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De gustibus disputandum est

Riflessioni linguistiche a proposito di cibo e di gusti

Occuparsi di didattica della lingua all'interno di un percorso dedicato al cibo significa aprire un numero di potenziali finestre di approfondimento sul “sistema lingua” pressoché infinito. Le specificità relative al dominio della cucina, della gastronomia, dell'alimentazione offrono molteplici occasioni di riflessione linguistica, a partire dall'osservazione delle dinamiche conversazionali caratteristiche dei contesti comunicativi conviviali: un gruppo di commensali seduti intorno a un tavolo utilizza battute rituali codificate (ad esempio formule e routines di cortesia: mi passi ***, per favore? Ne vuoi ancora? No, basta; Sì grazie; di compiacimento: che bontà! È squisito!; di chiusura: sono sazio, satollo, pieno, pieno come un uovo); misura gli scambi di turno scandendo l'alternanza delle battute sul ritmo della degustazione dei cibi; impiega con disinvoltura tecnicismi esclusivi o per lo meno specifici di quell'ambito contestuale (leccarda, schiumarola, trinciapollo) e tende a utilizzare - molto più che in altre situazioni - parole che rispecchiano specifiche esperienze linguistiche, sociali, culturali e geografiche. Pensiamo, ad esempio, all'ambito dei geosinonimi, ovvero delle varianti lessicali impiegate nelle varie aree della Penisola per fare riferimento a un medesimo referente. A seconda della sede geografica, il grosso frutto estivo con scorza verde e polpa rossa verrà denominato anguria (area settentrionale), cocomero (area meridionale) o pasteca (alcune zone della Liguria; cfr. fr. pastèque). In Toscana, per melone si utilizzerà popone, e cacio per formaggio; i cornetti, che alludono in centro Italia alle brioches a forma di mezzaluna (croissants), saranno altrove i fagiolini (che in Veneto sono chiamati tegolini) o, per influenza di un noto marchio commerciale, coni gelato confezionati industrialmente. Al sud Italia i maccheroni sottintenderanno genericamente qualsiasi tipo di pasta alimentare, lunga o corta, forata o meno, mentre le costine saranno considerate piccole bietole per frittate e ripieni soltanto da parte di valdostani e piemontesi, corrispondendo a tagli di maiale o agnello con l'osso in tutto il resto d'Italia. La selva di denominazioni si fa particolarmente intricata quando ci si addentri nell'ambito delle specificità relative, per esempio, alle preparazioni di carne e verdure, ai tipi di pasta o ai formaggi. Emblematiche in questo senso risultano le denominazioni dei prodotti da forno e delle varietà di pane, differenti non soltanto da regione a regione, ma addirittura tra località. Poche di esse, come grissini (dal piemontese grissin o ghersin, diminutivo di ghersa “filone di pane”), risultano convalidate a livello nazionale. Per biove, micche (forse da una voce latina; cfr. fr. miche “pagnotta” e, in area svizzera e belga, “panino”), micconi, grisse, spaccate e rosette il dominio di condivisione resta tutt'al più quello relativo all'Italia nord-occidentale.
Della marcatezza regionale di molte espressioni gastronomiche i parlanti - adulti e bambini - sono spesso inconsapevoli, così come tendono a non percepire, a meno di essere condotti a rifletterci, l'origine dialettale di alcune denominazioni penetrate nell'italiano corrente. È il caso dei piemontesi gianduia, bagna cauda e vitello tonnato (vitel toné), dei liguri trenetta, pesto, panissa; dei lombardi gorgonzola, ossobuco, panettone, risotto; dei romaneschi abbacchio, stracciatella e supplì; dei napoletani pizza, mozzarella, sfogliatella, babà; dei siciliani cannolo e cassata.
E, d'altra parte, i nomi di alimenti e pietanze possono avventurarsi anche molto oltre i confini di una lingua o nazione. Se è vero che di termini (e dei relativi referenti) come pizza e spaghetti ci è debitrice gran parte del mondo occidentale, è altrettanto vero che anche l'italiano nel corso dei secoli ha attinto a piene mani da altri idiomi e culture. Abbiamo, così, forestierismi gastronomici integrati in tempi così lontani da non essere più certamente percepiti come tali: alla dominazione araba nel bacino del Mediterraneo risalgono, per esempio, voci come carciofo, melanzana, zucchero e caffè; agli storici contatti con la Francia entrate adattate come cotoletta e filetto, e altre conservate in veste esotizzante come bignè (fr. beignet derivato di buigne “bernoccolo”), entrecôte e vol-au-vent; alla veicolazione dell'olandese prestiti come baccalà, stoccafisso, pompelmo (dal tamil pampalimasu); all'influsso dell'inglese tipi come punch e roastbeef, oltre all'apparentemente nostrano bistecca (beef-steak, composto di beef “bue” e steak “fetta di carne”) e ai più recenti hamburger (tratto dalla locuzione Hamburger steak “bistecca amburghese”) e ketchup. Esempi di prestiti di necessità, ovvero di importazioni sincrone di referente e significante, sono rappresentati dal turco yogurt, dall'ungherese gulasch, dal russo vodka o da esotismi introdotti attraverso mode o occasioni di contatto linguistico più recenti (giapp. sushi e surimi; sp. tapas; ar. cuscus).
I viaggi delle parole non si limitano, però, a superare i confini politici e geografici; sfidano anche quelli grammaticali, osando passaggi di status - da nome proprio a nome comune (besciamella, prestito adattato dal francese béchamel, dal cognome del cuoco Louis de Béchamel, inventore della salsa nel XVII secolo; gorgonzola, dal toponimo della cittadina lombarda) - o di consistenza e significato. È il caso dei numerosi termini gastronomici entrati nell'uso con accezioni traslate o metaforiche: di un individuo noioso o seccante si dice che è una pizza, di uno ottuso o insignificante che è una rapa o un baccalà, di uno privo di vigore fisico o morale che è una mozzarella, di un altro eccessivamente magro che è uno spaghetto, di uno di indole mite che è un pezzo di pane. Una persona con presa malsicura ha le mani di pasta frolla; chi mescola impropriamente elementi eterogenei fa una macedonia e chi combina un guaio o un pasticcio una frittata. Pur senza fare riferimento a riti cannibali, è possibile cucinarsi una persona (“adesso me lo cucino per bene”), arrostirsi al sole, cuocere nel proprio brodo o in un brodo di giuggiole, essere divorati dall'invidia, bollire di rabbia, stufarsi, stufare, friggere per l'impazienza e eventualmente mandare a farsi friggere qualcun altro.
Le possibilità di esplorazione linguistica offerte dal tema del cibo, insomma, sono particolarmente stuzzicanti e appetitose.
I percorsi che andiamo a proporre prendono in considerazione, pur sotto differenti aspetti, soltanto una porzione del potenziale linguistico offerto dal dominio: quella legata al lessema gusto. Si tratta di una sintesi di esperienze compiute da un gruppo di studenti del corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria dell'Università della Valle d'Aosta frequentanti il corso e il laboratorio di Didattica della lingua italiana condotti da chi scrive nell'anno accademico 2004/2005. Gli studenti, futuri insegnanti di scuola dell'infanzia e elementare, sono stati sollecitati a produrre riflessioni e proposte didattiche a partire dal tema-stimolo. Le idee si sono moltiplicate, ispirando molti e variegati percorsi che sono stati poi sperimentati in differenti scuole, dove sono stati accolti con curiosità e entusiasmo da bambini e insegnanti.
Ciò che qui presentiamo è una sorta di rassegna delle esperienze più significative, rassegna necessariamente schematica e stringata, e che tuttavia speriamo possa risultare utile per la progettazione di analoghe esperienze, da graduare e variare nella loro realizzazione a seconda del livello di scuola e, naturalmente, sulla base di interessi, competenze e bisogni dei giovani interlocutori.

