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Dieci
pagine per dieci genitori
Quando abbiamo chiesto loro di poterli intervistare,
i genitori ci hanno rovesciato addosso un cumulo di sensazioni, stati
d’animo, proposte, aspettative. Non abbiamo incontrato nessun rifiuto,
solo qualche timore, soprattutto tanto desiderio di parlare.
Perché? Forse per la sensazione di non essere ascoltati abbastanza,
forse per il bisogno di collaborare, forse per il desiderio di costruire
un ponte. Forse…
Sono possibili solo i “forse” poiché abbiamo volontariamente
pensato di non costruire un dibattito a due voci. Abbiamo voluto offrire
uno spazio di comunicazione ad una delle componenti scolastiche che meno
ha l’occasione di far sentire la propria voce. Abbiamo voluto raccogliere
delle domande alle quali si potrà e si dovrà rispondere
attraverso lo strumento che lo Stato e l’Amministrazione regionale
ci consegnano: la formazione dei nostri alunni.
E, se qualcuno non approverà quanto esposto in una o più
interviste o in una loro parte, sarà buon segno: vorrà dire
che in quelle situazioni non ci si riconosce. E tuttavia, qualunque situazione
possa suscitare in noi dei ricordi o dei dubbi sarà benvenuta perché
non potrà che farci progredire nella riflessione.
Non abbiamo voluto censurare nulla, neppure le situazioni più forti,
che abbiamo pensato non fossero altro che l’espressione di un disagio
forte. Non avrebbe avuto senso attenuarle ad arte perché sarebbero
diventate così soft da non provocare reazioni.
Abbiamo lasciato che queste interviste ci colpissero e ci aiutassero a
capire. La scuola è quel triangolo
(a quattro lati, come dice un operatore di sostegno) in cui ognuno degli
attori pensa alla stessa recita, ma recita parti diverse. Bisogna fare
in modo che non si tratti di tre pièces diverse. Gli strumenti
possono anche risultare discordanti, ma hanno l’obbligo di accordarsi,
prima o poi, perché l’orchestra
è una e deve eseguire un solo brano.
L’unica cosa che non può esistere è il rumore di sottofondo,
il brusio disturbante che non lascia pensare e che cerca di nascondere
i problemi mimetizzandoli nelle frasi fatte del tipo “È un
problema di generazione” oppure “È una classe difficile”
o ancora “I ragazzi di oggi non si sanno più impegnare”.
Si tratta di capire, non di giustificare, e i genitori nei loro interventi
dicono chiaro che alla scuola chiedono di capire, di essere capiti e di
farsi capire. “I professori severi sono i più apprezzati
se sono competenti e umani”. Ci è sembrata una frase emblematica,
capace di sintetizzare tutto il pensiero necessario per fare crescere
intellettualmente e umanamente un alunno.
Ecco, se una fragilità viene rimproverata alla scuola è
quella di essere votata ad un tecnicismo che non si sa più correggere
con il senso di umanità. Un ragazzo è perso quando diventa
solo uno studente, come un insegnante è perso quando non è
più un docente che porta in classe il suo carico di umanità,
di gioia, di tristezza, simpatia e antipatia. Insomma quando taglia i
ponti con la vita chiudendo la porta dell’aula.
E se vi sembrassero piccoli messaggi non credete alle vostre impressioni.
A volte in brevi frasi sono contenute grandi verità. “Nascono
da piccole sorgenti grandi mari”, dice un proverbio australiano.
E Hernest Hemingway o un proverbio senegalese (non lo si è mai
saputo) ci ricordano che per ogni uomo che muore una biblioteca brucia.
Quando noi insegnanti “perdiamo” anche solo uno dei nostri
ragazzi abbiamo bruciato una biblioteca, per di più piena di appunti
non ancora diventati libri.
Le interviste sono a cura di Geneviève Crippa
e Bruno Fracasso.
Ils sont heureux d'y aller
Qu'est-ce que vous appréciez
de l’école de vos enfants ?
Je suis maman de trois enfants qui ont treize, dix et cinq ans. La plus
grande est au secondaire, la deuxième à l'école élémentaire
et le dernier en maternelle.
Ce que j'apprécie c'est que mes enfants sont heureux d'aller à
l’école, de retrouver leurs copains et leurs enseignants.
Et au contraire, que changeriez-vous ?
Dans l’école primaire que mes filles fréquentaient
auparavant, plusieurs soirs par semaine, elles devaient effectuer à
la maison une heure de travail scolaire alors qu'elles étaient
à peine âgées de six et neuf ans.
Je travaille et j'aurais préféré, le soir, consacrer
ces moments à discuter, lire, jouer, etc., plutôt qu’à
superviser des devoirs qui étaient parfois source de tension.
Quand ma fille aînée est entrée au secondaire, pendant
le premier trimestre, j’ai dû vraiment m'impliquer dans sa
scolarité pour l'aider à s'organiser, à travailler
à la maison et pour lui montrer ce qu'elle devait apprendre. J'ai
trouvé dommage que ceci ne soit pas fait directement à l’école.
Que pensez-vous des devoirs à la maison ?
Les enseignants consultent-ils les parents?
Les enseignants ne m'ont jamais demandé mon avis sur les devoirs
à la maison. Même quand j'ai trouvé qu'il y en avait
de trop, je n'ai pas contacté la maîtresse. J'avais l'impression
que cela ne servirait à rien. Par contre, il m’est arrivé
de faire les devoirs de mes enfants à leur place.
Est-ce que l’école facilite les contacts
entre parents ?
À l'école maternelle, deux fois par mois, les enseignants
invitent les enfants et les parents à partager des activités
créatives après l'école. Je trouve ces moments très
agréables. Je bricole en compagnie de mon fils, des autres parents
et enfants, et de l'équipe éducative. Nous faisons ainsi
connaissance autrement.
