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Un
rapporto alla ricerca di equilibri
Privilegiare la dimensione
sociale oppure quella individuale; favorire finalità legate alla
formazione del cittadino nella società democratica oppure altre
più prosaicamente economiche? Sono queste le scelte che il dialogo
tra scuola e famiglia deve portare a chiarire.
A chi è insegnante - e per di più rappresentante
sindacale della categoria - non capita spesso di guardare ai rapporti
scuola/famiglia o, con una terminologia che preferisco, alle relazioni
genitori/scuola, con un angolo di visuale che non sia quello del professionista.
Si è talmente parte dell'istituzione che diventa difficile discuterne,
senza sentirsi parte in causa.
Ho perciò accolto con piacere l'invito rivoltomi a fare una riflessione
che mi obblighi a confrontarmi con la scuola a partire dalla dimensione
di genitore, riflessione che ho pertanto costruito e condiviso con colei
che concorre con me in quella meravigliosa avventura che è l'educazione
dei figli.
Non è questo il luogo opportuno, né ho la pretesa di voler
tracciare una sintesi puntuale della storia della crescita di partecipazione
democratica nel nostro paese che ha fortunatamente coinvolto anche la
scuola, ma mi pare importante ricordare come le conquiste sociali e politiche
degli anni sessanta siano sfociate nei Decreti Delegati del 1974. Gli
organi collegiali d'istituto, istituiti con D.P.R. 31 maggio 1974 n. 416,
hanno infatti come prima finalità “la partecipazione nella
gestione della scuola, dando ad essa il carattere di una comunità
che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica...”
(art 1).
Tali norme sono state recepite nel Testo Unico delle leggi sulla scuola
(D.P.R. 297/1994), in cui viene mantenuta la dimensione della collegialità
che investe anche i genitori.
Ma è con l'Autonomia scolastica (legge 59/97) che riprende vigore
questo percorso di avvicinamento dei cittadini alle istituzioni.
Nel considerare l'evoluzione normativa, che pure sancisce un processo
in atto, non si può però non tener conto del permanere di
difficoltà e problemi rispetto alla reale partecipazione. L'assenza
di vere e proprie riforme degli OO.CC. - spesso annunciate, ma continuamente
disattese - ha in alcuni casi compromesso le loro procedure e i ruoli
dei diversi attori, depotenziandone le finalità e l'efficacia operativa.
In un primo tempo, cessata l'euforia democratica con il tragico epilogo
degli anni di piombo, la chiusura nella dimensione individuale e la progressiva
burocratizzazione del sistema ha bloccato o sterilizzato i processi già
avviati.
L'Autonomia scolastica ha certamente riaperto il fronte della partecipazione;
ma nell'era Berlusconi la ventata neoliberista, con connotazioni aziendaliste
e individualiste, da una parte, e il contestuale ridimensionamento dell'istruzione
pubblica e, più in generale, del nesso tra crescita democratica
e innalzamento del livello di istruzione in tutti gli strati sociali,
dall'altra, hanno nuovamente compromesso lo spirito innovatore e riformista.
In particolare la controriforma morattiana ha promosso con vigore un maldestro
tentativo di superare il consolidato livello collegiale, favorendo l'istituzionalizzazione
di un modello alternativo, in cui fosse prevalente il rapporto diretto
fra singolo nucleo familiare e insegnante.
Questo fenomeno si è manifestato anche nelle invasioni di campo
sul terreno della programmazione e della didattica, acuendo le tensioni
nelle relazioni genitore/docente, anziché riaprire un dialogo costruttivo,
indispensabile per entrambi.
Calando queste riflessioni nell'esperienza concreta, le generalizzazioni
devono fare i conti con una realtà che, per la mia famiglia, è
quella di una piccola (media se rimaniamo in ambito locale) scuola di
paese. Qui le insormontabili difficoltà burocratiche, la partecipazione
piuttosto formale agli organi collegiali, sono spesso superate dalla facilità
con cui si instaurano relazioni informali fra genitori ed insegnanti,
fra genitori e dirigente, fra gli stessi genitori, proprio in virtù
di una cultura paesana ancora molto forte, in cui le relazioni sono strette
e le prassi si sovrappongono e prendono talvolta il sopravvento sulle
norme.
Si riscontra, quindi, il pregio del confronto anche quotidiano, della
scuola “aperta” alle famiglie, dove i problemi non fanno in
tempo ad incancrenirsi, perché sono subito condivisi dalla collettività.
Non voglio però limitarmi a dipingere una situazione idilliaca
che non si dà se non restando alla superficie delle cose, in quanto
ci si para davanti egualmente il limite di non riuscire a produrre un
superamento dell'attuale modello per un eccesso di pragmatismo che piega
l'istituzione ai propri bisogni o ne fa accettare supinamente le storture
e di fatto non si presta a farla crescere nella forma.
Molto positivo, invece, si è rivelato in questi anni l'invito alle
famiglie a collaborare all'attività didattica, mettendo in gioco
competenze specifiche richieste da particolari progetti e, specularmente,
la forte socializzazione prodotta dalle attività teatrali in cui
era la scuola ad entrare nelle case.
Vorrei infine evidenziare ancora due aspetti: quello inerente ai diritti/doveri
e quello relativo al supermercato-azienda/servizio pubblico.
Dal punto di vista della famiglia la tentazione di chiedere - secondo
i tempi e le modalità privati - più o meno conoscenze, più
o meno competenze, più o meno compiti a casa, collide spesso con
la necessità di contribuire al percorso scolastico, assecondandolo,
sostenendolo a casa. È certo più facile esigere diritti
che, con tutti gli impegni da cui sono sommersi i genitori, riuscire a
far fronte ai propri doveri. La tentazione di scaricare sulla scuola responsabilità
private non va però confusa con la giusta esigenza di una scuola
più attenta ai problemi dei singoli.
L'individualizzazione dei percorsi è esigenza sentita non solo
in termini di recupero di eventuali gap nell'apprendimento, ma anche e
soprattutto in relazione alla valorizzazione di attitudini che occorre
far emergere e potenziare.
Per quanto attiene invece al modello del precedente governo della scuola
impresa - o piuttosto supermercato, dove si ordina ciò di cui si
ha bisogno e si prende dallo scaffale ciò che si ritiene più
opportuno - il rischio di sostituire il ruolo pubblico dell'istruzione
e confondere il piano privato con quello pubblico rischia di creare più
problemi che risolverne.
La perversa tentazione di mutare la natura del servizio pubblico, di tutti
e per tutti, che promuove sì l'individuo, ma in un contesto di
equilibrio con la crescita all'interno della comunità e dell'intera
società di cui esso fa parte, può essere vinta solo se si
assume la prospettiva di una famiglia che vive in una dimensione di condivisione
di valori democratici e sociali.
La scuola può dare di più, ma non può (e personalmente
credo non debba) dare tutto. Si tratta di trovare i giusti equilibri.
Talvolta pare di camminare su una corda tesa nel vuoto, ma, nella maggior
parte dei casi, si tratta di una strada in cui la circolazione è
sufficientemente agevole.
Raimondo Donzel
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