De gustibus disputandum est

I gusti, questo è pacifico, non si discutono, ma a proposito di gusti e di gusto si può discutere - parlare, ragionare, dibattere - per occuparsi di educazione linguistica. Questo, per lo meno, è quanto si è proposto di dimostrare il gruppo di studenti cui è stato chiesto di elaborare e sperimentare alcune proposte didattiche ispirate al tema del gusto. L'idea di partenza è stata quella di raccogliere curiosità e interrogativi intorno al lessema, per poi immaginare approfondimenti relativi a aspetti differenti della didattica della lingua madre. Il primo quesito, solo apparentemente semplice o anche banale, ha riguardato gli aspetti semantici del termine (§: I significati di gusto). Poiché le differenti accezioni sono risultate essere in stretta relazione con l'origine e la storia della parola, l'interesse si è poi indirizzato da un lato verso il settore onomasiologico, ovvero in direzione di un confronto con i termini impiegati in altre lingue e culture per esprimere il medesimo significato (§: La storia del gusto), d'altro lato verso gli aspetti pragmatici, legati alla collocazione e agli usi concreti della parola all'interno dell'italiano contemporaneo (§: La famiglia del gusto). In quest'ambito ci si è domandati con quale frequenza la parola “gusto” ed altre parole ad essa connesse vengano utilizzate (§: La frequenza del gusto) e in combinazione con quali termini e gesti nello specifico della produzione infantile (§: I gesti del gusto).

I significati di gusto

Che cosa intendiamo quando parliamo di gusto? Il gusto può essere, innanzitutto, il senso che permette di percepire e distinguere i sapori, ma anche, per estensione, il sapore stesso (per esempio “una caramella al gusto di limone” o “una caramella senza gusto”). Sempre per estensione, con gusto si può fare riferimento al piacere che si prova mangiando e bevendo (“mangiare con gusto”, “bere di gusto”), ma non soltanto. In senso figurato, infatti, è possibile ridere di gusto, prendere gusto a un'azione che si presumeva indifferente o fastidiosa e fare il gusto a attività inconsuete. Appagamento e piacere possono essere espressi in senso metaforico (“ci provo gusto”) o antifrastico, quando si intenda mettere ironicamente in discussione la presunta piacevolezza di un'esperienza o attività (“sai che gusto!”). L'idea della soddisfazione accompagna anche l'idea di gusto come voglia o capriccio (“mi sono preso / tolto il gusto di dire quello che pensavo”), preludio all'identificazione di gusto con quel senso estetico che consente di distinguere ciò che è bello e raffinato (“una scelta di gusto”, “una persona di buon gusto”) da ciò che risulta volgare, privo di delicatezza, inopportuno (“cattivo gusto”, “dubbio gusto”). Ancora, gusto può alludere allo stile condiviso da un'epoca e un ambiente (“gusto liberty”) o, soprattutto se flesso al plurale, a inclinazioni, preferenze e percezioni del tutto soggettive e personali (“non è di mio gusto”, “è questione di gusti”). Il plurale gusti, d'altra parte, viene anche più prosaicamente utilizzato in riferimento alle erbe aromatiche utilizzate in cucina per insaporire le vivande (“cucinare l'arrosto con i gusti”).
Ci troviamo, dunque, di fronte a un sostantivo polisemico, a proposito del quale - per lo meno di fronte a parlanti ancora acerbi - non ci si può accontentare della frettolosa domanda di rito “sapete che cosa vuol dire?”. Per verificare e rafforzare i livelli di consapevolezza di questa sua ricchezza semantica in bambini di età diverse, alcuni gruppi di studenti hanno elaborato differenti tecniche di elicitazione e rafforzamento degli aspetti della competenza lessicale ricettiva e produttiva. Presentiamo qui la scheda di sintesi relativa ad alcune delle attività volte a verificare quanti e quali accezioni del termine gusto risultassero effettivamente accessibili ai giovani parlanti, ed altre finalizzate alla rilevazione delle competenze semantiche ricettive e produttive preesistenti ai fini di un loro potenziamento.