Au secondaire, il y a les rencontres avec les professeurs. Il faut faire
la queue pendant une heure ou plus pour rencontrer un prof quelques minutes,
puis recommencer pour le suivant. Je trouve cela très fastidieux
et, d'ailleurs, je n'y participe plus, peut-être parce que ma fille
a de bons résultats scolaires.
Y a-t-il des choses que les enseignants considèrent
comme évidentes ?
J'ai l'impression que pour certains profs, tous les parents ont Internet
à la maison, qu’ils ont du temps et les compétences
nécessaires pour participer aux devoirs de leurs enfants.
Quelle image l'école vous renvoie-t-elle
de votre enfant ?
Quand ma fille aînée est entrée à l'école
maternelle, j'ai eu l'impression que c'était la première
fois qu'elle était jugée, évaluée. Avant,
seuls son papa et moi portions un regard sur ses progrès ; avec
l'entrée à l'école s'ajoutait celui de son institutrice.
J'étais très attentive à tout ce qu’elle pouvait
me dire. Pour mes deux autres enfants, je n’ai plus éprouvé
la même anxiété.
Cécile Maumet
Un compito per i genitori
Ha mai avuto problemi nei rapporti
con gli insegnanti?
Ho avuto due esperienze completamente diverse: mentre con il primo figlio
non ci sono stati problemi, né nella scuola primaria né
in quella dell’infanzia, con la seconda, pur avendo avuto nella
scuola dell’infanzia le stesse insegnanti, non mi sono trovata affatto
bene.
Avevano un eccesso di attenzione verso i genitori che li “ossequiavano”,
mentre io mantenevo dei rapporti istituzionali. Non ci sono mai stati
problemi per i colloqui, ma, quando i bambini sono piccoli, si ha bisogno
di sapere anche cose piccole, ma importanti per quel momento della vita.
La sensibilità diversa dei due figli ha sicuramente inciso, ma
hanno inciso anche le insegnanti. In particolare, con una supplente non
mi sono proprio trovata bene: troppo rigida e poco disponibile.
È per questo che, quando il primo figlio è passato dalla
materna alle elementari, ho pianto, mentre, nel caso di mia figlia, contavo
i giorni che mancavano alla fine dell’anno scolastico.
In che cosa i genitori potrebbero collaborare di
più con la scuola?
Credo che si potrebbe collaborare, in generale, sul piano organizzativo.
Faccio un esempio. Quando la scuola vuole organizzare una gita potrebbe
consultare i genitori per collaborare alla realizzazione o per verificare
assieme la compatibilità dei costi. A volte i docenti non si rendono
conto dei problemi delle famiglie, anche di tipo economico.
Si potrebbe collaborare nel proseguire fuori dalla scuola l’attività
educativa accogliendo i ragazzi in difficoltà segnalati dalla scuola
alle famiglie.
Sul piano dei programmi, non credo si debba intervenire. Trovo utile che
gli insegnanti ci dicano all’inizio dell’anno, quello che
vogliono fare così si è coscienti di quello che stanno facendo
i nostri figli.
Così come penso che non dovremmo interferire sulle attività
di valutazione. Condividere sì, magari facendoci descrivere i criteri
di valutazione che non sempre ci sono chiari.
Quando ho avuto bisogno di chiedere qualcosa che interessasse la didattica
non ci sono stati problemi. A volte sono stata chiamata per colloqui individuali,
altre volte sono andata al normale ricevimento parenti.
Sono anche convinta che alcune cose siano di competenza delle famiglie,
come ad esempio la scelta del corso di studi, e che la scuola dovrebbe
limitarsi a consigliare evitando pressioni e ingerenze eccessive.
Secondo lei, la scuola assegna un qualche compito
ai genitori?
Non mi pare che attualmente ci vengano assegnati compiti significativi.
Il mio compito si limita a quello di guardare giornalmente il diario e
i quaderni perché alcune maestre ci tengono a farli firmare. Devo
seguire il programma, aiutare a fare i compiti, ma sono io che ho scelto
non la scuola che mi dà questo incarico.
Potremmo metterci insieme, invece, e parlare di più dei figli in
termini emotivi. A volte gli insegnanti non tengono conto della diversità
di carattere tra i bambini. La mia seconda figlia è molto sensibile
e se ripresa si mette a piangere o non mangia. Talvolta, ho l’impressione
che gli insegnanti siano tanto tecnici e poco umani, altre volte che considerino
più il gruppo che il singolo.
Cosa l’ha aiutata di più nel mettersi
in contatto con la scuola?
La presenza dei tutor. Quando ci si confronta con l’insegnante tutor,
emergono i veri problemi del ragazzo. Attraverso questi incontri ho cercato
di fargli capire quale fosse la mia interpretazione del comportamento
di mio figlio e ho potuto conoscere la sua.
Nella scuola secondaria di primo grado i docenti si sono dimostrati più
professionali e mi è sembrato che apprezzassero l’intervento
del genitore quando, nei colloqui, chiedeva aiuto. D’altra parte,
durante il ricevimento parenti, non c’è sicuramente il tempo
di fare discorsi inutili.
Nella scuola secondaria di primo grado che tipo
di rapporti ci sono stati?
Per il primo figlio, fino alla seconda media, nessun problema. In terza
c’è stato un calo di profitto che sono arrivata a conoscere
tramite il colloquio individuale con i professori e il ricevimento parenti.
Sono risultati utili i colloqui e hanno risolto i problemi. Io preferisco
che mi dicano chiaramente cosa non va piuttosto che sorvolino, almeno
posso prendere provvedimenti.
Valeria Guarato
A scuola con passione e severità
Come descriverebbe i suoi rapporti
con la scuola ?
Ho tre figli: una che frequenta la scuola secondaria di primo grado, uno
l’Institut Agricole e l’altra un corso di formazione professionale.
