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Un triangolo a quattro lati
La figura dell’operatore
di sostegno può rappresentare la cerniera tra la scuola e la famiglia
purché i ruoli siano ben definiti.
L’operatore di sostegno rappresenta, nella realtà
valdostana, un possibile ponte tra la scuola e i genitori. Questo introduce
un’ulteriore difficoltà nell’espletamento di un compito
già di per sé complesso: l’operatore diventa, di fatto,
il punto di contatto, e spesso di frizione tra l’alunno, i genitori
e la scuola senza che gli venga riconosciuta l’autorità di
ricoprire questo ruolo. Se a questo si aggiunge la delicatezza della tipologia
di alunni sui quali opera ben si comprende come serva del personale motivato,
qualificato e interessato.
La mancata delimitazione di un ruolo rende difficile stabilire un programma
didattico-educativo.
Sovente il nostro contatto con i genitori è difficile perché
la nostra figura, ai loro occhi, risulta ambigua e quindi cercano informazioni
soprattutto dagli insegnanti che rappresentano la figura più credibile
del panorama scolastico. Noi siamo in grado di fornire informazioni sul
ragazzo, ma il nostro ruolo poco definito non ci pone come interlocutori
privilegiati.
I genitori tendono a veder l’insegnante come colui che porta avanti
il programma e l’operatore come colui che accompagna il ragazzo
nello studio. In realtà non è così perché
il lavoro è frutto dell’attività di entrambi e l’operatore
di sostegno a volte segue l’alunno anche per quanto riguarda il
programma didattico.
Il nostro rapporto con i genitori si differenzia notevolmente in ragione
del grado di scuola nel quale lavoriamo. Alla scuola dell’infanzia
e alla primaria la relazione è sicuramente più facile. Quando
i bambini sono piccoli i genitori hanno bisogno di maggiore rassicurazione
e le richieste sono molte. In questo ordine di scuola teniamo anche un
quaderno con le osservazioni e le valutazioni che ci permettono di instaurare
un rapporto chiaro. Anche il nostro atteggiamento nei confronti degli
alunni e della loro attività di apprendimento cambia. Con i bambini
più piccoli il nostro intervento ha una duplice valenza: con quello
che definiamo "progetto orizzontale" seguiamo gli aspetti educativi,
curando il rapporto personale con l'alunno e la relazione con la famiglia,
mentre nel "progetto verticale" seguiamo gli apprendimenti.
Nella scuola secondaria, i genitori si informano meno e tendono ad accettare
con fatica la disabilità del figlio. Questo succede soprattutto
per i casi più gravi, ma non è infrequente anche tra i ragazzi
con minori problemi.
La situazione del minore si aggrava quando si instaurano delle tensioni
tra i genitori per cui la relazione con la famiglia diventa problematica
e instabile.
Per concludere, se ci troviamo a lavorare con genitori che accettano la
situazione di difficoltà del proprio figlio è più
semplice organizzare interventi e attività anche diverse da quelle
solitamente svolte dalla scuola. Se minore è la consapevolezza
della situazione di disagio da parte dei genitori ogni tentativo di aiuto
può essere interpretato come un’amplificazione delle difficoltà
del figlio e come una sottolineatura della sua disabilità inficiando,
quindi, la validità di ogni intervento.
Sarà forse perché rappresentiamo il quarto lato del triangolo
alunno, genitori, insegnanti che per noi, operatori di sostegno, è
così difficile svolgere in modo equilibrato ed efficace il nostro
ruolo.
Rosario Colosimo
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