DA PASSIVO A ATTIVO: SCORCIATOIE DEL LESSICO
Antonia Malara, Stefania Mastroianni, Monica Romeo, Loredana Rossi, Antonella Sorace
Premesse
Il patrimonio lessicale di ciascun parlante comprende una parte di vocabolario costituito da parole che usa normalmente, in modo più o meno pertinente (lessico attivo o produttivo), e da una parte, molto più consistente, comprensiva invece di termini che solitamente non utilizza, ma di cui è in grado di comprendere, almeno in parte, il significato (lessico passivo). La didattica del lessico di stampo tradizionale focalizzava la propria attenzione sul lessico attivo, proponendosi di aumentare il numero di parole utilizzate da un parlante senza, però, tenere conto di numerosi aspetti legati all'uso linguistico in situazione (In quali contesti può essere utilizzata la parola? Con quali altre parole entra solitamente in combinazione? In quali parti può essere scomposta?…). La competenza lessicale di un parlante può invece essere più opportunamente rinforzata sulla base del potenziale racchiuso nel serbatoio del lessico passivo, attraverso interventi finalizzati a fornire più precise informazioni semantiche, ma anche fonetiche, morfo-sintattiche, pragma-linguistiche, ecc. che mirino innanzitutto a un potenziamento qualitativo che doti il parlante, oltre che di significati, di concrete possibilità d'impiego dei nuovi lessemi.
In ambito scolastico, tale processo può essere favorito da uno stretto ancoraggio delle proposte di educazione lessicale al mondo delle esperienze infantili, ovvero da un approccio metodologico di ricerca 'ambientale' che stimoli spontaneamente il bisogno di approfondimenti semantici pregnanti e motivanti rispetto a concetti, oggetti, eventi già noti. È quello che abbiamo verificato durante la conduzione del lavoro che non ha privilegiato il solo aspetto quantitativo dell'arricchimento lessicale, ma su sollecitazione degli stessi bambini si è aperto alla prospettiva qualitativa, favorendo così l'adozione di un metodo di lavoro più aderente agli interessi degli apprendenti e quindi più motivante. La ricerca di nuovi vocaboli e la comprensione di nuovi significati sono avvenute a partire da “bisogni linguistici” concreti, attraverso una costante negoziazione e rinegoziazione dei significati già posseduti e il sistematico confronto tra pari. Grazie a questa attività i bambini hanno avuto modo di approfondire la conoscenza semantica di numerosi termini legati al concetto di “gusto” già presenti nel loro lessico potenziale, ma non ancora inseriti nel dominio del loro lessico attivo, e quindi non utilizzabili.

L'attività
Il percorso, che si è svolto in due classi quinte della scuola elementare del quartiere Cogne di Aosta, ha avuto inizio con un'attività di brainstorming. Ogni bambino è stato invitato a scrivere su di un foglio quanto gli venisse in mente riguardo alla parola “gusto”. La lettura delle risposte è stata accompagnata da una discussione collettiva finalizzata alla determinazione di macrocategorie all'interno delle quali potessero essere inseriti singole parole, concetti e definizioni emersi nella fase precedente. Tale operazione ha richiesto l'individuazione di criteri di suddivisione capaci di rappresentare gerarchicamente la varietà di tipologie di risposta presenti, facendo emergere i differenti approcci possibili allo studio della parola: quello propriamente referenziale, legato ai rapporti tra l'immagine acustica del termine e i significati da essa veicolati; quello morfologico, inerente le categorie grammaticali tradizionali (nome, aggettivo, verbo, ecc.); quello pragmatico, centrato sui concreti usi linguistici e i contesti d'impiego. Ciascuno degli aspetti emersi ha ispirato la produzione da parte dei bambini di una specifica attività (raccolte di locuzioni, proverbi, modi di dire; invenzione di storie; ideazione di cruciverba; ricette gastronomiche, ecc.), finalizzata alla pubblicazione di un numero speciale del giornalino di plesso sul tema del “gusto”.


Riferimenti bibliografici
GHISELLI F., Didattica del lessico e del significato, Brescia, La Scuola, 1987;
D'AMICO S., DE VESCOVI A., Comunicazione e linguaggio nei bambini, Roma, Carocci, 2003;
PRAT ZAGREBELSKY M.T., Lessico e apprendimento linguistico. Nuove tendenze della ricerca e pratiche didattiche, Firenze, La Nuova Italia, 1998.

 

ATTIVITÀ DI ELICITAZIONE NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA
Daniela Belley, Manuela Dalle, Deborah Dayné, Silvia Ducourtil, Katya Foletto, Alessandra Genova, Federica Giunta
Per verificare quali associazioni di significato vengano compiute in età infantile relativamente al termine “gusto”, è stata elaborata e somministrata a un gruppo di bambini di 5 anni una breve intervista. Le risposte ad alcune delle domande, proposte individualmente, hanno evidenziato come il termine singolare “gusto” venga prevalentemente associato al significato di sapore alimentare (alla domanda “se dico la parola ‘gusto’, che cosa ti viene in mente?” undici bambini su venti hanno elencato i cibi preferiti) mentre il plurale “gusti” (“quali sono i tuoi gusti?”) evochi più genericamente significati riferiti a preferenze e inclinazioni personali di ambiti diversi (giocare, colorare, disegnare, ecc.).