I miei rapporti con la scuola sono sempre stati molto buoni, forse anche
perché non ho mai voluto interferire; ho sempre pensato che i genitori
devono fare la loro parte lasciando alla scuola i suoi compiti.
Sono capitati dei momenti in cui sono stata in contrasto con la dirigente
dell’Istituzione scolastica che avrebbe voluto chiudere la scuola
del nostro paese. I genitori hanno insistito perché rimanesse aperta.
Devo dire però che abbiamo fatto male, anche se il nostro scopo
era giusto. La scuola, da sola, non mantiene vivo il villaggio, mentre
così i nostri figli (quattro in una pluriclasse) hanno avuto delle
difficoltà nei gradi scolastici successivi. Sarebbe stato meglio
avessimo dato retta alla dirigente e ci fossimo messi d’accordo
con i genitori dei comuni vicini per avere la scuola dell’infanzia
in un villaggio e la primaria nell’altro.
L’insegnante è ancora oggi un’autorità
nei paesi?
No, non succede più. Nei piccoli paesi c’erano davvero, come
autorità supreme, il parroco, il sindaco e la maestra. Oggi una
maestra resta un anno e poi se ne va. Con una precarietà di questo
genere come arrivare a darle autorevolezza? No, non l’abbiamo mai
considerata un punto di riferimento importante.
A scuola si è sentita ascoltata?
Sì, sempre e molto. Quando ci sono stati dei problemi abbiamo potuto
esporli e farci ascoltare nei colloqui trimestrali. E così i docenti
ci hanno chiamato quando ce n’è stato bisogno.
Alle superiori, all’Institut Agricole, dove c’è una
situazione unica e particolare, il preside ha anche una funzione di guida
ed è il nostro punto di riferimento se ci sono delle mancanze,
dei vuoti, delle contestazioni. Il ricevimento è molto ben organizzato.
Viene fatto per una classe alla volta ed è l’occasione per
incontrare i professori. Nella stessa occasione si può avere un
colloquio con il preside per avere un’idea più chiara di
come si sta svolgendo la vita scolastica del figlio. Inoltre, dato che
mio figlio è convittore, posso parlare con gli assistenti. L’impressione
che si ha è che si stia lavorando tutti contemporaneamente per
il bene del ragazzo. Tra gli strumenti per comunicare tra scuola e famiglia
c’è un libretto che firmiamo ogni settimana, sul quale vengono
annotati tutti i fatti relativi alla vita del ragazzo.
Il ragazzo non si sente particolarmente sotto sorveglianza, ma comunque
è sempre controllato. Credo che i ragazzi debbano avere la nostra
fiducia, ma si debba anche controllarli. Per questo motivo sono contenta
quando le regole sono chiare, precise e comprensibili. Mio figlio, dal
canto suo, non si lamenta, vive in modo spensierato i suoi 15-16 anni.
Come tutti i ragazzi non sa sempre come comportarsi, a volte si rivolge
agli adulti in modo sbagliato. Ora sta imparando che con alcune persone
non si può avere la stessa confidenza che si ha con i genitori.
Bisogna portare rispetto anche attraverso la forma. Chi rappresenta l’autorità
va salutato e rispettato.
Come consiglia a suo figlio di comportarsi con gli
insegnanti?
Ho sempre detto a mio figlio che chi dà rispetto riceve rispetto.
Cerco di convincerlo che ci possono essere dei professori che sbagliano,
che fanno delle preferenze, che usano giudizi diversi a seconda delle
persone, ma che questo, in fondo, è la situazione che si ritrova
normalmente nella vita. Voglio che capisca che le ingiustizie fanno parte
della vita. Non ci si deve sottomettere, questo no, ma neppure si deve
sempre gridare allo scandalo. Io credo che si debba mettere un po’
di distanza tra noi e i nostri figli che si debba tutelarli, ma anche
abituarli a confrontarsi con difficoltà, ingiustizie e insuccessi.
Nella vita non tutto è liscio e bello.
I suoi figli quali professori preferivano?
Gli alunni sanno crearsi un loro metro di giudizio autonomo e giudicano
i professori. E non è detto che sia proprio il professore più
accomodante quello che riceve maggiore rispetto. A volte è quello
più severo, quello giustamente severo, perché i ragazzi
sono in grado di riconoscere chi lavora per loro e chi invece lavora per
lo stipendio. E rispettano chi mette passione e interesse e poi pretende
molto, ma prima dà molto. Ai ragazzi piace chi dà loro affetto
e severità, anche se poi si lamentano, come è giusto, vista
l’età. I docenti devono sentire passione per il loro mestiere,
avere la voglia e l’entusiasmo di provare.
Marina Barmasse
La necessità del dialogo
Che cosa apprezza della scuola
dei suoi figli?
Ho due figli, una bambina che frequenta la classe quarta elementare e
un ragazzo la seconda liceo.
Della scuola elementare sono molto contenta.
La dirigente scolastica ha saputo instaurare un rapporto molto buono.
Vedo che c’è, da parte sua, un intenso interesse. Ci sono
tante iniziative. Ad esempio, apprezzo i suoi sforzi per inserire la lingua
straniera in tutta la scuola elementare e non solo nelle classi in cui
esiste l’obbligo d’insegnamento. Riesce a fare rientrare l’inglese
con grande sacrificio in tutte le classi per un’ora alla settimana.
Ci sono numerosi altri progetti: sport, musica con canto e ritmica (saggio
fine anno).
Che cosa cambierebbe invece?
Malgrado l’impegno della dirigente, comunque, penso che una sola
ora alla settimana per l’insegnamento dell’inglese alla scuola
primaria sia insufficiente. In generale, durante i cinque anni l’inglese
viene un po’ sacrificato rispetto a tutte le altre materie mentre
in una scuola moderna dovrebbe essere potenziato.
