostro territorio. I volti sono quelli dei bambini ritratti nelle foto d'epoca appartenenti agli archivi del BREL o ad archivi privati, impreziosite dall'intervento pittorico dell'artista aostana Chicco Margaroli; le testimonianze in patois che le accompagnano, attinte dal XXXVe Concours Cerlogne, dedicato appunto al tema dei giochi tradizionali e moderni, evocano l'emozione e il divertimento delle esperienze di gioco. Quasi a raccogliere il testimone lasciato loro dai bambini d'antan delle fotografie storiche, fanno qua e là capolino fra le austere sale del castello le figure di bambini di oggi, in un ideale accompagnamento del visitatore nel suo viaggio nel mondo universale dell'infanzia.
Il successo ottenuto dalla mostra durante la scorsa estate suggerisce alcuni temi di riflessione. In primo luogo la necessità di considerare le testimonianze e gli oggetti della vita quotidiana, in accordo con la moderna accezione di “bene culturale”, parte integrante del patrimonio spirituale che caratterizza una civiltà; dunque l'importanza di valorizzare la cultura materiale per salvaguardare l'identità tradizionale della Valle d'Aosta, sia per tramandarla alle future generazioni, sia per farla conoscere ai turisti, nella convinzione che il rispetto e l'affezione per i luoghi passino attraverso la comprensione della loro anima più profonda. Non secondaria emerge inoltre l'esigenza, da tempo auspicata dal pubblico, di far conoscere e rendere fruibili le collezioni regionali, tanto artistiche quanto etnografiche, spesso chiuse nei depositi fin dall'epoca della loro acquisizione.
È giusto infine riflettere sulla trasformazione che il progresso tecnologico, i cambiamenti sociali e l'urbanizzazione hanno operato sul modo di giocare dei bambini. Un tempo i giocattoli avevano fonti d'ispirazione vicine alla natura e riproducevano fedelmente la vita quotidiana, strumenti per la messa in scena di una metafora della realtà nella quale il bambino era al tempo stesso autore e attore. Confezionati dai familiari con l'intervento degli stessi bambini, possedevano una carica di connotazioni sentimentali estranea ai prodotti industriali ed erano puro divertimento, senza altro scopo che quello di intrattenere i piccoli e di prefigurare le loro attività future.
I giocattoli di oggi non sono più “a misura di bambino”, ma, come osserva Raymond Humbert, sono proiezioni dei sogni e delle aspettative degli adulti, magari sovraccaricati di intenti didattici che tendono a normalizzare le intelligenze e i comportamenti; con i giochi virtuali, il ruolo del bambino è ridotto a quello di spettatore, spesso passivo e solitario. Non per niente tutta una corrente del pensiero pedagogico promuove il ritorno ai semplici divertimenti del passato, che stimolano la fantasia e le capacità ludiche dei bambini senza limitarne la libertà di gioco. E pazienza se non imparano subito a padroneggiare sofisticati meccanismi elettronici, perché – per citare Jean-Jacques Rousseau – “l'importante nell'educazione non è guadagnare tempo, bensì perderlo”.

Informazioni sulla mostra

Dove? Al castello di Ussel
Quando? Dal 24 giugno al 16 ottobre 2005
Orario: tutti i giorni dalle ore 9.00 alle 19.00
Il costo d'ingresso 3 euro per
il biglietto intero e di 2 euro per il ridotto.
Il catalogo è in vendita al prezzo di 13 euro.

 

Sandra Barberi

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