La storia del gusto

Il termine italiano gùsto deriva dal latino GUSTUM (GUSTUS, ÛS)(2), di origine indoeuropea(3) (cfr. gotico kustus, greco gêusis). Un confronto tra le due forme consente di individuare con immediatezza i fenomeni di caduta della consonante finale, che in latino svolgeva funzioni morfologiche perdute nell'italiano, e la riduzione di -U finale ad -o. Solo apparentemente usuale è, invece, la conservazione della U tonica, che nel passaggio dal latino all'italiano si sarebbe dovuta ridurre ad ó (cfr. ad esempio NUCEM > nóce, CRUCEM > cróce, GULAM > góla)(4). La conservazione della vocale latina si spiega, in effetti, per analogia con la forma verbale GUSTARE, ricavata dal sostantivo, che ha continuatori, oltre che nell'italiano e nei suoi dialetti, in spagnolo (gustar), francese (goûter, e francese medievale goster-gouster), rumeno (gustare) e in numerosi altri idiomi d'area romanza.
Questo rapidissimo excursus storico-linguistico ci serve per introdurre una proposta relativa all'inserimento in classe dell'osservazione comparata di forme etimologiche e forme derivate in italiano e nelle altre lingue di studio. Esplorare, confrontare, individuare analogie e differenze tra strutture della lingua madre e esiti presenti nelle lingue straniere - se fatto a livelli di approfondimento commisurati alle reali potenzialità degli apprendenti - conduce, infatti, non soltanto a percepire in modo meno superficiale le caratteristiche della propria lingua, ma anche a distinguere ciò che è generale nell'organizzazione linguistica da ciò che è specifico di un particolare codice. La formulazione di generalizzazioni e ipotesi sul funzionamento di idiomi differenti porta gradualmente allo sviluppo di strategie capaci di attivare il trasferimento di processi cognitivi, conoscenze, esperienze ed abilità da una lingua all'altra, favorendo l'apprendimento ricettivo, quando non produttivo, di più idiomi. In questa direzione vanno le indicazioni del Consiglio d'Europa, che anche attraverso il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue individua nella promozione dell'intercomprensione o comprensione multilingue una delle soluzioni strategicamente più efficaci per il superamento delle situazioni di monolinguismo. E in questa dimensione si inscrive la proposta elaborata dalle studentesse Antonella Jacquin e Lea Zoja, già docenti di lingua inglese nella scuola elementare. Presentiamo qui di seguito una scheda di sintesi delle attività da loro ideate e sperimentate con bambini di 6-8 anni nell'ambito di un percorso a proposito dei “gusti” alimentari.

CONFRONTI INTERLINGUISTICI E INTERCOMPRENSIONE
Antonella Jacquin, Lea Zoja
Premesse
Imparare una lingua, oggi, non è un fatto puramente strumentale, ma è anche un fatto culturale e di sensibilizzazione estetica e morale; è per questo che l'insegnante deve tener conto dell'ambito in cui opera al fine di stimolare una riflessione sulla realtà linguistica contestuale ed arricchirla con l'apporto di altre realtà con le quali il bambino entra in contatto. L'apprendimento di più lingue, in effetti, avvalendosi di approcci metodologici coordinati mobilita processi di integrazione, rafforza lo sviluppo cognitivo e facilita l'interazione culturale.
Adottando un punto di vista storico-linguistico e comparativo, è possibile affrontare la didattica delle lingue, per esempio, attraverso il confronto di semplici frasi e termini nelle tre lingue insegnate nella scuola primaria (italiano, francese, inglese). L'affinità sarà di norma più marcata tra le lingue romanze (italiano e francese), in quanto entrambe derivate dal latino parlato, rispetto all'inglese, tuttavia se opportunamente guidati anche nella fascia di età della scuola elementare gli alunni saranno in grado di operare confronti di natura fonetica, grafica e anche morfo-sintattica nei confronti di idiomi anche tipologicamente molto distanti.

L'attività
Lettura di una storia legata al tema del “gusto” alimentare. Discussione a proposito dei termini rappresentativi dei sapori dolce-amaro-salato-aspro. Degustazione di alimenti; espressione di gradimento in italiano, francese, inglese (i like / i don't like). Comparazione di significanti relativi a cibi nelle tre lingue (es. carota / carotte / carrot; spinacio / épinard / spinach; cioccolato / chocolat / chocolate; arancia / orange / orange; cereale / céréal / cereal; limonata / limonade / lemonade).

Riferimenti bibliografici
BANFI E., La formazione dell'Europa linguistica. Le lingue d'Europa tra la fine del I e del II millennio, Firenze, La Nuova Italia, 1993.
BENUCCI A. (a cura di), Capirsi tra parlanti di lingue romanze, Torino, UTET Libreria, 2005.
CALZETTI M.T., L'intercomprensione: possibile soluzione alla babele linguistica? in “Progettare la formazione linguistica con Leonardo da Vinci”, ISFOL, Roma, 2001.
DESIDERI P. (a cura di), L'universo delle lingue. Confrontare lingue e grammatiche nella scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1995.

 

Parentele del gusto

Ogni lingua accresce costantemente il proprio patrimonio lessicale creando parole a partire da basi già esistenti. La consapevolezza dei meccanismi che governano tali processi (prefissazione, suffissazione, composizione) permette non solo di cogliere la struttura delle parole conosciute, ma anche di intuire il significato di quelle che si incontrano per la prima volta. Di questo sono ben consapevoli i pubblicitari, che, per catturare l'attenzione del pubblico moltiplicando il valore elativo delle espressioni, sfruttano spesso le potenzialità derivative della lingua per coniare espressioni non convalidate dall'uso ma facilmente decifrabili.
È il caso, tanto per rimanere nell'ambito dei “gusti” alimentari, di coniazioni trasparenti come extra-gusto (di una gomma da masticare), scioglievolezza (di un cioccolatino), frescosità (di una caramella alla menta), sciropposità (di un succo di frutta), croccantezza (di un cracker), ecc. I bambini, anche quando inconsapevoli dei processi che regolano tali formazioni, sono tuttavia in grado di decodificarne il significato analizzandone la struttura alla luce delle coordinate interlinguistiche che li stanno sostenendo nel perfezionamento acquisizionale dell'italiano. Non per nulla, utilizzano solitamente il lessico potenziale di una lingua in modo assai più libero di quanto facciano gli adulti, come dimostrano le formazioni creative che compaiono diffusamente nelle loro produzioni orali e scritte.