Bisogna rispettare le tradizioni - la francofonia va benissimo - ma bisogna
anche tenere conto della globalizzazione e del fatto che nel mondo di
oggi la conoscenza dell’inglese è necessaria.
La scuola che frequenta mio figlio, non mi sembra adeguata ai tempi. Penso
che il modo di insegnare dovrebbe evolvere. Non mi sembra per niente adeguata
alle esigenze del mondo odierno. È vero che i ragazzi di oggi sono
difficili da gestire e che è duro insegnare agli adolescenti. Appunto!
Sono convinta che il metodo di insegnamento non sia adatto ai giovani
attuali. Altri genitori la pensano come me. Anch’io ho studiato
al liceo e vedo che la scuola di mio figlio non è cambiata rispetto
a quella che ho conosciuto quando ero anch’io adolescente, mentre
i ragazzi di oggi sono molto diversi da come eravamo noi alla stessa età.
Quale rapporto ha con la scuola di suo figlio?
Voglio raccontare questo episodio: dopo un mese dal ritorno dalla gita
scolastica, tutti i genitori della classe di mio figlio sono stati convocati
a un incontro con gli insegnanti per parlare del comportamento di tre
di loro durante la visita d’istruzione. Ai ragazzi veniva giustamente
rimproverato, tra l’altro, di essere usciti di notte di nascosto.
Circa la metà dei genitori era presente alla riunione. Ero lì
con gli altri, mi sembrava di vivere un’inquisizione: i professori
stavano da un lato, noi genitori dall’altro e i tre poveretti incriminati
si facevano piccoli piccoli in fondo all’aula. Ero quasi l’unica
a parlare, mentre la maggioranza dei genitori stava zitta. Solo un papà
è intervenuto per prendere le difese di questi ragazzi e l’unica
altra mamma che si è espressa ha affermato che si vergognava del
loro comportamento.
A mio avviso, le posizioni assunte dai genitori durante l’incontro,
oltre a rilevare l’assenza di risorse, forse hanno segnalato una
sensazione di giudizio scontato da parte degli insegnanti.
Io sono convinta che, prima della gita, bisognasse avvertire meglio i
ragazzi delle conseguenze di certi comportamenti; metterli di fronte alle
loro responsabilità. Inoltre, non è detto che tutti i colpevoli
siano stati puniti. È istruttivo dare il sette di condotta ad alcuni,
mentre altri la fanno franca?
Si deve, comunque, tentare un percorso, certamente non facile, di riflessione
e di sostegno all’alunno. Credo che un approccio soltanto disciplinare
non possa fare altro che peggiorare il rapporto intra-famigliare e demotivare
alla frequenza scolastica. Penso che i giovani debbano essere aiutati;
che si debba parlare con loro e ascoltarli, trovando le giuste modalità.
Solitamente i ragazzi hanno dei buoni contatti con
i loro insegnanti?
Mio figlio mi racconta che il clima della classe è buono, i ragazzi
vanno d’accordo mentre con gli insegnanti il rapporto è piuttosto
freddo. Ho l’impressione che non esista un dialogo insegnante-alunno
che vada oltre lo stretto ambito dell’insegnamento. Solitamente
i pochi contatti che mio figlio ha con i docenti sono le interrogazioni
e basta. Non ha altri rapporti, di nessun genere.
Anna Maria Riemma
Se la scuola e l'alunno non si incontrano
Qual è la sua esperienza
nell’ambito scolastico?
Ho tre figli. Il maggiore ha 25 anni, il secondo 20, la terza 15. Il primo
frequenta l’università, il secondo sosterrà la maturità
in una scuola privata, dato che in quella pubblica ha incontrato molte
difficoltà, e la terza, una ragazza, frequenta le superiori e non
ha mai avuto problemi. Ho esperienza anche a livello istituzionale perché
sono stata quasi sempre rappresentante dei genitori.
Mi è sembrato di avere un ruolo alla scuola primaria, e, in parte,
alla secondaria di primo grado. Nella scuola secondaria di secondo grado
le cose sono cambiate notevolmente perché, da parte dei genitori,
c’è molto meno interesse, pare quasi che considerino i ragazzi
già autosufficienti. In questo ultimo anno scolastico mi sto domandando
perché succeda questo e così nel comitato dei genitori della
scuola che frequenta mia figlia stiamo cercando di inventarci qualche
piccola strategia per vedere se si possono potenziare i legami tra famiglia
e scuola.
Su quali aspetti dell’attività scolastica
le sembra di aver potuto incidere maggiormente?
Sovente ci si confronta con insegnanti che presentano più un interesse
formale che sostanziale. Sugli aspetti didattici mi sembra che non ci
sia proprio spazio di intervento e forse non è nemmeno giusto che
i genitori possano intervenire. Sugli aspetti educativi c’è
più possibilità di dialogo, ma non con tutti. A volte gli
insegnanti si pongono male, allora il dialogo diventa difficile ed è
tutta l’istituzione che ne risente, dato che l’insegnante
la rappresenta.
I “mega ricevimenti” non sono certo il modo ottimale per mettere
in contatto i due mondi. Si è frettolosi nell’esporre i propri
casi e, quando ci si dilunga, si viene odiati da quelli che stanno ad
aspettare. Quando ho avuto dei problemi gravi, per i quali ci voleva veramente
tempo e concentrazione, ho chiesto alla scuola di essere ascoltata in
modo diverso. Per il mio secondo figlio ho chiesto alla scuola di poter
avere un colloquio con più insegnanti in orario concordato. Il
dirigente scolastico ha chiesto la disponibilità e cinque insegnanti
l’hanno data per il sabato mattina. Ho molto apprezzato il gesto
anche se poi non è servito.
