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Un
centro di gravità permanente
La scuola italiana è interessata,
da ormai più di un decennio, da quella che, con un luogo comune,
viene definita una “stagione di riforme”. La proposta riformistica
firmata Berlinguer-De Mauro, fortemente radicata da un punto di vista
curricolare, ma fragile nell’individuazione dei meccanismi di crescita
della “carriera” dei docenti e che aveva dato origine alla
legge 9 del 20 febbraio 1999 per l’innalzamento dell’obbligo,
fu bruscamente interrotta dagli esiti elettorali del 2001. Il nuovo governo
si preoccupò subito, infatti, di abrogare la legge 9 e ripropose
un’abbreviazione del percorso di studi obbligatorio creando non
poco scompenso nelle scuole e tra le famiglie. Ma non fu questo il solo
disagio patito dall’universo della scuola e dai suoi utenti: si
rimase un anno in stallo senza capire bene a quali norme rifarsi, poi
cominciarono ad arrivare i primi documenti portatori di una nuova terminologia,
di una nuova visione di fondo, di un nuovo modello di alunno. Le scuole
con i loro dirigenti, i loro insegnanti continuarono a navigare a vista,
qualcuno si schierò, qualcuno rimpianse ciò che prima aveva
disprezzato. La legge quadro 53 del 2003 riprese alcuni termini già
comparsi nella normativa precedente come “tutor” (si parlava
di azioni
di tutoraggio) e “progetto di vita”, abbandonò la dimensione
del riorientamento, istituzionalizzò il portfolio e portò
all’attenzione il concetto di personalizzazione. Più preoccupante
fu la lettura del primo decreto legislativo relativo alla scuola di base,
il 59 del 2004. I più anziani tra noi si ritrovarono a fronteggiare
il fantasma della facoltatività, che credevano ormai giacesse in
pace. Scoprimmo la portata pedagogica e consolatoria della dimensione
ologrammatica del processo di insegnamento-apprendimento: l’unitarietà
della persona umana si specchia e richiama percorsi apprenditivi organizzati
in modo tale che ogni loro parte rimandi o sia specchio del tutto. Ricevemmo
dettagliati, anche se poco organizzati, elenchi di conoscenze e di abilità
disciplinari con cui organizzare attività educative e didattiche
unitarie con lo scopo di aiutare gli alunni a trasformarle in competenze
personali, elenchi posti, peraltro, in allegato e quindi di dubbia interpretazione
normativa. Ci affannammo a organizzare corsi di aggiornamento “sull’applicazione
della riforma” e ci preoccupammo di salvaguardare la dimensione
didattico-organizzativa raggiunta nelle nostre scuole, in Valle d’Aosta
grazie all’applicazione degli articoli 39 e 40 dello Statuto regionale.
La cautela e l’equilibrio portarono alla stesura della legge regionale
18 del 2005 che, all’interno dell’onda riformistica morattiana,
ritaglia alcuni spazi di tutela per garantire agli studenti valdostani
e alle loro famiglie un tempo scuola dilatato e un’offerta formativa
di qualità.
Nel momento in cui scrivo, marzo 2006, siamo nel pieno di una campagna
elettorale aggressiva e stancante, la scuola non è uno dei temi
su cui i leader politici si scontrano, l’argomento è complesso
e
la complessità non va di moda. Ma sappiamo che la scuola è
in realtà un luogo di scontro, si fronteggiano due interpretazioni
grossolanamente riconducibile la prima ad una pedagogia del “diventa
quel che sei”, incarnata in una scuola a scartamento ridotto su
cui le famiglie (tutte? o meglio quali?) inseriscono le opzioni educative
extrascolastiche e la seconda convinta che l’investimento per la
cultura di tutti limita il rischio di dover investire per contenere il
dilagare del disagio degli esclusi che non capiscono, non sanno, non scelgono
e si scatenano. Le periferie parigine insegnano.
L’esito elettorale è ancora incerto. In ogni caso alla scuola
non farebbe bene un ulteriore cambiamento di rotta. Occorrerebbe ridurre
il divario tra le due interpretazioni e cioè trovare un centro
di gravità
al bisogno di istruzione che la società ha per poter scegliere
al meglio, che i singoli hanno per poter
riuscire, che i comuni, la nostra regione hanno per poter migliorare la
propria competitività in mercati sempre più complessi e
globalizzati.
In concreto ritroviamo il fondamento delle norme che inquadrano oggi il
mondo della scuola:
il regolamento dell’autonomia, DPR 275/99 e la L 53/2003, se messi
in relazione, possono garantire interventi per tutti di reale crescita.
In Valle d’Aosta rimaniamo nel solco della L 19/2000 e della L 18/05
e collaboriamo, politici, amministratori e operatori della scuola, alla
stesura delle “Nouvelles adaptations”.
Giovanna Sampietro
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