PARADIGMI DERIVAZIONALI

da nome m. a aggettivo  
    + - mente = avverbio GUSTOSA-mente
GUST-o + -oso = GUST-oso/a  
    + ità = nome f. GUSTOS-ità

Una volta costruito il modello derivazionale, è possibile:
• sperimentare il funzionamento dello schema utilizzando altre parole (appetito, sapore, gola, delizia, ecc.);
• riflettere sui possibili tranelli (fam-oso deriva da fam-e? Da arom-a si ricava arom-oso?);
• osservare i fenomeni morfologici. Gli avverbi, ad esempio, sono formati a partire dall'aggettivo nella forma del femminile (gustosamente, golosamente, saporosamente, ecc.). Il suffisso -mente deriva, infatti, da un sintagma latino, frequente in epoca tarda e soprattutto in ambito cristiano, che veniva formato accostando un aggettivo al sostantivo femminile MENTE (ablativo di MENS MENTIS ‘intenzione, sentimento’) a formare espressioni del tipo DEVOTA MENTE ‘con intenzione devota’. Con l'intensificarsi dell'uso del sintagma, il sostantivo perse la sua autonomia semantica, e si ridusse a semplice suffisso. La sua storia resta però testimoniata dalle modalità attraverso le quali si sono formati in italiano gli avverbi qualificativi in -mente, i quali continuano a presentare la base aggettivale al femminile, e cioè accordata al genere del sostantivo latino*;
• verificare la creatività reale e potenziale di differenti parole provando a introdurre nuovi suffissi (gust-ino, gust-accio, ecc.) e prefissi (dis-gusto, dis-sapore; retro-gusto, extra-gusto, ecc.).


Nota
* A questa regola si sottraggono gli aggettivi che presentano un'unica terminazione singolare in
- e, i quali vengono derivati nella loro forma ambigenere (velocemente: veloce + mente), ma non quando l'ultima sillaba corrisponda a -le o -re. In questo caso, infatti, la composizione dell'avverbio comporta la soppressione della -e finale (gradevol + mente).

Per condurre i bambini a riflettere sui meccanismi relativi alla suffissazione, è possibile proporre loro varie attività di manipolazione delle parole, che conducano all'individuazione di paradigmi derivazionali costanti e rappresentativi di fenomeni morfologici, come il passaggio di categoria grammaticale.
Un ulteriore stimolo attraverso il quale i giovani parlanti vanno guidati nella scoperta di come una lingua possa autoalimentare il proprio serbatoio lessicale riguarda i meccanismi di attribuzione di nuovi significati a voci già esistenti. Similitudini e metafore entrano, in effetti, molto spesso a far parte di combinazioni fisse di parole - locuzioni, espressioni polirematiche, modi di dire - il cui significato rischia di essere colto in modo indistinto e impreciso.
Con l'obiettivo di offrire loro le chiavi necessarie per dischiudere l'universo degli usi figurati del “gusto”, Arline Menghi e Simon Jeantet hanno proposto a quindici allievi di una classe quinta della scuola elementare di Gignod una serie di percorsi di semantica, di cui qui presentiamo i risultati.

LA RICERCA DEI SIGNIFICATI
Arline Menghi, Simon Jeantet
L'attività è nata dalla necessità di verificare se i bambini avessero coscienza delle diverse accezioni e possibilità d'uso che una parola possiede, non soltanto quando viene considerata isolatamente, ma soprattutto quando entra in combinazione con altre parole e contesti differenti. Tenendo presenti tutti gli aspetti considerati fondamentali per la valutazione della conoscenza pragmatica di un termine, abbiamo strutturato un repertorio di accezioni e modi di dire contenenti i termini gusto, dolce, salato, amaro, aspro. A partire da questo, abbiamo predisposto un test di riconoscimento dei significati letterali e figurati all'interno di frasi campione da proporre ai bambini (ad es. dolce: un pescatore d'acqua dolce; sento una dolce melodia; questo è un ricordo dolceamaro; casa, dolce casa; il dolce far niente, ecc.). Successiva-
mente allo svolgimento della prova, che ci ha consentito di stimare i livelli di competenza lessicale sotto il profilo passivo, abbiamo proceduto a indagare la consapevolezza semantica attiva dei bambini chiedendo loro di fornirci una definizione dei cinque lemmi citati. Com'è noto, la capacità definitoria è un'abilità molto raffinata, che interviene soltanto ad un certo stadio di maturità linguistica. Non ci ha quindi stupiti il fatto che per spiegare il significato delle parole i bambini abbiano spesso fatto ricorso a esempi concreti (dolce è un pasticcino; aspro è come il limone), tautologie (dolce è una cosa dolce, con lo zucchero), sinonimie (aspro è acido) e antonimie (amaro è il contrario di dolce). Non sono mancati, tuttavia, tentativi di definizione maggiormente orientati alla spiegazione descrittiva dei significati (gusto è una cosa che si sente in bocca quando mangi), che però soltanto in casi isolati ha compreso anche i significati metaforici (dolce è qualcosa di piacevole e calmo, gentile).
Poiché entrambe le sperimentazioni hanno messo in luce la tendenza dei bambini a ricondurre e confinare i termini gusto, dolce, salato, amaro, aspro ai loro significati concreti, letterali e “alimentari”, il percorso è proseguito con un'ulteriore serie di stimoli (ricerca dei termini sui dizionari; raccolte di modi di dire; associazione di un sapore a un colore, a uno stato d'animo, ecc.) destinati a condurli gradualmente verso una maggiore disponibilità agli usi polisemici e astratti del linguaggio figurato.