Credo che, malgrado queste premesse, le famiglie rappresentino comunque
una voce o almeno un orecchio teso a sentire cosa stia succedendo. Fintanto
che i genitori potranno entrare nella scuola saranno in grado di avere
il polso della situazione.
Lei lamenta che, a volte, ha ricevuto solo una disponibilità
formale. Cosa intende?
Sovente, dicevo, ci si confronta con insegnanti più interessati
formalmente che sostanzialmente. Ad esempio: a fronte della richiesta
della presa in carico dei problemi di un ragazzo quindicenne la scuola
ha risposto con colloqui mensili per due o tre mesi. Ecco, credo che il
dirigente abbia ottemperato ad una richiesta formale, ma noi chiedevamo
qualcosa in più, volevamo un intervento che stimolasse il ragazzo
ad una reazione, invece è stato fatto tutto in modo talmente asettico
da risultare inefficace. Al contrario, con il primo figlio, il dirigente
si era impegnato ad intervenire personalmente con colloqui individuali
e questi avevano prodotto una vera reazione nel ragazzo.
La complessità della quotidianità rende inevitabile un nuovo
rapporto con i ragazzi. Gli insegnanti vanno abituati a leggere questa
nuova realtà e preparati professionalmente. Alcuni insegnanti conoscono
bene la loro materia, ma non la sanno insegnare e questo viene immediatamente
percepito e valutato dai ragazzi.
Nel mio ruolo di rappresentante dei genitori, tramite colloqui con gli
alunni, ho avuto la sensazione che i ragazzi si sentano molto abbandonati
dagli insegnanti che “fanno quello che possono” e dai genitori
che “sono piuttosto disinteressati”.
C’è poca fiducia e si ha l’impressione che si debba
arrivare al limite per avere un contatto.
C’è differenza nel rapporto con i genitori
nella scuola pubblica e in quella privata?
Nella scuola privata il rapporto è rimesso al senso di responsabilità
personale: ci si va di propria scelta, si paga di tasca propria e il risultato
sarà in funzione dello sforzo dell’alunno. La scuola privata
fa il proprio interesse facendo quello dello studente.
Non imputo nulla alla scuola pubblica, però mi sembra che, con
il mio secondo figlio, non abbia saputo “cogliere l’attimo”.
È stato bocciato tre volte in prima superiore. Nel primo anno il
ragazzo non ha corrisposto e la scuola ha fatto il suo dovere. Alla seconda
bocciatura il ragazzo è uscito dalla scuola con la sensazione di
non essere stato capito, ha accumulato solo rabbia. È certamente
responsabile del suo comportamento, ma aveva chiesto alla scuola di essere
aiutato a trovare la sua strada senza avere risposta.
Perché suo figlio e la scuola non si sono
incontrati?
La scuola ha perso mio figlio. Non ha saputo valorizzare la sua creatività,
lo ha costretto in schemi rigidi senza lasciargli vie d’uscita.
Quando era alla scuola materna, aveva un’insegnante che adorava
l’arte e lo faceva disegnare. Mio figlio eseguiva dei disegni molto
belli, qualcuno è stato anche pubblicato su un giornale scolastico.
Quando è andato alla scuola elementare gli hanno dato delle schede
da completare o colorare e il disegno libero per cinque anni è
sparito. Ha ricominciato a disegnare più o meno in seconda media.
Noi genitori non abbiamo pensato alla scuola d’arte né i
docenti ce l’hanno consigliata. Abbiamo lasciato a lui la scelta
e lui ha scelto il liceo scientifico. Credo che si siano persi quando
le sue capacità non hanno più avuto modo di esprimersi e
non c’è stata una comunicazione sufficiente a farci capire
quali fossero le sue capacità.
Rossana Motta
Un mestiere particolare
Che rapporto ha avuto con la scuola?
Non buono. L’impressione predominante è che tutto sia fermo
alla scuola di anni fa e che i bambini si debbano adattare a quanto esigono
gli insegnanti. A volte, a fronte dei problemi dei bambini, non si trovano
i docenti disposti a sorreggerli ed aiutarli. è comunque vero che
alcune insegnanti sono disponibili a farsene carico, ma non tutte.
Ho un figlio che ha frequentato la scuola materna ed ora è iscritto
alle elementari. Alla scuola dell’infanzia ha vissuto una brutta
esperienza. Niente di particolarmente grave, ma tanti piccoli episodi
che ci hanno costretti a fare cambiare scuola a nostro figlio. Molto spesso
non siamo riusciti a trovare delle soluzioni semplici per i semplici problemi
che può presentare un bambino di quell’età. In alcune
situazioni abbiamo rilevato una rigidità tale che siamo stati costretti
ad iscriverlo ad un’altra scuola dove un’insegnante ha capito
che la vivacità, anche eccessiva, dei bambini andava gestita, valorizzando
il bambino e non punendolo.
Cosa ci vuole, a suo parere, per fare bene il mestiere
dell’insegnante?
Credo soprattutto una grande voglia di mettersi in gioco e un po’
di inventiva. è sicuramente un mestiere particolare che si fa perché
se ne ha voglia. è tutto il tempo che gli insegnanti passano con
i bambini che lo rende un mestiere particolare dove la voglia di vedere
crescere gli alunni e di vederli sviluppare intellettualmente guida l’agire
quotidiano.
La professionalità di un insegnante consiste anche nel confrontarsi
con gli alunni e con i genitori. Credo, però, che sulla parte didattica
nessuno possa interferire. Sulla relazione, invece, ci si dovrebbe mettere
in discussione continuamente. La difficoltà e la delicatezza del
mestiere consistono nel fatto che i bambini sono in formazione e quindi
necessitano di mille attenzioni. Sono necessarie, da parte dell’insegnante,
una grande disponibilità, una grande capacità di attenzione,
un forte senso della giustizia e di equilibrio.
Il dialogo tra insegnanti e genitori è utile?
Sì e no. Sì perché parlare dei propri figli è
utile per noi che capiamo meglio come si comportano e come crescono e
per gli insegnanti che vedono le cose anche da un’altra prospettiva.
No, dal punto di vista dell’applicazione pratica delle decisioni
prese. Spesso si fanno lunghe riunioni, si discute, si arriva a qualche
conclusione senza che vengano poi fatte rispettare. L’impressione
che ho avuto è che gli insegnanti spesso abbiano condiviso quanto
è stato deciso, ma poi non si siano impegnati più di tanto
nella sua realizzazione concreta.
Nella scuola primaria l’esperienza è
risultata positiva?
Sì, ma mi sembra che manchi ancora la capacità di coinvolgere
gli alunni nelle attività. Resta fondamentale la lezione frontale,
il bambino deve imparare a ricordare. Preferirei una maggiore partecipazione
attiva. Mi pare che sia importante anche dare un senso di allegria all’apprendere.
Questo senza voler togliere del tutto l’insegnamento frontale, ma
coniugandolo con quello attivo.
Cosa vorrebbe in più dalle istituzioni scolastiche?
Credo sia da migliorare la mensa. Ormai è un’esigenza comune,
ma l’assistenza lascia molto a desiderare. La maggior parte degli
assistenti sono giovani senza alcuna esperienza. Spesso sono scarsamente
motivati e attrezzati dal punto di vista professionale e così non
possono lasciare sfogare gli alunni dopo il pasto vuoi per mancanza di
creatività vuoi per mancanza di spazi.
Lorenzo Capra
Gratificare aiuta
Qual è stata la sua esperienza
di genitore con la scuola dei suoi due figli?
Hanno avuto entrambi dei percorsi piuttosto travagliati. Uno ha frequentato
il primo anno dello scientifico-tecnologico, poi, a metà dell’anno,
ha voluto passare all’IPRA di Châtillon. Se questa scuola
non fosse stata proprio agli inizi e ancora poco organizzata avrebbe potuto
entusiasmarsi. C’erano insegnanti apparentemente rigide e che pretendevano
molto, ma lui le apprezzava.
Probabilmente è anche stato sfortunato perché non ha avuto
un insegnante che costituisse per lui un punto di riferimento e lo aiutasse
un pochino.
Cosa lo ha ostacolato maggiormente?
Non era in grado di fare le cose per se stesso, non aveva delle idee.
Alle medie avevano sostenuto che sarebbe stato uno che avrebbe fatto poco.
Era un ragazzo intelligente, ma aveva bisogno di incoraggiamento e di
sostegno. è proprio questo che gli è mancato: era capace
di studiare, ma aveva bisogno di insegnanti che lo gratificassero e lo
accettassero. Ha incontrato invece qualche insegnante che lo ha umiliato
e ha sostenuto che non sarebbe mai riuscito a scuola.
Come madre, molto spesso mi collocavo dalla parte dell’insegnante.
Anche se pensavo che avesse torto, dicevo che bisognava capire, adeguarsi
e che comunque l’insegnante aveva la possibilità di decidere.
É difficile trovare un equilibrio e far capire al ragazzo come
modificare il proprio comportamento.
I docenti hanno mai tentato di capire?
La loro risposta è sempre stata che i ragazzi devono adeguarsi.
E poi, per giustificare, c’era sempre la scusante delle classi difficili:
non capisco perché mio figlio sia sempre finito in classi difficili.
Ha sempre avuto buoni risultati fino alla seconda media poi è andato
in tilt e non siamo ancora riusciti a capirne la causa. Da allora è
diventato molto apatico.
Quando ha deciso, dopo le ripetute bocciature alle scuole superiori, di
lasciare la scuola ed andare a lavorare, qualche insegnante ha cercato
di convincerlo a restare. Quando lui se ne è andato via, la sua
professoressa di francese gli ha detto che lo avrebbe aspettato e gli
ha persino scritto una lettera in cui lo incoraggiava. Ha fatto l’imbianchino
e si è massacrato di lavoro.
La fatica o il desiderio di studiare hanno fatto sì che la crisi
rientrasse. Ma sono sicura che molto di più ha fatto l’aiuto
e l’attenzione della sua professoressa di francese. Aveva perso
tre mesi e quindi avrebbe dovuto riprendere tutto il programma. Lei si
è messa in contatto con noi e ci ha detto che era un ragazzo che
poteva fare, ma che bisognava pretendere, così gli è stata
dietro e lo ha fatto lavorare come un matto. La sua ammirazione per questa
professoressa è forse derivata dal fatto che accettava di parlare
con lui, gli chiedeva le ragioni del suo cattivo umore, trovava il tempo
di ascoltare quali fossero i suoi bisogni.
Oltre ai singoli insegnanti c’era l’istituzione
scolastica che sorreggeva lo sforzo?
Per la mia esperienza, la scuola non c’è. Ho sempre cercato
il colloquio, ma la risposta era: “Lo vediamo svogliato e disinteressato,
viene perché si deve venire”. Poi in classe nessuno gli parlava
mai, l’attenzione era sempre posta sulle materie.
A questo livello i colloqui non possono servire a niente. E poi, perché
il consiglio di classe non riceve tutto unito? Non è possibile
che un professore dica una cosa e l’altro il contrario. Ma non si
parlano tra di loro? Se, nel mio caso, uno avesse potuto conoscere le
rappresentazioni mentali degli altri si sarebbero capiti.
E perché limitarsi a quello che succedeva a scuola? Come facevano
a dire che fosse un disinteressato? Quello che faceva a casa, la sua cultura
musicale, i suoi interessi ai professori non interessavano? Beh, però
non erano certo indice di abulia.