Riferimenti bibliografici
CORDA A., MARELLO C., Insegnare e imparare il lessico, Torino, Paravia Scriptorium, 1999.
LO DUCA M.G., Lingua italiana ed educazione linguistica, Roma, Carocci, 2004.
GAMBARARA D., Semantica. Teorie, tendenze e problemi contemporanei, Roma, Carocci, 1999.
ALTIERI BIAGI M.L., Insegnare lingua italiana, Milano, Fabbri, 1986.
FASULO A., PONTECORVO C., Come si dice? Linguaggio e apprendimento in famiglia e a scuola, Roma, Carocci, 1999.

La frequenza del gusto

I più ampi e aggiornati dizionari oggi disponibili per la lingua italiana contengono più di duecentomila voci, corrispondenti ai lemmi cui i più di due milioni di forme esistenti possono essere ricondotti (gustavi, gustammo, gusterete…? gustare; gustosa, gustose, gustosi? gustoso). Se è vero che nessun parlante - per quanto erudito - conosce e utilizza realmente una simile quantità di parole, è altrettanto vero che la scuola deve proporsi di condurre tutti i parlanti a conoscere e utilizzare almeno una quantità di esse sufficiente a comunicare in modo sicuro e efficace. Sulla base di complesse ricerche svolte dal linguista Tullio De Mauro e dalla sua équipe di collaboratori, tale quantità può essere in primis identificata nel cosiddetto vocabolario di base, vale a dire in un insieme di circa 7 000 lemmi, a frequenza altissima, che costituiscono da soli il 90% di tutto ciò che viene detto, scritto o letto. A una buona conoscenza del vocabolario di base è auspicabile, poi, che con il procedere del percorso di alfabetizzazione si accompagni un uso pertinente dei termini appartenenti al cosiddetto vocabolario comune, comprensivo di altri 45 000 lemmi mediamente compresi e utilizzati da chiunque abbia un grado di istruzione medio-alto. Sulla base di questi presupposti, nell'ultimo decennio sono stati pubblicati alcuni dizionari caratteristici per la presenza, a fianco della glossa relativa a ciascun lemma, della “marca d'uso” che ne indica il livello e l'ambito di diffusione. Dal più importante di questi, il Grande dizionario italiano dell'uso diretto da T. De Mauro (Torino, Utet, 1999: 260 000 lemmi), sono stati ricavate edizioni ridotte per l'infanzia, all'interno delle quali il codice relativo alla marca d'uso è sostituito da simboli accessibili anche ai più giovani. Facendo riferimento a questi strumenti, e riconducendosi alla metodologia sviluppata nell'ambito delle ricerche sui lessici di frequenza, un gruppo di studentesse ha elaborato un percorso di rilevazione dei dati statistici relativi agli usi lessicali in bambini di 6-7 anni, per procedere poi a ideare attività di potenziamento e rafforzamento della produzione.

STATISTICA DEL GUSTO
Cristina Amato, Carla Berlier, Tiziana Bois, Romina Costaz, Sara Peller, Mariagrazia Tedesco, Maria Grazia Tetto
Premesse
Lo sviluppo semantico e lessicale è forse l'aspetto della competenza linguistica sul quale la scuola primaria ha maggiori possibilità d'intervento. Benché il processo di acquisizione lessicale segua itinerari non lineari, legati alle esperienze che il bambino compie sin dai primi anni di vita e ai modelli offerti dai parlanti dell'ambiente circostante, intervenire con precocità e sistematicità sulle potenzialità ancora inutilizzate dal bambino significa consentirgli di superare punti di arresto che condizionerebbero altrimenti tutti i suoi apprendimenti futuri. Più le capacità intellettive riescono a svincolarsi dall'aspetto percettivo delle cose, cogliendo le relazioni possibili tra i dati dell'esperienza, più il lessico si articola e si arricchisce di vocaboli anche astratti e dei relativi significati.

L'attività
Per verificare quali e quanti parole appartenenti al dominio semantico del “gusto” alimentare fossero possedute a livello produttivo nella fascia d'età dei 6-7 anni, 79 bambini frequentanti quattro classi prime della scuole elementari di “Aosta 4” e “Aosta 5” sono stati invitati a produrre individualmente, in coppia e in gruppi, vari elaborati appartenenti a tipologie testuali differenti (definizioni, testi argomentativi ispirati al tema “mi piace…, non mi piace; filastrocche). A partire dal corpus delle produzioni così ottenute si è proceduto a selezionare le diverse voci (sostantivi, aggettivi, verbi, avverbi) riconducibili al dominio semantico individuato. Di ogni termine, ricondotto laddove necessario al lemma di riferimento (saporita, saporite, saporiti > saporito; mangio, mangiavate, mangeranno > mangiare), sono state calcolate le occorrenze, in modo tale da ottenere una lista di frequenza. Si è, quindi, proceduto a confrontare i dati statistici relativi al corpus con le liste di frequenza contenute nel “Lessico elementare” e a verificare le marche d'uso attribuite ai diversi lemmi nei dizionari per l'infanzia (cfr. riferimenti bibliografici).
L'analisi dettagliata delle occorrenze ha messo in rilievo una tendenza dei bambini all'impiego standardizzato e anche sovraesteso di alcuni termini, come gli aggettivi buono e dolce, utilizzati come passe-partout generici per esprimere un'indeterminata indicazione di gradimento (buono: 42 occ., dolce: 26 occ., saporito: 12 occ., gustoso: 10 occ., squisito: 2 occ., appetitoso: 1 occ.). Le attività di potenziamento successive hanno, d'altra parte, rivelato una crescente disponibilità dei giovani apprendenti a impiegare produttivamente termini a bassa frequenza, spesso assenti nella produzioni precedenti.