E non è questione di severità. Della professoressa di francese,
molto rigida, non si è mai lamentato. Capisco che gli insegnanti
dicano: “Io ne ho venti…”. Però se stabilisci
un rapporto con i ragazzi che vada oltre il contingente poi passano anche
i concetti. Gli insegnanti di una volta avevano l’idea che insegnare
fosse anche educare. Oggi il problema è che ti convinci o ti convincono
che tuo figlio non ha i mezzi intellettuali, che non potrà farcela,
così anche il ragazzo perde fiducia e si convince di non potercela
fare.
Paola Riccio
Una professione da fare con il
cuore
Esiste un dialogo tra scuola e
genitori?
Non sapremmo dire se ci sia, in generale, un dialogo tra i genitori e
la scuola, però la nostra è un’esperienza piuttosto
negativa. Sulla preparazione scolastica dei ragazzi non abbiamo nulla
da eccepire, ma le problematiche sorte durante la frequenza dei nostri
figli hanno mostrato una scuola piuttosto imbrigliata, impacciata e burocratizzata.
Il reale problema, a nostro parere, risiede proprio in una certa rigidità
da parte della dirigenza scolastica e dei professori che immancabilmente
fa sì che i genitori che abbiano un minimo di interesse verso la
preparazione dei propri figli rimangano disillusi.
Riteniamo che i rapporti scuola–famiglia non possano essere solamente
quelli istituzionali. Il confronto dovrebbe essere continuativo affinché,
nel momento in cui nasce un problema, si possano confrontare le rispettive
posizioni. Ci vuole però della buona volontà anche da parte
dei genitori perché, quando i docenti rilevano un problema, non
si deve fare loro un processo, ma cercare con loro delle soluzioni. E
la sede per ricercarle non può essere rappresentata dai colloqui
con insegnanti durante i quali devono dedicarsi a cento genitori.
Sono state date risposte alle vostre richieste?
Durante la nostra esperienza negli organi collegiali della scuola abbiamo
assistito a scontri duri e continui tra corpo docente e genitori. Spiace
dirlo, ma non tutto il corpo docente è animato dalla voglia di
dedicarsi ai ragazzi. Forse non è il caso di rimpiangere il tempo
in cui il maestro era “il Maestro” e la maestra una zitella
che si dedicava solo ai ragazzi. Oggi le maestre hanno le loro famiglie
e devono fare anche il genitore. è difficilissimo fare l’insegnante
e il genitore, soprattutto se non ci sei tagliato.
Credo poi che la scuola abbia abdicato al suo ruolo educativo, non solo,
si è anche radicata l’idea che la scuola non deve educare:
deve istruire, allenare, permettere la libera espressione, deve fare di
tutto, ma non educare. Così chi lo debba fare non lo si sa. Purtroppo,
nel contempo, la famiglia è in crisi e quindi non può aiutare
in questo compito la scuola e le delega la responsabilità di far
scegliere, reprimere, negare. E, malgrado questo, l’educazione non
è supposta centrale, mentre invece evidentemente lo è.
Cosa intendete per “dedicarsi”?
Siamo convinti che l’insegnamento sia una sorta di missione. Si
deve capire che i ragazzi sono la cellula vivente del nostro futuro. A
noi interessa che il ragazzo, al di là delle acquisizioni tecniche,
sappia comportarsi. Ci sono dei ragazzi che non hanno un comportamento
minimamente corretto perché la famiglia non esiste più.
Non si può demandare alla sola scuola l’educazione, ma i
nostri figli stanno sei o sette ore a scuola, cioè gran parte della
loro giornata. Se i ragazzi non imparano a comportarsi correttamente in
collettività è perché non glielo insegniamo e perché
c’è un corpo docente al quale non interessa fare il lavoro
che sta facendo.
Quindi a lei sembra che la scuola sia carente più
sul piano educativo che su quello didattico?
La nostra l’esperienza ci dice che quando la scuola privilegia i
contenuti piuttosto che lo stare insieme esiste un problema sociale di
convivenza e comunicazione.
Se io devo educare non ho di fronte un futuro cuoco, un futuro tornitore,
un futuro medico, ma ho di fronte una persona e devo sviluppare in questa
persona le caratteristiche migliori che ha altrimenti otterremo, come
succede, dei cattivi medici, dei cattivi cuochi, dei cattivi professori,
dei cattivi albergatori, dei cattivi imprenditori che faranno male il
loro mestiere sfruttando gli altri o cercando semplicemente il guadagno.
Chi resta al laccio tra la non presenza di chi decide e la presenza di
chi non può decidere sono gli utenti: alunni e genitori.
Siamo entrati in una società altamente classista che pensa demagogicamente
di rendere tutti uguali, mentre chi può e chi riesce si affida
ad altre strutture.
Cosa manca alla scuola per risultare più
equilibrata?
La scuola per un paio di generazioni è servita ad occupare le signore
o ad integrare lo stipendio del marito. La figura maschile, invece, ci
vuole e dovrebbe essere preponderante. Non è un rifiuto del corpo
docente femminile, ma una questione di equilibri e di visioni diverse
del mondo.
Bisogna anche mettere in evidenza che una parte della scuola è
formata da gente che dà molto, che crede, che continua a battersi
anche se, a volte, risulta un po’ isolata. Ora sta cambiando, ma
restano vantaggi che ne fanno un mestiere più appetibile per le
donne che per gli uomini: non c’è un grande impegno temporale,
si possono curare i figli, ci sono un paio di mesi di vacanza. Ed inoltre
c’è sempre il concetto sbagliato che dell’educazione
se ne debbano interessare principalmente le donne.
Come mai siete così critici con la scuola?
Se noi critichiamo la scuola è perché sentiamo l’esigenza
che esista una scuola pubblica e che migliori. Non vogliamo un pezzo di
carta, ma un figlio cresciuto sotto il profilo umano.