Riferimenti bibliografici
BALBONI P.E., Tecniche didattiche per l'educazione linguistica, Torino, Utet Libreria, 1998.
BURANI C., BARCA L., ARDUINO L.S. (2001), “Una base di dati sui valori di età di acquisizione, frequenza, familiarità,, immaginabilità,, concretezza, e altre variabili lessicali e sub-lessicali per 626 nomi dell'italiano” in Giornale Italiano di Psicologia, 4 (2001), pp. 839-854.
DARDANO M., TRIFONE P., La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1997.
MARCONI L., OTT M., PESENTI E., RATTI D., TAVELLA M., Lessico elementare. Dati statistici sull'italiano letto e scritto dai bambini delle elementari, Bologna, Zanichelli, 1994.
MARELLO C., Le parole dell'italiano. Lessico e dizionari, Bologna, Zanichelli, 1996.

Dizionari
Prime parole. Dizionario illustrato di base della lingua italiana a cura di D'ANIELLO E., De Mauro T., Moroni G., Torino, Paravia, 1997;
DIB. Dizionario di base della lingua italiana a cura di DE MAURO T., MORONI G., Torino, Paravia, 1999.

I gesti del gusto

Il linguaggio gestuale, a lungo trascurato dagli studiosi di linguistica, è stato tradizionalmente oggetto di grande interesse da parte di differenti settori della ricerca semiologia, psicologica e socio-antropologica, che ne hanno messo in evidenza le valenze simboliche e la complessità culturale. È soltanto a partire dagli anni Ottanta che le potenzialità della competenza gestuale hanno cominciato ad essere prese in considerazione anche come strumenti dell'educazione linguistica per il consolidamento delle abilità comunicative. Una buona conoscenza del significato dei gesti, del registro cui appartengono, delle espressioni verbali cui corrispondono può, in effetti, aiutare a sviluppare migliori capacità di ricezione e interpretazione dei messaggi e a raffinare la produzione del parlante, soprattutto quando questi debba sopperire a carenze del linguaggio verbale, come nel caso di parlanti stranieri o persone afasiche.
Come è noto, i bambini sperimentano in genere il linguaggio gestuale molto prima di quello verbale: aprire e chiudere la mano in segno di saluto, mettere l'indice davanti alla bocca per invitare a fare silenzio, battere le mani, scuotere la testa per rifiutare… sono routines che anche i più giovani riescono molto in fretta a decodificare, e che in genere amano riprodurre. A questi - convenzionali, socialmente codificati e espliciti - si affiancano gesti eseguiti senza che il soggetto abbia l'intenzione e la volontà di trasmettere una certa informazione. Si tratta, per lo più, di espressioni del viso o posture del corpo assunte inconsapevolmente, che possono rivestire all'interno di un'interazione un ruolo anche più significativo di quello rappresentato dalle parole e dai ruoli degli interlocutori. All'osservazione dell'una e all'altra tipologia di gesti ha dedicato l'attività di sperimentazione un gruppo di studentesse che si proponeva di individuare i comportamenti non verbali riscontrabili in un gruppo di bambini fra i 3 e i 5 anni sollecitati a esprimersi a proposito dei gusti alimentari, dominio indubbiamente significativo per i giovani parlanti sia sotto il profilo affettivo che sotto quello esperienziale.

PROVA DI DEGUSTAZIONE
Daniela Belley, Manuela Dalle, Deborah Dayné, Silvia Ducourtil, Katya Foletto, Alessandra Genova, Federica Giunta

L'attività proposta ai bambini, consistente in una prova di degustazione individuale di alimenti e bevande, è stata integralmente videoregistrata. Questo ha consentito la successiva analisi delle produzioni verbali e gestuali. Relativamente a quest'ultimo aspetto, si è provveduto a catalogare e etichettare i diversi gesti registrati per ricondurli all'atto comunicativo di riferimento. Per ciascun gesto sono stati
calcolati la frequenza d'uso e i rapporti con espressioni verbali o rumori di accompagnamento. Lo studio del materiale ha messo in luce che i bambini hanno utilizzato numerosi gesti inconsapevoli, indicativi di stati d'animo come la diffidenza, l'imbarazzo, la ricerca di consenso, ma anche atti intenzionali per sottolineare il disgusto o l'approvazione per i cibi che venivano loro proposti. Essi hanno dimostrato di saper utilizzare un ampio inventario di gesti compensativi per riempire vuoti discorsivi oppure per manifestare con maggiore enfasi le loro impressioni o ancora per sopperire a carenze lessicali che non consentivano loro di esprimere verbalmente le loro sensazioni in modo efficace. Benché il campione fosse troppo ridotto per trarre conclusioni generalizzabili, sembra di poter affermare che i gesti a maggior frequenza siano condivisi da tutti i bambini, compresi i parlanti stranieri inseriti nel gruppo.
Presentiamo, qui di seguito, l'inventario degli atti comunicativi che si sono presentati con maggior frequenza.

Atto comunicativo
Descrizione
Rapporto con espressioni verbali o rumori di accompagnamento
Attesa Appoggiare entrambe le mani sul tavolo con i palmi verso il basso
Il gesto sostituisce l’espressione verbale
Appoggiare il mento sul pollice o sul palmo della mano
Attesa imbarazzata Giocare con e/o intrecciare le dita Il gesto sostituisce l’espressione verbale
Infilare le dita in bocca o strofinarle sui denti
Attesa impaziente Tamburellare con le dita sul tavolo
Richiesta Allungare la mano tesa col palmo verso l'alto Il gesto sostituisce o precede l'espressione verbale ("me ne dai?")
Rifiuto Far oscillare rapidamente la mano parallelamente alla testa Il gesto sostituisce o accompagna l'espressione verbale ("non voglio")
Rifiuto, diffidenza Aggrottare le sopracciglia Il gesto sostituisce o accompagna l'espressione verbale ("non voglio")
Consenso Muovere il viso su e giù Il gesto sostituisce l'espressione verbale o la accompagna ("si", "va bene", "è buono")
Approvazione Serrare le labbra Il gesto è associato a emissione di mugolii (“mmmh”) e sostituisce o precede l’espressione verbale
(“buono!”, “mi piace!”)
Ruotare l’indice a vite sulla guancia
Disapprovazione Sputare; fare smorfie tirando la lingua
fuori dalla bocca
Il gesto è associato a rumori di accompagnamento e precede l'espressione verbale ("che schifo!", "non mi piace!")
Strizzare gli occhi e arricciare il naso
Scuotere il viso da destra a sinistra Il gesto sostituisce l'espressione verbale o la accompagna ("no", "non mi piace")
Sorpresa Alzare le sopracciglia; spalancare gli occhi Il gesto accompagna l'espressione verbale ("cos'è?")
Perplessità Alzare una o entrambe le spalle Il gesto sostituisce l'espressione verbale
Incertezza Scuotere leggermente la testa da una spalla all'altra Il gesto sostituisce l'espressione verbale o la accompagna ("sto pensando...", "non sono sicuro")
Ricerca di consenso Cercare lo sguardo dei compagni Il gesto sostituisce l'espressione verbale

Riferimenti bibliografici
DIADORI P., Senza parole. 100 gesti degli italiani, Bonacci Editore, Roma 1990;
MAGNO CALDOGNETTO E., POGGI I., Conoscenza dei gesti simbolici. Differenze di sesso e di età, in MARCATO G. (a cura di), Donna e linguaggio, Padova, Claup, 1995.
TABOSSI P., Il linguaggio, Bologna, Il Mulino, 2002.
TELMON T., Tra il dire e il fare. Aspetti sociocomunicativi della competenza gestuale, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1998.

Conclusioni: per un'educazione linguistica riflessiva

La rassegna di proposte qui presentata si propone di essere esemplificativa di una modalità didattica che tenga conto, in primo luogo, delle varietà e potenzialità della lingua con l'obiettivo di rendere consapevoli gli apprendenti di come essa funzioni praticamente, a partire dagli usi della vita quotidiana. Riflettere sui significati, sulle realizzazioni ‘in situazione’ corrisponde a riconoscere agli usi linguistici concreti - e non soltanto a quelli considerati desiderabili - il ruolo pragmatico che effettivamente rivestono all'interno della comunicazione.
In secondo luogo, si tratta di un approccio volto a evidenziare che gli apprendimenti linguistici (lingua madre e lingue straniere) si potenziano reciprocamente: confrontare sistemi diversi corrisponde a consolidare le capacità di astrazione e di pensiero formale, sperimentando contenuti e visioni del mondo, modi di pensare e di agire diversi da quelli della comunità di appartenenza.
Si tratta, inoltre, di una didattica consapevole del carattere trasversale degli apprendimenti linguistici, ovvero della funzione veicolare che la lingua assume rispetto a qualsivoglia argomento o disciplina: a scuola il mezzo linguistico riveste un'importanza fondamentale, in quanto ogni passaggio di contenuto passa - esclusivamente o quasi - attraverso di esso. Occuparsi di lingua parlando di alimentazione, riflettere su modi, strutture e significati del linguaggio verbale anche nell'ora di Scienze o Geografia significa svincolarsi dall'idea che l'educazione linguistica coincida con il mero addestramento all'imitazione di norme e regole astratte cristallizzate nei testi scolastici.
Un approccio all'educazione linguistica di questo tipo comporta indubbiamente per l'insegnante - e non soltanto per quello di Italiano - uno sforzo di qualità e quantità in fatto di conoscenze di ordine teorico. Nel suo bagaglio devono entrare specifici saperi su lingue e linguaggio (saperi socio-linguistici, psico-linguistici, storico-linguistici e glottologici) sui quali, non per nulla, i nuovi percorsi di formazione universitaria degli insegnanti pongono un accento particolare.
L'elemento-chiave caratterizzante un'educazione linguistica riflessiva, tuttavia, non risiede tanto nel rimando a presupposti teorici o ideologici, quanto nel fatto che la progettazione didattica risulta profondamente centrata su situazioni concrete e reali, e i risultati vanno direttamente e immediatamente ad informare tali situazioni concrete e reali che hanno costituito il punto di partenza. La teoria, pertanto, non costituisce un presupposto e neanche un punto di arrivo, ma trova una sua collocazione nel momento di riflessione sulla prassi in termini di supporto per l'elaborazione delle ipotesi didattiche, l'interpretazione dei fenomeni, l'introduzione di cambiamenti o innovazioni, l'individuazione di soluzioni da inserire nelle singole, concrete realtà, in un circolo virtuoso dalla pratica alla teoria alla pratica, disponibile a una critica e costante riflessione, ridefinizione, ridiscussione. In questa dimensione, resta valido il principio sottostante i lavori qui presentati: de linguis disputandum est.

Luisa Revelli

Note
(1) I significati della voce latina erano solo in parte coincidenti con gli attuali, ragione per cui, per ragazzi che possiedano già strumenti adeguati, l'individuazione di coincidenze e differenze dello spazio semantico occupato dai due lessemi all'interno dei relativi campi può costituire un punto di partenza stimolante.
(2) Il termine indoeuropeo allude a un gruppo di lingue storicamente attestate di ceppo europeo e asiatico che hanno in comune corrispondenze di natura morfologica, fonologica e lessicale tali da supporre la derivazione da una lingua comune.
(3) Nel latino parlato la differenza tra vocali toniche lunghe e brevi fu sostituita da una differenza di apertura, cioè di timbro. Questo fenomeno condusse gradualmente alla nascita del sistema italiano, che conosce sette vocali (i, é, è, a, ò, ó, u). Di norma, la U si ridusse regolarmente a O chiusa.
(4) Il manifestarsi di questo tipo di produzioni, classificabili come “errori intelligenti”, fornisce occasioni per dare ragione e consapevolezza dei processi impliciti dell'acquisizione linguistica, oltre che per dotare gli allievi di strumenti utili all'ampliamento del loro serbatoio lessicale.

 

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