Barbara Marzorati - Edi Vaglio Tessitore
É bello sentirsi dire che
tutto va bene
Oramai, i suoi figli sono grandi,
si ricorda del periodo in cui andavano a scuola?
Ho due figli, uno di 28 anni che lavora da alcuni anni e una di 21 anni
che frequenta l’università (studia Scienze della formazione
investigativa a Milano).
Per un po’ i miei figli sono andati alle elementari a Bard. Quando
è stata chiusa la scuola, assieme ai loro compagni sono andati
a Hône. Nella pluriclasse di Bard, un solo insegnante doveva seguire
l’insieme degli alunni del borgo. I bambini si sentivano un po’
isolati; mancavano le occasioni di socializzazione. A Hône, non
erano più nella pluriclasse; hanno potuto socializzare meglio.
Noi genitori, abbiamo conosciuto e collaborato volentieri con le altre
famiglie e con la scuola.
Quando sono diventati più grandi, hanno proseguito gli studi a
Verrès. Mio figlio ha frequentato l’istituto tecnico industriale
e mia figlia il liceo linguistico.
Il ragazzo, non impegnandosi a sufficienza, ha perso due anni. Poi, quando
ha deciso di mettersi sul serio a studiare, arrivato in quinta, è
uscito all’esame di stato con ottimi voti e, dopo avere provato
per qualche mese l’università, ha deciso di andare a lavorare.
Quale rapporto di collaborazione ha trovato tra
la scuola e la famiglia?
Ho potuto notare che a scuola i bambini sono abbastanza ben seguiti, in
modo particolare alle elementari.
Sono stato per anni il rappresentante dei genitori. Sia alle elementari
sia alle medie la collaborazione è stata buona. Alla scuola media
sono incominciati i problemi per noi genitori: mentre i ragazzi erano
a scuola erano ben seguiti, ma, appena uscivano, bisognava controllare
discretamente quello che facevano, stare attenti alle compagnie. Con mia
moglie, non abbiamo ossessionato i figli, li abbiamo lasciati liberi,
ma eravamo attenti perché sapevamo che le ragazzate non fermate
al momento giusto possono degenerare. Cercavamo di intervenire subito
senza fare pesare troppo. Non si trattava di tenerli al guinzaglio, perché
sarebbe stato sbagliato, si cercava di responsabilizzarli e di tenerli
sempre d’occhio, a una certa distanza.
Alle superiori, mio figlio ha avuto un piccolo problema quando è
stato vittima di bullismo da parte di alcuni compagni di scuola. Appena
l’ho saputo, sono intervenuto di persona e, un giorno, quando è
uscito da scuola ho visto che ha ricevuto il solito calcio; sono arrivato
immediatamente, richiamando il responsabile. Ed è bastato per farlo
smettere definitivamente. Prima, ero andato a informare la scuola e mi
era stato risposto che fuori dall’edificio non potevano fare niente.
Era dunque importante che mi manifestassi al più presto per porre
fine a questo episodio di violenza. Bisognava evitare che queste cose
degenerassero. Infatti, tutto è finito lì.
Quando i figli crescono ed arrivano alle superiori, il rapporto è
più complesso, anche per il fatto che il ragazzo tende un po’
a sfuggire sia al controllo familiare sia a quello della scuola.
Come rappresentante dei genitori, mi sono accorto che, a volte, nella
classe c’erano delle situazioni che, a mio parere, avrebbero dovuto
essere gestite anche al di fuori dell’orario scolastico. Mentre
alle medie e alle elementari sono molte le occasioni di incontro sia con
gli insegnanti sia con le altre famiglie e non ci si limita ai soli colloqui
programmati, alla secondaria di secondo grado, oltre al fatto che i ragazzi
raccontano molto meno a casa quello che succede a scuola, la scuola stessa
coinvolge meno le famiglie, mentre la collaborazione dovrebbe essere più
stretta in questa fase delicata della crescita dei nostri figli.
Ricordo purtroppo quella compagna di scuola di mia figlia che non è
sopravvissuta a un’overdose.
In famiglia, come si vivevano i compiti a casa?
Fino a un certo punto seguivamo i nostri figli nei loro compiti a casa.
La cosa è stata fattibile fino alla terza superiore. Non è
che facessimo i compiti al posto loro ma davamo un piccolo aiuto. Ci tenevamo
ad essere disponibili in caso di bisogno. Tutti i giorni firmavamo il
diario; il controllo, da parte nostra, c’era.
Come si svolgevano i colloqui con gli insegnanti?
Al momento del colloquio con gli insegnanti, con mia moglie ci dividevamo
i compiti, generalmente, andavo io a parlare con gli insegnanti di nostro
figlio, lei con quelli della figlia. Io preferivo le materie tecniche,
lei quelle letterarie.
Io sono convinto che la scuola può funzionare bene se dietro ci
sono anche le famiglie. Se la famiglia funziona male, anche la scuola
funziona male. A mio parere il ruolo del genitore è insostituibile.
C’è sempre stata una buona comunicazione con gli insegnanti,
tranne con quei rarissimi docenti che, in realtà, non erano neanche
apprezzati dagli alunni perché, secondo me, avevano sbagliato mestiere.
Certe persone non dovrebbero scegliere di fare l’insegnante; una
materia imposta con freddezza ha più probabilità di essere
odiata dai ragazzi.
A volte, quando andavo al colloquio, quando mio figlio era svogliato e
frequentava le superiori, c’era una grande tensione in famiglia.
Il giorno in cui si doveva parlare con gli insegnanti eravamo agitati;
era una sofferenza per tutti, genitori e figlio. Si sapeva che quella
sera avrei preso mio figlio da parte. L’ultimo anno, quando si è
deciso a studiare seriamente, era tutta un’altra cosa. Com’era
piacevole sentirsi dire:
“È il più bravo della classe…”!
Cesare Bottan
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